martedì 26 maggio 2015

Ulisse nella letteratura (III parte)


11)              Ma c’è un’altra Odissea nella letteratura italiana, ed è quella vissuta da Renzo nei Promessi sposi. E’ stato Raimondi a mostrare come, essendo l’Iliade e l’Odissea i due archetipi fondamentali per tutto il romanzo occidentale, i Promessi sposi siano riconducibili al poema di Ulisse: è Renzo che, come succede ad Ulisse, compie un percorso (che è un viaggio lontano dalla “patria”, ricco di peripezie e di ostacoli da superare), al termine del quale tornerà a casa vincitore e con una coscienza superiore (è un cercatore di giustizia, e alla fine apprende che la più alta forma di giustizia risiede nel perdono, come gli ha insegnato fra Cristoforo al lazzaretto). Esemplare l’episodio narrato nel cap. XVI, quando Renzo, in fuga verso l’Adda, si ferma all’osteria di Gorgonzola. Lì giunge anche un mercante che narra agli avventori che lo ascoltano a bocca aperta le grandi vicende (le agitazioni per il pane) che stanno succedendo a Milano; e narra anche di quel caporione venuto da fuori, che era stato arrestato ma che era riuscito a fuggire. Anche Renzo ascolta, ben sapendo che si sta parlando di lui. La situazione ricorda quella di Ulisse, quando, ancora sconosciuto, è ospite presso la reggia di Alcinoo; e lì, in mezzo ai Feaci, ascolta il cantore Demodoco che narra le vicende della guerra di Troia e, fra gli eroi, esalta l’astuto Ulisse, che ha ideato l’inganno del cavallo.  

12)              Nel cuore del Novecento, la figura di Ulisse è rievocata dal capolavoro di Joyce. Il titolo annuncia che quella del protagonista del romanzo (Leopold Bloom) è una moderna Odissea, e infatti lo stesso autore aveva indicato (nel cosiddetto “schema Linati”: una lettera del 1920 al suo primo traduttore italiano) per i diversi capitoli riferimenti precisi ad episodi del poema omerico (Circe per l’episodio del bordello, Proteo per il monologo interiore di Stephen sulla spiaggia, Eolo per l’episodio di Leopold al giornale, ecc.). La vicenda ha come ambientazione non il Mediterraneo, ma la Dublino dei primi del Novecento e si svolge non nel tempo di dieci anni, ma di una giornata (precisamente, il 16 giugno del 1904); ha come protagonisti Leopold Bloom (di professione agente pubblicitario), Stephen Dedalus (un giovane insegnante, ribelle ed anticonformista, ossessionato dal ricordo della madre morta e della debolezza della figura paterna), Molly (la moglie infedele di Leopold, cantante lirica in declino). L’opera è strutturata in 18 capitoli, suddivisi in tre sezioni:

a.       la “telemachia” (i primi tre, con al centro Stephen, che in fondo è alla ricerca del padre di cui ha sempre sentito la mancanza),

b.      la vera e propria “odissea” (i dodici capitoli che seguono, con al centro Leopold e le sue peregrinazioni dublinesi: più volte incrocia Stephen, finchè lo incontra in un bordello),

c.       il “nòstos” (gli ultimi tre capitoli, che appunto riguardano il ritorno a casa: nel bordello Leopold soccorre Stephen dopo una rissa e se lo porta a casa; quindi Stephen se ne va, Bloom si addormenta e l’ultimo episodio è dedicato al celebre monologo interiore – vero e proprio flusso di coscienza, senza coesione sintattica e senza punteggiatura – in cui Molly, che non riesce a prendere sonno, rievoca il suo rapporto con il marito).

13)              E dunque, in questi termini, l’Ulisse di Joyce sembra diventare una parodia dell’Ulisse omerico: di fatto, non c’è niente di più anti-eroico di quel personaggio, cui capitano quelle vicende (le vicende della banalità quotidiana, dove le battaglie diventano risse da bordello) e che ha in moglie una donna, sensuale e infedele, che può ricordare Penelope solo per opposizione. Eppure anche questa moderna Odissea si caratterizza per avere al centro l’esplorazione di un territorio nuovo: e sono i meandri della psiche, ma anche le tecniche narrative (i narratori e i tipi di focalizzazione sono molteplici: e la ricerca si spinge fino all’estremo di registrare i fatti psichici nella forma, sconnessa e frammentaria, dello stream of consciousness) e infine la lingua (utilizzata in tutte le sue possibilità espressive, dal drammatico, al satirico, all’osceno, ecc., in un straordinaria mescolanza).

14)              Concludo ricordando l’interpretazione che Adorno-Horkheimer, in Dialettica dell’illuminismo, hanno dato dell’episodio dell’incontro con le Sirene. Il canto delle Sirene non è altro che il richiamo di un mondo diverso da quello esistente, il mondo della soddisfazione, che si oppone a quello del sacrificio e della rinuncia. Ma quel richiamo i marinai non lo possono sentire, a loro è ordinato di turarsi le orecchie con la cera: piegati sui remi, continuano a lavorare, sul loro lavoro si fondano i rapporti sociali esistenti, è bene che non sappiano che un mondo diverso è possibile. Il signore, Ulisse, può sentire quel canto, ma si è fatto legare all’albero maestro: può sentirne la bellezza e la promessa di felicità, ma non può abbandonarsi ad esso, perché vorrebbe dire perdere il proprio “sé”, annullare la propria identità faticosamente costruita in opposizione alla natura, perdersi nella comunione con il tutto. Quella interpretazione diventava dunque, per i pensatori di Francoforte, metafora della situazione in  cui si trova il mondo attuale: l’enorme sviluppo tecnologico che caratterizza la nostra società consentirebbe una vita libera, bella e giocosa per l’umanità (consentirebbe cioè il passaggio alla cosiddetta dimensione ludico-estetica), se non fosse che gli interessi costituiti, i detentori del potere reale, intendono conservare a proprio vantaggio la situazione esistente, basata sull’oppressione e sul dominio. Il canto delle Sirene indica quella dimensione liberata, ma noi, come i marinai di Ulisse, siamo incapaci di sentirlo; e chi lo sente, non vuole lasciarsene sedurre perché ha paura di quell’altra dimensione in cui non valgono più identità e rapporti esistenti, tutto si configura in modo radicalmente diverso (il modo, appunto, ludico-estetico).

 

 

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