mercoledì 15 aprile 2015

Introduzione all'Orlando furioso (II parte)


7)       Ma il Furioso esprime anche quell’ideale di bellezza che abbiamo visto essere celebrato come il valore più alto dalla cultura rinascimentale. E’ ciò che ha visto la critica novecentesca (a partire da Croce) quando ha riscontrato, come specificità della poesia del Furioso, l’intenzione di rappresentare l’armonia del mondo (l’”armonia cosmica”). Croce parlava dello sguardo di Ariosto sul multiforme mondo in cui operano i suoi personaggi come dello sguardo di Dio sull’intero universo: ed è uno sguardo che tutto abbraccia nel sentimento di un’armonia superiore (ciò che appare caotico, difforme o contraddittorio, ciò che appartiene a luoghi o a tempi diversi: tutto è visto da quello sguardo, e tale risulta al lettore, coerente e necessario, ordinato e ben disposto, in una parola armonioso).

8)       Questo è il risultato

·         sia della sapiente opera di regia dell’autore, che interviene a interrompere una storia e a riprenderne un’altra lasciata in sospeso,

a)      al fine di dilettare con la varietà (“Ma perché varie fila e varie tele / uopo mi son, che tutte ordire intendo, / lascio Rinaldo e l’agitata prua, / e torno a dir di Bradamante sua.”),

b)      di non stancare con una sola storia (“Ma troppo lungo è ormai, Signor, il canto / e forse ch’anco l’ascoltar vi grava; / sì ch’io differirò l’istoria mia / in altro tempo che più grata sia.”),

c)      di creare suspance (“e finalmente un cavalier per via, / che prigione era tratto, riscontraro. / Chi fosse, dirò poi; ch’or me ne svia / tal, di chi udir non vi sarà men caro.” ),

·         sia dell’opera cosiddetta di “velatura” messa in atto dall’autore (quando l’episodio rischia di suscitare sentimenti troppo forti, che quindi turberebbero l’equilibrio, elemento indispensabile dell’armonia, il poeta interviene con un paragone che abbellisce o con una considerazione sorridente, affievolendo dunque i toni e restaurando l’equilibrio turbato; si ammorbidiscono le punte estreme, si smorzano gli eccessi, come in pittura si “velano” i toni dei colori)

9)       Ma la grandezza del poema sta anche, secondo me, nella capacità dell’autore di mettere in discussione le convinzioni proprie della sua età. Il Furioso esprime al suo livello più alto la civiltà del Rinascimento, ma ne indica anche i limiti e le presunzioni.

·         Tutta la tematica relativa alla pazzia (che per altro è evocata proprio nel titolo del poema) finisce per essere una critica (ancorché sorridente) alla pretesa del “cortegiano” di controllare e reprimere i propri sentimenti. La scoperta da parte di Astolfo che sulla luna c’è il senno di tutti gli uomini (quale più e quale meno) equivale a dire che sulla terra gli uomini sono tutti pazzi (quale più e quale meno); e lo sono perché non riescono a controllare i propri comportamenti con la ragione, ma si lasciano inevitabilmente determinare da passioni irrazionali (prima fra tutte l’amore); ma allora la pazzia è anche buona, se non è altro che l’emergere di ciò che è insopprimibile, in quanto appartiene alla natura dell’uomo. Su questo è stato opportunamente mostrata una affinità di pensiero con quello che Erasmo dice nel suo Encomium moriae.

·         Ma anche quella insistenza sul motivo della fallacia del giudizio umano, sempre suggestionato dall’“apparire”, e quindi non in grado di conoscere l’ “essere”, sembra essere una sollecitazione a riflettere non solo sulla presunzione conoscitiva dell’uomo, ma anche sul principio, teorizzato da Castiglione nel Cortegiano, che l’importante sia appunto “apparire”. Ed ecco che “credere”, “stimare”, “parere” sono verbi ricorrenti nel Furioso.

a)      Così Ruggiero, per quanto ammaestrato da Astolfo, si lascia ingannare dall’apparenza, ovvero dalla bellezza di Alcina.

b)      Così Sacripante “crede” di poter possedere Angelica, ma l’arrivo di Bradamante vanifica il suo disegno (e del resto Angelica “crede” di trovare in Sacripante il suo salvatore e trova invece il suo seduttore)

c)      Ma anche: Sacripante “appare” come un addolorato e sensibile innamorato, ma si rivela, nelle reali intenzioni, uno stupratore privo di scrupoli; Angelica “appare” come un agnello inseguito dai lupi, ma si rivela un’astuta e fredda calcolatrice, quando conta di farsi proteggere da Sacripante, ingannandolo con finte lusinghe.

d)     Più significativamente ancora, si veda l’episodio di Angelica e l’eremita: lei è ingannata dall’“apparire” del frate (non conosce il suo “essere”); ma, più ancora, lui dimostra di non conoscere se stesso quando, vanamente, cerca di portare a termine la conquista amorosa.

 

 

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