7) Ma il Furioso
esprime anche quell’ideale di bellezza che abbiamo visto essere celebrato come
il valore più alto dalla cultura rinascimentale. E’ ciò che ha visto la critica
novecentesca (a partire da Croce) quando ha riscontrato, come specificità
della poesia del Furioso, l’intenzione di rappresentare l’armonia del
mondo (l’”armonia cosmica”). Croce parlava dello sguardo di Ariosto sul
multiforme mondo in cui operano i suoi personaggi come dello sguardo di Dio
sull’intero universo: ed è uno sguardo che tutto abbraccia nel sentimento
di un’armonia superiore (ciò che appare caotico, difforme o contraddittorio,
ciò che appartiene a luoghi o a tempi diversi: tutto è visto da quello sguardo,
e tale risulta al lettore, coerente e necessario, ordinato e ben disposto, in
una parola armonioso).
8) Questo è il
risultato
· sia
della sapiente opera di regia dell’autore, che interviene a
interrompere una storia e a riprenderne un’altra lasciata in sospeso,
a) al fine di dilettare
con la varietà (“Ma perché varie fila e varie tele / uopo mi son, che tutte
ordire intendo, / lascio Rinaldo e l’agitata prua, / e torno a dir di
Bradamante sua.”),
b) di non stancare
con una sola storia (“Ma troppo lungo è ormai, Signor, il canto / e forse
ch’anco l’ascoltar vi grava; / sì ch’io differirò l’istoria mia / in altro
tempo che più grata sia.”),
c) di creare suspance
(“e finalmente un cavalier per via, / che prigione era tratto, riscontraro.
/ Chi fosse, dirò poi; ch’or me ne svia / tal, di chi udir non vi sarà men
caro.” ),
· sia
dell’opera cosiddetta di “velatura” messa in atto dall’autore
(quando l’episodio rischia di suscitare sentimenti troppo forti, che quindi
turberebbero l’equilibrio, elemento indispensabile dell’armonia, il poeta
interviene con un paragone che abbellisce o con una considerazione sorridente,
affievolendo dunque i toni e restaurando l’equilibrio turbato; si
ammorbidiscono le punte estreme, si smorzano gli eccessi, come in pittura si
“velano” i toni dei colori)
9) Ma la grandezza
del poema sta anche, secondo me, nella capacità dell’autore di mettere in
discussione le convinzioni proprie della sua età. Il Furioso
esprime al suo livello più alto la civiltà del Rinascimento, ma ne indica anche
i limiti e le presunzioni.
·
Tutta la tematica relativa alla pazzia (che per altro è evocata
proprio nel titolo del poema) finisce per essere una critica (ancorché
sorridente) alla pretesa del “cortegiano” di controllare e reprimere i propri
sentimenti. La scoperta da parte di Astolfo che sulla luna c’è il senno
di tutti gli uomini (quale più e quale meno) equivale a dire che sulla
terra gli uomini sono tutti pazzi (quale più e quale meno); e lo sono
perché non riescono a controllare i propri comportamenti con la ragione, ma si
lasciano inevitabilmente determinare da passioni irrazionali (prima fra tutte
l’amore); ma allora la pazzia è anche buona, se non è altro che
l’emergere di ciò che è insopprimibile, in quanto appartiene alla natura
dell’uomo. Su questo è stato opportunamente mostrata una affinità di
pensiero con quello che Erasmo dice nel suo Encomium moriae.
· Ma
anche quella insistenza sul motivo della fallacia del giudizio umano,
sempre suggestionato dall’“apparire”, e quindi non in grado di conoscere l’
“essere”, sembra essere una sollecitazione a riflettere non solo sulla
presunzione conoscitiva dell’uomo, ma anche sul principio, teorizzato da
Castiglione nel Cortegiano, che l’importante sia appunto “apparire”. Ed
ecco che “credere”, “stimare”, “parere” sono verbi
ricorrenti nel Furioso.
a) Così Ruggiero,
per quanto ammaestrato da Astolfo, si lascia ingannare
dall’apparenza, ovvero dalla bellezza di Alcina.
b) Così Sacripante
“crede” di poter possedere Angelica, ma l’arrivo di Bradamante
vanifica il suo disegno (e del resto Angelica “crede” di trovare in
Sacripante il suo salvatore e trova invece il suo seduttore)
c) Ma anche: Sacripante
“appare” come un addolorato e sensibile innamorato, ma si rivela,
nelle reali intenzioni, uno stupratore privo di scrupoli;
Angelica “appare” come un agnello inseguito dai lupi, ma si
rivela un’astuta e fredda calcolatrice, quando conta di farsi
proteggere da Sacripante, ingannandolo con finte lusinghe.
d) Più significativamente
ancora, si veda l’episodio di Angelica e l’eremita: lei è ingannata
dall’“apparire” del frate (non conosce il suo “essere”); ma, più
ancora, lui dimostra di non conoscere se stesso quando,
vanamente, cerca di portare a termine la conquista amorosa.
Nessun commento:
Posta un commento