mercoledì 15 aprile 2015

Introduzione all'Orlando furioso (I parte)


Il Furioso come espressione della civiltà rinascimentale 

1)       Ripresa della questione della kalòkagathìa (la bellezza è buona in quanto manifestazione sensibile del divino sulla terra, e dunque, nel nostro mondo imperfetto, la bellezza va ricercata ed amata). Si leggano dei passi che mostrano la consistenza e la diffusione di questa idea: dagli Asolani di Bembo, dal Dialogo delle bellezze delle donne di Firenzuola, dal Cortegiano di Castiglione.

2)       Su quest’ultimo ci si sofferma per spiegare come la proposizione dell’ideale della “grazia” non sia altro che la trasposizione dell’ideale della bellezza sul piano dei comportamenti sociali; e come quell’ideale comporti studio (anche se occultato), dunque artificiosità e repressione della spontaneità dei sentimenti.

3)       Si tratta di un modello umano che avrà una durata secolare. Non si può capire il successo straordinario che ebbero, alla fine del Settecento, opere come I dolori del giovane Werther o Le ultime lettere di Jacopo Ortis, se non si pensa che, appunto, i comportamenti di quei personaggi (con la loro commozione esposta, con il loro piangere senza controllo, con il loro gridare, in una parola con la piena manifestazione, senza occultamenti, dei loro sentimenti) rompevano quello schema, infrangevano un modello secolare. E dunque quei modi, che a noi oggi sembrano eccessivamente patetici, a volte anche un po’ ridicoli (mi viene in mente Ortis che nel parco discute di politica con il vecchio Parini: a fronte della pacatezza di quest’ultimo, lui grida, si alza di scatto dalla panchina, esprime ad alta voce intenzioni di suicidio) apparivano fortemente innovativi e incontravano il gusto del nuovo pubblico, del cosiddetto “popolo”.

4)       Tutto ciò è all’origine di quel doppio giudizio che, nei secoli successivi, si è riversato sul Rinascimento:

·         da un lato è la civiltà che, proprio perché pervasa da quell’ideale altissimo che si esplica nel culto della bellezza, riesce a produrre un’arte ineguagliabile;

·         dall’altro (ed è il giudizio di tanta critica ottocentesca, esemplare in De Sanctis) è la civiltà dell’ipocrisia, che nasconde sotto una belle veste (le belle forme dell’arte e dei comportamenti) la propria immoralità (nella realtà tanto della politica quanto della vita quotidiana: Pietro Aretino, pornografo, pennivendolo e ricattatore, è l’eroe del secolo, dice De Sanctis).

5)       Affrontiamo ora il poema di Ariosto. Ai precedenti basterà un breve cenno: dai “romanzi” francesi del ciclo bretone e del ciclo carolingio, alla tradizione dei cantari, all’Orlando innamorato di Boiardo, al Furioso che dell’Innamorato vuole essere la continuazione. Se ne dà quindi ampia lettura: del canto I integralmente (perché è esemplare) e di episodi scelti tra i più famosi (non si possono tralasciare il palazzo del mago Atlante, la pazzia di Orlando, Astolfo sulla luna).

6)       Per quali aspetti possiamo dire che il Furioso è espressione alta della cultura rinascimentale? Certamente perché è un’opera in cui è presente una visione del mondo laica (qualcuno ha detto pagana), in cui agiscono gli uomini determinati dalle loro passioni totalmente umane (l’amore prima di tutto, ma anche il coraggio, la paura, l’amicizia, la gelosia). Il divino è assente, così come sono assenti tormenti di tipo morale e religioso, preoccupazioni relative all’aldilà. La stessa guerra che fa da sfondo alle avventure delle donne e dei cavalieri, pur essendo una guerra che contrappone due religioni diverse, cristiani e musulmani, fedeli e infedeli, non è il vero fondamento delle storie che si raccontano, ma un semplice pretesto per mettere in campo ciò che veramente piace ed interessa agli uomini (ai “cortigiani”) del Rinascimento: le cortesie e le audaci imprese (si legga l’ottava del canto I, in cui Ariosto commenta il fatto che Rinaldo e Ferraù interrompono il duello e montano sullo stesso cavallo per inseguire Angelica). E’ dunque un mondo totalmente terreno quello in cui agiscono i personaggi del Furioso e in cui fanno valere la loro “virtù” (come direbbe Machiavelli). E in questo mondo la presenza del magico non ha a che fare con l’intervento divino nella vita degli uomini, ma piuttosto con l’imponderabile, con la casualità, con quella “fortuna” (per dirla ancora con Machiavelli) che, nel mondo governato dagli uomini, è l’elemento che ostacola la virtù e ne può far fallire i progetti.

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