L’elegia
L’elegia è un
componimento in distici, detti appunto “elegiaci”, composti da un esametro e un
pentametro. L’etimologia è incerta (forse da “eleghos”, canto di lamento
funebre). Di fatto le tematiche sono varie e poco hanno a che fare con la
morte. Già dalla fase più arcaica si distinguono:
1) l’elegia guerresca, di Callino e Tirteo (VII sec.), che
esorta alla battaglia, all’esercizio dell’aretè;
2) l’elegia politica di Solone (VII-VI sec.);
3) l’elegia gnomica (o sentenziosa) di Teognide
(VI-V sec.), che esalta i valori morali, che si vanno perdendo, del mondo
aristocratico.
4) l’elegia erotica (o amorosa) di Mimnermo (VII-VI
sec.), che canta l’amore e la giovinezza che fugge.
Nell’età
ellenistica c’è una ripresa del genere, che però si caratterizza
soprattutto per la tematica amorosa e per l’erudizione mitologica
(così in Callimaco e in Filita di Cos). L’elegia latina riprende
quella alessandrina, ma si diversifica perché il mito non è più l’elemento
principale e quindi il carattere lirico-soggettivo prevale su quello
narrativo-oggettivo. Non è da escludere una contaminazione con l’epigramma
alessandrino, che, pur sempre in distici elegiaci, era più breve dell’elegia e
trattava tematiche personali.
Catullo può essere considerato il primo autore di elegie (il carmen
doctum 68, che collega l’amore mitologico fra Protesilao e Laodamia (1) a quello del
poeta per Lesbia, è in linea coi modelli alessandrini). Del resto è proprio Properzio
che lo indica come uno dei poeti d’amore, in versi elegiaci, di cui egli stesso
si sente successore. Ovidio invece (in Tristia, IV, 10, 51-54)
indica come iniziatore Cornelio Gallo (2), e come
continuatori Tibullo, Properzio e se stesso (“Vergilium vidi tantum, nec
avara Tibullo / tempus amicitiae fata dedere meae. / Successor fuit hic tibi,
Galle, Propertius illi; / quartus ab his serie temporis ipse fui”). Quintiliano
(nelle Institutiones oratoriae, X, 1, 93) ci indica gli stessi quattro
poeti, non in ordine cronologico, ma di valore (“Elegia quoque Graecos
provocamus, cuius mihi tersus atque elegans maxime videtur auctor Tibullus.
Sunt qui Propertium malint. Ovidius utroque lascivior, sicut durior Gallus”).
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1) Appena sposato, Protesilao dovette
partire per Troia. Fu il primo a sbarcare e quindi, secondo la profezia
dell’oracolo, il primo a morire. Ottiene dagli dei degli Inferi di poter
tornare per un giorno da Laodamia, la moglie inconsolabile. Quando lui
ridiscende negli Inferi, lei costruisce una statua di cera con le sue fattezze
e ci dorme insieme. Il padre (Acasto) la scopre e fa bruciare la statua. Lei si
uccide (buttandosi nel fuoco o pugnalandosi).
2) Nato, secondo alcuni a Forlì (Forum
Livi), secondo altri a Frejus (Forum Iulii, fra Nizza e Marsiglia)
nel 69-68 a.C., dopo una carriera politica, al seguito di Ottaviano, che
l’aveva portato alla prefettura d’Egitto, cadde in disgrazia, fu condannato
all’esilio e si diede la morte (27-26 a.C.). La perdita della sua produzione
poetica (una raccolta intitolata Amores, in cui cantava, con
ricchezza di riferimenti mitologici, il suo amore per una Licoride) è
probabilmente dovuta alla damnatio memoriae che dovette subire.
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