venerdì 29 maggio 2015

Augusto e la cultura


Augusto e la cultura


Augusto, vinto Antonio, si presenta come il difensore dell’Italia e delle sue tradizioni, in contrapposizione alla minaccia dell’Oriente (di quei costumi molli e corrotti dal troppo lusso); e quindi intende recuperare il mos maiorum  (vedi le leggi contro il celibato e l’adulterio) e la religione tradizionale (vedi la restaurazione di antichi culti e riti). Ma, più specificamente, intende rilanciare la piccola agricoltura, ritenuta la base della sanità italica (il “coltivatore diretto” Cincinnato è la personificazione del mos maiorum ).

Le grandi ricchezze accumulate a seguito dell’espansione imperialistica erano state, in parte, investite nell’agricoltura, e precisamente nelle colture pregiate (che richiedono non solo grossi capitali per l’acquisto di terreni, strumenti e schiavi, ma anche l’immobilizzazione di detti capitali, e cioè la capacità di attendere la remunerazione per un tempo relativamente lungo): vite e olivo, allevamento. Ciò aveva comportato l’espulsione dei piccoli proprietari, l’eliminazione della piccola azienda a conduzione famigliare, incapace di reggere la concorrenza di chi produce disponendo di grande quantità di manodopera servile. Il conseguente prevalere del latifondo (e quindi della coltura estensiva a scapito di quella intensiva) aveva comportato, alla lunga, la necessità di importazioni alimentari (vino dalla Gallia, olio dall’Africa), ovvero la passività della bilancia commerciale italiana; sul piano sociale, la riduzione del piccolo proprietario a bracciante agricolo o proletario urbano. Le Bucoliche  virgiliane risentono di questa condizione di precarietà in cui si trova il piccolo proprietario; le Georgiche invece corrispondono al programma augusteo di rilancio della piccola proprietà.

Per quanto riguarda la letteratura, Augusto ne capisce l’importanza propagandistica: in particolare, si tratta di superare il neoterismo (poesia come lusus, rivolta ad un pubblico ristretto), senza per questo rinunciare alle conquiste di raffinatezza stilistica. Ciò che si vuole, è una letteratura impegnata, moralmente e civilmente: in concreto, Augusto auspica la rinascita del teatro (vedi Epistole II, 1, in cui Orazio obietta alle direttive culturali del princeps ) e del poema epico (l’Eneide ).

 Lui stesso si dilettò di letteratura, ma la sua autobiografia (De vita sua) e la raccolta delle Epistulae  sono andate perdute: ci resta il Monumentum Ancyranum  (o Res gestae Divi Augusti), una iscrizione, su due tavole di bronzo, ritrovata ad Ankara (ma dovevano essercene altre in altri luoghi dell’impero) che, in uno stile semplice e lapidario, riassumeva e propagandava il senso della sua opera politica.

Ma un vero e proprio ministro della cultura fu Mecenate (70-9 a. C.), dell’ordine equestre, lui stesso dilettante di poesia, ma famoso, piuttosto, per l’opera di organizzazione culturale (riunì nel suo “circolo” Virgilio, Orazio, Properzio) e di mediazione fra le predilezioni individuali degli autori e la funzione civile cui il regime chiamava la letteratura.

Una funzione di opposizione hanno invece i circoli di Asinio Pollione (cesariano, si era ritirato dalla politica attiva; fondò la prima biblioteca pubblica ed introdusse l’uso delle recitationes di opere poetiche in pubblico; Virgilio gli dedicò l’ecloga IV) e di Messalla Corvino (aveva combattuto ad Azio con Ottaviano, poi si era ritirato dalla politica, vedendo perdersi gli ideali repubblicani; protesse poeti, fra cui Tibullo, in nome di una poesia disimpegnata, di ispirazione arcadica).

 

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