1) la Commedia è
una capolavoro unico perché Dante con essa
a. sia forgia
la lingua italiana (si veda la grande varietà di registri linguistici
di cui dà prova nelle tre cantiche: lo stile – lessico e sintassi – è sempre
adeguato all’ambiente e ai personaggi),
b. sia ci offre una sintesi
straordinaria del pensiero di tutta un’epoca (l’epoca medievale, con le
sue problematiche politiche, filosofiche, religiose),
c. sia ci dà una rappresentazione
grandiosa e totale della condizione umana (la diversa umanità che
compare nei gironi infernali, nelle cornici del Purgatorio, nei cieli,
segnata dalle diverse vicende che ne hanno caratterizzato la vita terrena, ci
parla di passioni, sofferenze, aspirazioni che appartengono ad ogni tempo;
parla a noi, uomini del Duemila, così come ha parlato ai contemporanei di
Dante);
2) dunque per tutti questi
aspetti si presta a tante letture, offre tanti spunti. Io me ne servo spesso,
come ha già detto leggendo il passo in cui Virgilio spiega a Dante la natura
della fortuna, per mostrare le differenze fra un modo di pensare
“medievale” e un modo di pensare “rinascimentale”:
a. se la fortuna
è un’intelligenza angelica, c’è un senso in tutto ciò che, di
apparentemente fortuito, succede agli uomini; un senso spesso incomprensibile
ed inaccettabile, ma che, visto che gli angeli attuano la volontà di dio, si
inserisce in un disegno finalizzato al bene;
b. al contrario la
fortuna, da Boccaccio a Machiavelli, è la casualità assoluta, ciò che resiste
alla “virtù” degli uomini, i quali sono tanto più virtuosi quanto più
riescono a superare gli ostacoli frapposti dalla fortuna; e dunque non c’è un
senso, se non maligno, in ciò che si oppone ai disegni degli uomini;
3) mi piace anche,
quando parlo di Galileo e della nuova scienza, servirmi di alcuni canti del
Paradiso per mostrare la differenza fra un modo di ragionare “induttivo”
(quello di Galileo, che parte dai dati di esperienza e arriva a leggi generali)
e uno “deduttivo” (ed è quello di Dante, che parte da principi
non dimostrati, da verità accettate aprioristicamente come tali, per arrivare a
dimostrare verità particolari). I canti I e II del Paradiso
sono esemplari, non solo perché, come è stato detto, in essi viene
rappresentata la struttura dell’universo rispettivamente dalla terra al cielo
(nella tensione del creato verso Dio) e dal cielo alla terra (nelle influenze
che discendono da Dio e portano vitalità alla terra), ma anche per la logica
con cui Beatrice, rispondendo a domande di Dante, spiega rispettivamente
a. la ragione per
cui egli, pur dotato di corpo, ascende verso il cielo (e finisce per spiegare
in maniera teologica un fenomeno fisico quale la legge di gravità: leggiamolo e
commentiamolo)
b. la natura delle
macchie lunari (e finisce per dare, anche in questo caso, una spiegazione
teologica a un fenomeno che ha a che fare con le irregolarità della superficie
lunare; ma ammettere questa irregolarità voleva dire mettere in discussione la
natura divina, e quindi perfetta, dei corpi celesti);
4) Questa seconda
questione è svolta nel II canto del Paradiso, che normalmente a scuola
non si legge, perché troppo dottrinale, troppo difficile. E infatti è
difficile, faticoso, ci sono anche alcuni punti controversi, ma è di grande
interesse per il modo deduttivo, appunto, del ragionamento. Beatrice infatti,
a. dopo avere sorriso
sulla credenza popolare (che vuole le macchie lunari originate da
Caino che si aggira per la luna portando in spalla un fascio di spine),
b. e dopo avere smontato
l’opinione di Dante (seguendo Averroè, pensa che le parti scure e le parti
chiare della superficie lunare siano da attribuirsi rispettivamente alla
rarità e alla densità del corpo lunare)
c.
costruisce in questo modo (seguendo Tommaso) il ragionamento che
conduce alla verità: c’è una virtù divina che è comunicata dal primo
mobile al cielo delle stelle fisse; qui essa si diversifica nelle diverse
stelle e da qui essa si trasmette nei cieli inferiori; le intelligenze
angeliche, preposte ai diversi cieli, consentono il passaggio della virtù dalla
potenza all’atto; la diversa luminosità delle stelle deriva dalla diversa
“lega” che le diverse virtù fanno con il prezioso corpo delle stelle; dunque la
luminosità diversificata della superficie lunare (le cosiddette “macchie
lunari”) è determinata dal fatto che su quest’astro confluiscono le diverse
virtù che discendono dai cieli più alti.
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