48) All’inizio del suo poema,
Lucrezio ricorda il sacrificio di Ifigenia. Di che cosa si tratta e che cosa
vuole dimostrare il poeta con quell’episodio? (max. 10 righe)
Secondo il
mito, Ifigenia, figlia primogenita di Agamennone (il comandante della spedizione
greca contro Troia), venne sacrificata agli dei perché questi concedessero un
viaggio felice alla flotta in partenza. Lucrezio vuole dimostrare a Memmio (a
cui sta dedicando il De rerum natura) che non è empia la filosofia epicurea, ma piuttosto lo
è la religione, che prevede fra i suoi riti un’infamia come il sacrificio
umano.
49) "Hominem pagina nostra sapit": chi dice così e che cosa vuol
dire? (max 5 righe)
E’ Marziale
che dice "la nostra pagina ha sapore di uomo". Vuol dire che la sua poesia,
per quanto possa sembrare oscena o comunque possa essere disprezzata
come poesia di genere inferiore, tuttavia parla dell’uomo reale, con i suoi
vizi e le sue bassezze; la sua poesia "ha sapore di uomo", perché
l’uomo reale è quello rappresentato nei suoi epigrammi, non quello idealizzato
dai grandi poeti.
50) Più volte, nella sua opera,
Cicerone dimostra disprezzo per l’epicureismo. Come ce lo spieghiamo? (max. 7
righe)
Per Cicerone, che è un conservatore e tradizionalista,
la devozione religiosa e la partecipazione alla vita politica sono il
fondamento della convivenza civile in generale, e della società romana in
particolare. Pertanto la filosofia epicurea gli appare negativa sia per il suo
materialismo che nega l'intervento degli dei nelle vicende terrene, sia perché,
professando il principio del "vivi nascosto", predica l'astensione
dalla vita politica.
51) "Ti prego, padre ottimo e
santissimo, dal momento che questa è la vita, come sento dire dall’Africano,
perché indugio sulla terra? Perché non mi affretto a venire qui
da voi?". E’ Scipione l’Emiliano che si esprime così nel Somnium
Scipionis. Dopo aver brevemente spiegato qual è il senso
della domanda che pone e a chi è rivolta, dite qual è il senso della
risposta che ottiene. (max 10 righe)
L'Emiliano si rivolge al padre Emilio Paolo e gli
chiede se non sia giusto e doveroso il suicidio, visto che così l'anima
potrebbe liberarsi dalla prigione del corpo e tornare alla sua vera sede, che è
in cielo. Emilio Paolo gli risponde che il suicidio non è lecito, perché agli
uomini è stato assegnato da dio il dovere morale di governare la terra e solo
quel dio, non l'uomo, può decidere quando sia giunto per l'anima il
momento di uscire dal corpo.
52) Che rapporto c’è fra il De re publica e il Somnium Scipionis e come ci spieghiamo il fatto che quest’ultimo si
sia conservato integro attraverso il medioevo? (max. 7 righe)
Il Somnium
Scipionis è l’ultimo libro del De re publica, un trattato di
filosofia politica in sei libri: ed infatti, dopo aver definito lo Stato ideale
nei cinque libri precedenti, nel Somnium
si parla della ricompensa ultraterrena che spetta a chi ha ben operato per il
bene dello Stato. Quest’ultimo libro, a differenza del resto dell’opera, si è
conservato integro attraverso il medioevo perché trattava di un argomento
(l’immortalità dell’anima) particolarmente caro alla mentalità cristiana.
53) "Quaeso, pater sanctissime atque optume, quoniam haec est vita, ut
Africanum audio dicere, quid moror in terris? quin huc ad vos venire propero?" Dopo aver tradotto e appropriatamente
contestualizzato nel Somnium Scipionis
la suddetta domanda, dite qual è il senso della risposta che ottiene. (max 10
righe)
“Ti prego, padre ottimo e santissimo, poiché questa è
la vita, come sento dire dall’Africano, perché indugio in terra? Perché non mi
affretto a venire qui da voi?”. Questa domanda viene posta da Scipione Emiliano
al proprio padre Lucio Emilio Paolo, dopo che Scipione l’Africano gli ha detto
che la vera vita non è quella sulla terra, ma quella in cielo, dopo la morte.
Si tratta, dunque, di una domanda sulla liceità del suicidio, e Paolo risponde
che il suicidio non è lecito, perché gli uomini non possono venir meno al
compito affidato loro dal dio supremo, ovvero al compito di governare la terra.
54) Confrontate brevemente il pensiero
sul suicidio espresso nel Somnium
Scipionis con quello stoico e con quello cristiano. (max. 7 righe)
Per la ragione suddetta, il suicidio non è ammesso nel
Somnium Scipionis. Allo stesso modo
la religione cristiana ritiene assolutamente inaccettabile il suicidio, in
quanto solo Dio può dare e togliere la vita. Al contrario, la filosofia stoica
approva il suicidio (anzi, la ritiene una scelta necessaria) quando le
condizioni esterne (e cioè, politiche) non consentono di vivere in armonia con
il “logos” universale.
55) Facendo riferimento ai versi che abbiamo
letto, dite quali argomenti usa Lucrezio per dimostrare che non bisogna avere
paura della morte
Lucrezio sostiene che l’anima,
essendo composta di atomi, è mortale come il corpo. Quindi, al momento della
morte, niente di noi sopravvive: gli atomi, che componevano la nostra
individualità, tornano a vagare come prima che nascessimo. E dunque, come non
abbiamo sentito alcun dolore quando i cartaginesi, al tempo della 2ª guerra
punica, portarono morte e distruzione in Italia, poiché non eravamo ancora
nati, così niente potrà darci dolore quando saremo morti, poiché non ci saremo.
E se anche un domani gli atomi che adesso compongono la nostra individualità
dovessero riaggregarsi allo stesso modo, quell’individuo sarebbe un’altra
persona senza alcuna memoria di una vita passata; e dunque ciò che
eventualmente gli capitasse non ci riguarderebbe affatto.
56) Traducete
il seguente passo e, in particolare, spiegate
il senso dei due versifinali (che vogliono dire? In che cosa consiste la
“culpa” di cui si parla?): “Quod <si>
iam rerum ignorem primordia quae sint, / hoc tamen ex ispsis caeli rationibus
ausim / confirmare aliisque ex rebus reddere multis, / nequaquam nobis
divinitus esse paratam / naturam rerum: tanta stat praedita culpa.”
“E se anche ignorassi
quali sono i principi delle cose, tuttavia oserei affermare in base alla stessa
osservazione razionale delle cose celesti (del cielo) e (oserei) sostenere in base a molti altri
fatti questa verità, (cioè) che la natura non è stata affatto creata per noi da
una provvidenza divina: di così grande colpa (difetto, imperfezione) essa è
dotata”. Lucrezio vuol dire che non c’è un ordinamento provvidenziale della
natura a favore dell’uomo: basta guardare la realtà del mondo in cui viviamo
per accorgersi che, al contrario, la natura è imperfetta, difettosa, rispetto
ai bisogni della vita umana, essa è ostile all’uomo: lo dimostra il fatto che i
luoghi vivibili per l’uomo sono pochi (essendo il mondo, in gran parte,
occupato dalle acque, dalle foreste, da zone troppo fredde o troppo calde), che
anche in quei pochi, per sopravvivere, bisogna lavorare con fatica e sfidando
le avversità del clima; e infine, che l’uomo è sfavorito anche rispetto agli
animali, a differenza dei quali nasce nudo, piangente e bisognoso di ogni
aiuto.
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