giovedì 28 maggio 2015

Terenzio: la vita e l'opera


Terenzio e l’ambiente scipionico

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Publio Terenzio Afro nacque a Cartagine presumibilmente nel 185 a. C.[1]; venne a Roma come schiavo, poi il suo padrone (il senatore Terenzio Lucano) lo affrancò (di qui il nomen; il cognomen invece si riferisce alla sua origine africana); frequentò il “circolo” degli Scipioni (fu amico, in particolare, dell’Emiliano e di Gaio Lelio), morì in Grecia (dove era andato per procurarsi nuove commedie) nel 159 a. C.[2].

Su modelli tratti da Menandro e da Apollodoro di Caristo, scrisse sei commedie: Andria (la ragazza originaria dell’isola di Andro, di nome Glicerio, presunta etéra, di cui si innamora Panfilo, contro il desiderio del padre, Simone; costui vorrebbe che sposasse Filùmena, figlia del suo amico Cremete, ma amata da Carino, amico di Panfilo; alla fine, il “riconoscimento” che la ragazza non è un’etéra, anzi è la figlia dello stesso Cremete che si era persa in un naufragio, dà soddisfazione a tutti con matrimoni incrociati); Hècyra (la suocera, Sostrata, a torto ritenuta colpevole del ritorno alla propria casa della nuora Filùmena; in realtà costei cerca di nascondere una gravidanza frutto di uno stupro subito prima del matrimonio; il lieto fine si ha perché si scopre che lo stupratore era stato Panfilo, prima che ne diventasse il legittimo marito; è la etéra Bacchide, vecchia amante di Panfilo, a consentire lo “scioglimento”: ha al dito un anello che apparteneva a Filùmena, e che Panfilo le ha donato proprio la notte dello stupro); Heautòntimorùmenos (il punitore di se stesso, è il vecchio Menedémo che si dedica ad una vita di privazioni e fatiche per punirsi di aver ostacolato il figlio, Clinia, nel suo amore per una ragazza povera, Antifila; si sente colpevole per averlo costretto, con i suoi rimproveri, ad arruolarsi come mercenario in Asia; in realtà Clinia è tornato segretamente, e tutto si risolverà felicemente perché si scoprirà, anche qui, che Antifila è figlia di Cremete, caro amico di Menedémo; alla sua nascita la madre, invece di ucciderla seguendo l’ordine del padre che non voleva una figlia femmina cui avrebbe dovuto fornire la dote, l’aveva “esposta”[3]); Eunuchus (l’eunuco, è un personaggio, Chérea, che si traveste così per introdursi nella casa della etéra Taide; con personaggi “plautini” - il miles gloriosus Trasone e il parasitus Gnatone - è la commedia più fortunata[4]); Phormio (Formione, è il nome del parassita protagonista); Adelphoe (i fratelli, sono i due senes che hanno allevato i figli secondo sistemi educativi opposti: autoritario ed avaro l’uno, comprensivo e generoso l’altro - e questo si dimostra migliore).

Nel suo teatro, nuovo è il prologo: non informa più, come in Plauto, sull’antefatto (ci penseranno i personaggi nelle prime scene), ma diviene occasione per dichiarazioni di poetica e polemiche con i critici. In particolare, nell’Andria si difende dall’accusa di avere “contaminato” adducendo a sua discolpa gli autorevoli precedenti di Ennio, Nevio, Plauto; nell’Eunuchus, dall’accusa di plagio (avrebbe ripreso i personaggi dell’Eunuchus  dal Colax  di Nevio e da una commedia di Plauto), sostenendo che nella palliata “nullumst iam dictum quod non dictum sit prius”; negli Adelphoe, dall’accusa di essere un prestanome dei suoi potenti protettori (ma la difesa è blanda: si dice onorato, e non offeso dall’accusa, giacché è vero che “egli è gradito a coloro che sono graditi a tutto il popolo” [5]).

Diversamente da Plauto, non ebbe un gran successo in vita: famoso il fiasco dell’Hècyra  (il pubblico abbandonò in massa la rappresentazione, una prima volta per andare ad assistere ad uno spettacolo di pugili e funamboli, una seconda volta per uno spettacolo di gladiatori); l’Eunuchus fu invece il suo più grande successo (e infatti, con le riserve di cui sopra, è la più “plautina”).

