Augusto e la
cultura
Augusto, vinto Antonio, si presenta come il difensore
dell’Italia e delle sue tradizioni, in contrapposizione alla minaccia
dell’Oriente (di quei costumi molli e corrotti dal troppo lusso); e quindi
intende recuperare il mos maiorum (vedi le leggi contro il celibato e
l’adulterio) e la religione tradizionale (vedi la restaurazione di
antichi culti e riti). Ma, più specificamente, intende rilanciare la piccola agricoltura, ritenuta la
base della sanità italica (il “coltivatore diretto” Cincinnato è la
personificazione del mos maiorum ).
Le grandi ricchezze accumulate a seguito
dell’espansione imperialistica erano state, in parte, investite
nell’agricoltura, e precisamente nelle colture pregiate (che richiedono
non solo grossi capitali per l’acquisto di terreni, strumenti e schiavi, ma
anche l’immobilizzazione di detti capitali, e cioè la capacità di attendere la
remunerazione per un tempo relativamente lungo): vite e olivo, allevamento.
Ciò aveva comportato l’espulsione dei
piccoli proprietari, l’eliminazione della piccola azienda a
conduzione famigliare, incapace di reggere la concorrenza di chi produce
disponendo di grande quantità di manodopera servile. Il conseguente prevalere
del latifondo (e quindi della
coltura estensiva a scapito di quella intensiva) aveva comportato, alla
lunga, la necessità di importazioni
alimentari (vino dalla
Gallia, olio dall’Africa), ovvero la passività della bilancia commerciale
italiana; sul piano sociale, la riduzione del piccolo proprietario a
bracciante agricolo o proletario urbano. Le Bucoliche virgiliane risentono di questa condizione di
precarietà in cui si trova il piccolo proprietario; le Georgiche invece
corrispondono al programma augusteo di rilancio della piccola proprietà.
Per quanto riguarda la letteratura, Augusto ne capisce
l’importanza propagandistica: in particolare, si tratta di superare
il neoterismo (poesia come lusus, rivolta ad un pubblico
ristretto), senza per questo rinunciare alle conquiste di raffinatezza
stilistica. Ciò che si vuole, è una letteratura impegnata, moralmente e
civilmente: in concreto, Augusto auspica la rinascita del teatro (vedi Epistole II, 1, in cui Orazio obietta
alle direttive culturali del princeps )
e del poema epico (l’Eneide
).
Lui stesso si dilettò di letteratura, ma la
sua autobiografia (De vita sua) e la raccolta delle Epistulae sono andate perdute: ci resta il Monumentum
Ancyranum (o Res
gestae Divi Augusti), una iscrizione, su due tavole di bronzo,
ritrovata ad Ankara (ma dovevano essercene altre in altri luoghi
dell’impero) che, in uno stile semplice e lapidario, riassumeva e propagandava
il senso della sua opera politica.
Ma un vero e
proprio ministro della cultura fu Mecenate
(70-9 a. C.), dell’ordine equestre, lui stesso dilettante di poesia, ma famoso,
piuttosto, per l’opera di organizzazione culturale (riunì nel suo
“circolo” Virgilio, Orazio, Properzio) e di mediazione
fra le predilezioni individuali degli autori e la funzione civile cui il regime
chiamava la letteratura.
Una funzione
di opposizione hanno invece i circoli di Asinio Pollione (cesariano, si era ritirato dalla politica
attiva; fondò la prima biblioteca pubblica ed introdusse l’uso delle recitationes di opere poetiche in
pubblico; Virgilio gli dedicò l’ecloga IV) e di Messalla Corvino (aveva combattuto ad Azio con Ottaviano,
poi si era ritirato dalla politica, vedendo perdersi gli ideali repubblicani;
protesse poeti, fra cui Tibullo, in nome di una poesia disimpegnata, di
ispirazione arcadica).
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