lunedì 13 aprile 2015

Leggere la Divina Commedia (I parte)


 

1)      la Commedia è una capolavoro unico perché Dante con essa

a.       sia forgia la lingua italiana (si veda la grande varietà di registri linguistici di cui dà prova nelle tre cantiche: lo stile – lessico e sintassi – è sempre adeguato all’ambiente e ai personaggi),

b.      sia ci offre una sintesi straordinaria del pensiero di tutta un’epoca (l’epoca medievale, con le sue problematiche politiche, filosofiche, religiose),

c.       sia ci dà una rappresentazione grandiosa e totale della condizione umana (la diversa umanità che compare nei gironi infernali, nelle cornici del Purgatorio, nei cieli, segnata dalle diverse vicende che ne hanno caratterizzato la vita terrena, ci parla di passioni, sofferenze, aspirazioni che appartengono ad ogni tempo; parla a noi, uomini del Duemila, così come ha parlato ai contemporanei di Dante);

2)      dunque per tutti questi aspetti si presta a tante letture, offre tanti spunti. Io me ne servo spesso, come ha già detto leggendo il passo in cui Virgilio spiega a Dante la natura della fortuna, per mostrare le differenze fra un modo di pensare “medievale” e un modo di pensare “rinascimentale”:

a.       se la fortuna è un’intelligenza angelica, c’è un senso in tutto ciò che, di apparentemente fortuito, succede agli uomini; un senso spesso incomprensibile ed inaccettabile, ma che, visto che gli angeli attuano la volontà di dio, si inserisce in un disegno finalizzato al bene;

b.      al contrario la fortuna, da Boccaccio a Machiavelli, è la casualità assoluta, ciò che resiste alla “virtù” degli uomini, i quali sono tanto più virtuosi quanto più riescono a superare gli ostacoli frapposti dalla fortuna; e dunque non c’è un senso, se non maligno, in ciò che si oppone ai disegni degli uomini;

3)      mi piace anche, quando parlo di Galileo e della nuova scienza, servirmi di alcuni canti del Paradiso per mostrare la differenza fra un modo di ragionare “induttivo” (quello di Galileo, che parte dai dati di esperienza e arriva a leggi generali) e uno “deduttivo” (ed è quello di Dante, che parte da principi non dimostrati, da verità accettate aprioristicamente come tali, per arrivare a dimostrare verità particolari). I canti I e II del Paradiso sono esemplari, non solo perché, come è stato detto, in essi viene rappresentata la struttura dell’universo rispettivamente dalla terra al cielo (nella tensione del creato verso Dio) e dal cielo alla terra (nelle influenze che discendono da Dio e portano vitalità alla terra), ma anche per la logica con cui Beatrice, rispondendo a domande di Dante, spiega rispettivamente

a.       la ragione per cui egli, pur dotato di corpo, ascende verso il cielo (e finisce per spiegare in maniera teologica un fenomeno fisico quale la legge di gravità: leggiamolo e commentiamolo)

b.      la natura delle macchie lunari (e finisce per dare, anche in questo caso, una spiegazione teologica a un fenomeno che ha a che fare con le irregolarità della superficie lunare; ma ammettere questa irregolarità voleva dire mettere in discussione la natura divina, e quindi perfetta, dei corpi celesti);

4)      Questa seconda questione è svolta nel II canto del Paradiso, che normalmente a scuola non si legge, perché troppo dottrinale, troppo difficile. E infatti è difficile, faticoso, ci sono anche alcuni punti controversi, ma è di grande interesse per il modo deduttivo, appunto, del ragionamento. Beatrice infatti,

a.       dopo avere sorriso sulla credenza popolare (che vuole le macchie lunari originate da Caino che si aggira per la luna portando in spalla un fascio di spine),

b.      e dopo avere smontato l’opinione di Dante (seguendo Averroè, pensa che le parti scure e le parti chiare della superficie lunare siano da attribuirsi rispettivamente alla rarità e alla densità del corpo lunare)

c.        costruisce in questo modo (seguendo Tommaso) il ragionamento che conduce alla verità: c’è una virtù divina che è comunicata dal primo mobile al cielo delle stelle fisse; qui essa si diversifica nelle diverse stelle e da qui essa si trasmette nei cieli inferiori; le intelligenze angeliche, preposte ai diversi cieli, consentono il passaggio della virtù dalla potenza all’atto; la diversa luminosità delle stelle deriva dalla diversa “lega” che le diverse virtù fanno con il prezioso corpo delle stelle; dunque la luminosità diversificata della superficie lunare (le cosiddette “macchie lunari”) è determinata dal fatto che su quest’astro confluiscono le diverse virtù che discendono dai cieli più alti.

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