domenica 31 maggio 2015

Properzio: la vita e l'opera


 

Properzio

Nacque ad Assisi (16) intorno al 50 a.C., da famiglia agiata che però dovette subire l’espropriazione di terre (17). Venuto a Roma, fra il 29 e il 28 pubblicò il suo primo libro di elegie d’amore, che attirò l’attenzione di Mecenate e dei suoi amici. Entrò quindi a far parte del “circolo”, tant’è che il secondo libro è dedicato a Mecenate, indicato come patrono e protettore. Seguirono altri due libri e si presume che sia morto nel 15 a.C.

Il tema dominante nei primi tre libri è quello dell’amore per Cinzia (il cui vero nome pare fosse Hostia) (18), un tema dichiarato nell’elegia proemiale del I libro, in cui l’autore si presenta subito come l’innamorato infelice (miser), che, sottomesso ad un padrona (domina) crudele, ha perso dignità e ragionevolezza, pertanto chiede aiuto alla magia perché lo liberi dall’incantesimo, alla medicina perché lo guarisca dalla malattia, agli amici perché lo conducano lontano.

Già nel primo libro (detto anche Monòbiblos (19), contiene 22 elegie) – ma poi più chiaramente nelle recusationes rivolte a Mecenate nel secondo – Properzio, contrapponendo Mimnermo ad Omero, afferma la sua predilezione per la poesia leggera (lenia carmina) ispirata dall’amore, rispetto alla poesia “alta”, qual è quella epica (20). E’ una scelta poetica che corrisponde ad una scelta di vita, accettata pur sapendo che è una scelta che comporta nequitia (abiezione morale, dissolutezza) e che contrasta con i valori tradizionali (di impegno politico, di servizio per la patria) che dovrebbe seguire un cittadino romano (21). 

Il secondo libro (contiene 34 componimenti) si apre con la dedica a Mecenate e con la recusatio (il rifiuto) di dedicarsi alla poesia epica (evidentemente richiestagli dal patrono e forse dallo stesso Augusto): Properzio ribadisce che la sua fonte di ispirazione è e resta la puella (22). Addirittura in II, 7 - laddove esulta per il ritiro di una proposta di legge che l’avrebbe costretto al matrimonio (23) - osa contraddire gli orientamenti ideologici del regime: “Unde mihi patriis natos praebere triumphis? / Nullus de nostro sanguine miles erit./… Tu mihi sola places; placeam tibi, Cynthia, solus: / hic erit et patrio nomine pluris amor.” (24)

Nel terzo libro (25 elegie) le tematiche si ampliano, forse perchè il poeta ritiene di avere ampiamente sfruttato il tema amoroso o forse a seguito delle insistenti sollecitazioni che provengono da Mecenate. L’epica viene ancora rifiutata a favore dell’elegia (Properzio si dichiara degno di stare accanto ai grandi elegiaci alessandrini, Callimaco e Filita), tuttavia ora troviamo anche carmi celebrativi (una celebrazione di Augusto, un compianto per la morte di Marcello, un elogio dell’Italia). Le ultime due elegie sono quelle del discidium (rottura, separazione), in cui il poeta annuncia, con anche una serie topica di maledizioni e imprecazioni, la fine del suo amore per Cinzia. Non sappiamo se si tratti di un evento biograficamente reale o se si alluda, in termini simbolici, all’intenzione di abbandonare la poesia d’amore. Di fatto, ritornano i motivi (enunciati proprio nella prima elegia del primo libro) dei rimedi inutilmente tentati (la magia, l’aiuto degli amici, il viaggio) e quindi si esprime la gioia per essere finalmente guarito dalle ferite d’amore (25).

Nel quarto libro (11 elegie) sembra che le richieste di Mecenate abbiano trovato accoglienza. Nell’elegia proemiale infatti Properzio enuncia un programma di poesia eziologica -Sacra diesque canam et cognomina prisca locorum” (26) - , pur sempre ad imitazione del grande modello alessandrino, quel Callimaco, autore degli Aitia, di cui egli stesso si sente erede al punto di definirsi “Callimaco romano” (IV, 1, 64). Abbiamo così le cosiddette “elegie romane”, anche se, su undici complessive sono soltanto sei - dopo la proemiale, la 2, la 4, la 6, la 9, la 10 (27). Quattro sono di carattere amoroso (in due di esse addirittura ricompare Cinzia: nella 7 è il fantasma di lei ormai morta ad apparire al poeta per garantirgli la propria fedeltà e rimproverare a lui i tradimenti; nella 8 invece è viva e vegeta, ha tradito il poeta ma, col tipico atteggiamento da domina autoritaria, con durezza rimprovera lui per essersi voluto vendicare passando una serata con due allegre ragazze) (28).