Si può dire che il teatro di Terenzio ben rappresenti l’ideologia espressa dall’ ambiente degli Scipioni: come il filo-ellenismo di questo rappresenta l’apertura verso altre etnie ed altre culture (in contrapposizione all’anti-ellenismo dei tradizionalisti che, come Catone, volevano restare chiusi entro i limiti del mos maiorum), così le commedie di Terenzio propongono l’ideale di una humanitas universale, entro cui, accanto ai boni viri, hanno diritto di cittadinanza figure tradizionalmente emarginate, “inferiori”, quali servi, parassiti, liberti, meretrici (laddove Plauto ne faceva oggetto di deformazione caricaturale). “Homo sum: humani nihil a me alienum puto”, dice Cremete nello Heautontimorùmenos, ed è una frase che ben sintetizza il riconoscimento, da parte di Terenzio, dell’esistenza di una comune sostanza umana (al di là di differenze etniche e sociali), e quindi la sua disponibilità alla comprensione e alla tolleranza[6].

Questo determina una commedia che non è più motoria, ma stataria (più che all’azione, dà rilievo alla psicologia), di caratteri (ancorché non individuali, ma per tipi: il giovane innamorato, il padre pensoso della felicità del figlio, la meretrice capace di onesto sentire, la suocera che si adopera perché il figlio voglia bene alla moglie); perde vis comica (di qui, gli insuccessi) e perde anche la varietà linguistica plautina (ora alta, ora marcatamente popolare, comunque sempre esuberante, immaginifica) in nome della medietas (ovvero di uno stile medio che accomuna tutti allo stesso livello, etico e culturale); e viene ridimensionata la figura del servus, vero protagonista delle commedie plautine (perché ciò che conta non è l’intelligenza come furbizia, ma come capacità di comprensione degli altri).

Motivo ricorrente è quello del contrasto generazionale fra senes e adulescentes (Andria, Eautontimorumenos, Adelphoe ): la novità è che il senex non è chiuso nel suo rigido mondo tradizionalista, ma si dimostra capace di comprendere i problemi dei giovani (è rovesciato, quindi, un luogo comune, connesso al mos maiorum: il padre non è autoritario, ma indulgente; cosiccome, per altro, i giovani non sono intemperanti, le suocere non bisbetiche, le etère non disoneste).


 



[1]I dati biografici li abbiamo da una Vita  di Svetonio (II sec. d. C.), conservata perché premessa da Elio Donato (un grammatico del IV sec.) a un suo commento al teatro di Terenzio.
[2]“Nondum quintum atque vicesimum annum egressum”  dice la Vita  svetoniana.
[3]A margine, si può notare come il teatro di Terenzio (ne sono esempio questo episodio e quello al centro dell’ Hécyra ) sia documento del maschilismo (del disprezzo per la donna) romano (e, presumibilmente, anche greco).
[4]Va peraltro notato, ad esempio confrontando il dialogo fra soldato e parassita qui e nel Miles gloriosus  di Plauto, come la comicità sia pur sempre diversa: fondata, in Terenzio, su allusioni e sottintesi, non su grossolane esagerazioni, scarti dal verosimile, com’era invece in Plauto.
[5]Così commenta la Vita  svetoniana: “Terenzio sembra essersi difeso piuttosto debolmente, perché sapeva che a Lelio e a Scipione non era sgradita quella opinione; così essa allora si rafforzò ancora di più e perdurò fino alle epoche successive”.  A parte ciò, mi pare che la questione resti aperta: a favore della tesi di un Terenzio prestanome ci sarebbe la grande comprensione dimostrata in tutte le commedie per la problematica e la psicologia dei senes (e questo sarebbe più proprio di qualche anziano del circolo, che non di un autore morto appena venticinquenne); d’altra parte si può obiettare che, conti alla mano, Lelio e Scipione erano pressoché coetanei di Terenzio e che, in fondo, i senes sono visti come un giovane vorrebbe che fossero: comprensivi e non autoritari.
[6]La Garbarino rileva che il cosiddetto “circolo” (meglio parlare di “ambiente”, perché non c’è un consapevole programma politico-culturale) sembra essere piuttosto una ricostruzione di Cicerone che, nel De amicitia e nel De republica, proietta in quell’ambiente suoi ideali ed aspirazioni; e conclude che l’humanitas terenziana non è un’emanazione del “circolo”, ma, caso mai, un’anticipazione (visto che, all’epoca della composizione dell’Andria, Scipione e Lelio non erano ancora ventenni; e che tutte le commedie terenziane sono anteriori all’incontro di Scipione con il filosofo stoico Panezio, il cui apporto fu fondamentale per l’elaborazione della nuova visione del mondo).

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