A sè stante è la 11, detta “regina elegiarum”: non ha carattere eziologico, ma può rientrare fra le elegie “romane” in quanto in essa si celebrano valori patriottici e morali. E’ una matrona defunta che parla, Cornelia, la quale, rivolgendosi al marito, descrive la propria vita di sposa e madre esemplare: sono dunque gli affetti famigliari e l’amore coniugale che si esaltano, non l’amore passionale e dissennato; sono le virtù romane, che appartengono alla sana tradizione italica, quella tradizione che in quegli stessi anni Augusto intende restaurare.  
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16) E’ probabile, perché in IV, 1, 125 si parla di Asis (Assisi), ma alcuni leggono arcis (rocca). Ma è vero che ad Assisi si trovano iscrizioni relative alla gens Propertia.
17) Probabilmente perché si schierò dalla parte di Antonio nella guerra di Perugia del 40 a.C.
18) Ce lo dice Apuleio in Apologia ,10. Da notare come lo pseudonimo scelto (Cinzia), al pari di quello della donna di Tibullo (Delia), abbia a che fare c on le due divinità (Apollo e Diana) nate sul monte Cinto, nell’isola di Delo.
19) “Libro unico”, perché il suo contenuto è omogeneo, essendo quasi totalmente dedicato all’amore per Cinzia.
20) “Plus in amore valet Mimnermi versus Homero; / carmina mansuetus lenia quaerit Amor.” (I, 7, 11-12). “In amore vale più il verso di Mimnermo che Omero; il pacifico Amore vuole carmi leggeri”.
21) Nell’elegia I, 6 (un propemptikòn per l’amico Tullo che sta partendo per l’Oriente, al seguito dello zio, proconsole d’Asia) rifiuta di seguire l’amico adducendo la malattia d’amore che, colpevolmente, lo trattiene (“Me sine…. Hanc animam extremae reddere nequitiae”, “Lascia che io consegni la mia anima all’estrema abiezione”) e la constatazione (fra il rammarico e il compiacimento) di non essere adatto ad altra militia che a quella d’amore (“Non ego sum laudi, non natus idoneus armis: / hanc me militiam fata subire volunt.”, “Non sono nato per la gloria, non sono adatto alle armi: i fati vogliono che io subisca questa milizia”).
22) “Non haec Calliope, non haec mihi cantat Apollo: / ingenium nobis ipsa puella facit.” (II, 1, 3-4).”Questi versi non me li detta Calliope, non Apollo: è la fanciulla stessa che mi dà l’ispirazione”
23) E’ una questione molto controversa. Se  Properzio esulta per il suo ritiro, vuol dire che non avrebbe potuto sposare Cinzia. Ciò significa (lo deduciamo dalla lex Iulia promulgata nel 18 a.C., supponendola simile a quella a cui si riferisce Properzio e che era ancora un progetto su cui si discuteva) che Cinzia era o una cortigiana o una liberta (la legge, che voleva favorire l’incremento delle nascite e sanzionava il celibato, impediva matrimoni fra persone di rango sociale diverso).
24) II, 7, 13-14; 19-20. (“Perché dovrei offrire i miei figli per i trionfi della patria? Nessun soldato nascerà dal mio sangue… Tu sola mi piaci; io solo possa piacerti, Cinzia: questo amore conterà di più del nome di padre.”)
25) “Nunc demum vasto fessi resipiscimus aestu, / vulneraque ad sanum nunc coiere mea.” (III, 24, 17-18). “Ora finalmente, spossato dalla grande tempesta, ritrovo la salute, ora le mie ferite, sanate, si sono richiuse.”.
26) IV, 1, 69 (“Canterò i riti sacri, i giorni e i nomi antichi dei luoghi”).
27) Famosa la 4, in cui si spiega l’origine del nome della rupe Tarpea, narrando la storia della Vestale che, innamoratasi del re sabino Tito Tazio, aveva tradito la patria.
28) La 3 è una lettera d’amore di una sposa (Aretusa) al marito (Licota) impegnato in una spedizione militare in Oriente (dunque ricorda le Heroides di Ovidio); la 5 è una invettiva contro una lena, colpevole di corrompere la puella.

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