Properzio
Nacque ad Assisi (16) intorno al 50 a.C., da famiglia agiata che
però dovette subire l’espropriazione di terre (17). Venuto a Roma, fra il 29 e il 28 pubblicò il suo
primo libro di elegie d’amore, che attirò l’attenzione di Mecenate e dei suoi
amici. Entrò quindi a far parte del “circolo”, tant’è che il secondo libro è
dedicato a Mecenate, indicato come patrono e protettore. Seguirono altri due
libri e si presume che sia morto nel 15 a.C.
Il tema dominante
nei primi tre libri è quello dell’amore per Cinzia (il cui vero
nome pare fosse Hostia) (18), un tema dichiarato nell’elegia proemiale del I
libro, in cui l’autore si presenta subito come l’innamorato infelice (miser),
che, sottomesso ad un padrona (domina) crudele, ha perso dignità e
ragionevolezza, pertanto chiede aiuto alla magia perché lo liberi
dall’incantesimo, alla medicina perché lo guarisca dalla malattia, agli amici
perché lo conducano lontano.
Già nel primo
libro (detto anche Monòbiblos (19), contiene 22 elegie) – ma poi più chiaramente nelle recusationes
rivolte a Mecenate nel secondo – Properzio, contrapponendo Mimnermo ad Omero,
afferma la sua predilezione per la poesia leggera (lenia carmina)
ispirata dall’amore, rispetto alla poesia “alta”, qual è quella epica (20). E’ una scelta poetica che corrisponde ad una scelta
di vita, accettata pur sapendo che è una scelta che comporta nequitia
(abiezione morale, dissolutezza) e che contrasta con i valori tradizionali (di
impegno politico, di servizio per la patria) che dovrebbe seguire un cittadino
romano (21).
Il secondo
libro (contiene 34 componimenti) si apre con la dedica a Mecenate e
con la recusatio (il rifiuto) di dedicarsi alla poesia epica
(evidentemente richiestagli dal patrono e forse dallo stesso Augusto):
Properzio ribadisce che la sua fonte di ispirazione è e resta la puella (22). Addirittura in II, 7 - laddove esulta per il ritiro di
una proposta di legge che l’avrebbe costretto al matrimonio (23) - osa contraddire gli orientamenti ideologici del
regime: “Unde mihi patriis natos praebere triumphis? / Nullus de nostro
sanguine miles erit./… Tu mihi sola places; placeam tibi, Cynthia, solus: /
hic erit et patrio nomine pluris amor.” (24)
Nel terzo
libro (25 elegie) le tematiche si ampliano, forse perchè il
poeta ritiene di avere ampiamente sfruttato il tema amoroso o forse a seguito
delle insistenti sollecitazioni che provengono da Mecenate. L’epica viene
ancora rifiutata a favore dell’elegia (Properzio si dichiara degno di
stare accanto ai grandi elegiaci alessandrini, Callimaco e Filita),
tuttavia ora troviamo anche carmi celebrativi (una celebrazione di
Augusto, un compianto per la morte di Marcello, un elogio dell’Italia). Le
ultime due elegie sono quelle del discidium (rottura,
separazione), in cui il poeta annuncia, con anche una serie topica di
maledizioni e imprecazioni, la fine del suo amore per Cinzia. Non sappiamo se
si tratti di un evento biograficamente reale o se si alluda, in termini
simbolici, all’intenzione di abbandonare la poesia d’amore. Di fatto, ritornano
i motivi (enunciati proprio nella prima elegia del primo libro) dei rimedi
inutilmente tentati (la magia, l’aiuto degli amici, il viaggio) e quindi si
esprime la gioia per essere finalmente guarito dalle ferite d’amore (25).
Nel quarto
libro (11 elegie) sembra che le richieste di Mecenate abbiano trovato
accoglienza. Nell’elegia proemiale infatti Properzio enuncia un programma di poesia
eziologica - “Sacra diesque canam et cognomina prisca locorum” (26) - , pur sempre ad imitazione del grande modello
alessandrino, quel Callimaco, autore degli Aitia, di cui egli
stesso si sente erede al punto di definirsi “Callimaco romano” (IV, 1,
64). Abbiamo così le cosiddette “elegie romane”, anche se, su undici
complessive sono soltanto sei - dopo la proemiale, la 2, la 4, la 6, la
9, la 10 (27). Quattro sono di carattere amoroso (in
due di esse addirittura ricompare Cinzia: nella 7 è il fantasma di lei
ormai morta ad apparire al poeta per garantirgli la propria fedeltà e
rimproverare a lui i tradimenti; nella 8 invece è viva e vegeta, ha tradito il
poeta ma, col tipico atteggiamento da domina autoritaria, con durezza
rimprovera lui per essersi voluto vendicare passando una serata con due allegre
ragazze) (28).
A sè stante è la 11,
detta “regina elegiarum”: non ha carattere eziologico, ma può
rientrare fra le elegie “romane” in quanto in essa si celebrano valori
patriottici e morali. E’ una matrona defunta che parla, Cornelia, la
quale, rivolgendosi al marito, descrive la propria vita di sposa e madre
esemplare: sono dunque gli affetti famigliari e l’amore coniugale che si
esaltano, non l’amore passionale e dissennato; sono le virtù romane, che
appartengono alla sana tradizione italica, quella tradizione che in
quegli stessi anni Augusto intende restaurare.
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16) E’ probabile, perché in IV, 1, 125 si
parla di Asis (Assisi), ma alcuni leggono arcis (rocca). Ma è
vero che ad Assisi si trovano iscrizioni relative alla gens Propertia.
17) Probabilmente perché si schierò dalla
parte di Antonio nella guerra di Perugia del 40 a.C.
18) Ce lo dice Apuleio in Apologia ,10.
Da notare come lo pseudonimo scelto (Cinzia), al pari di quello della donna di
Tibullo (Delia), abbia a che fare c on le due divinità (Apollo e Diana) nate
sul monte Cinto, nell’isola di Delo.
19) “Libro unico”, perché il suo contenuto
è omogeneo, essendo quasi totalmente dedicato all’amore per Cinzia.
20) “Plus in amore valet
Mimnermi versus Homero; / carmina mansuetus lenia quaerit Amor.” (I, 7, 11-12). “In amore vale più il verso di Mimnermo che Omero; il
pacifico Amore vuole carmi leggeri”.
21) Nell’elegia I, 6 (un propemptikòn
per l’amico Tullo che sta partendo per l’Oriente, al seguito dello zio,
proconsole d’Asia) rifiuta di seguire l’amico adducendo la malattia d’amore
che, colpevolmente, lo trattiene (“Me sine…. Hanc animam extremae reddere
nequitiae”, “Lascia che io
consegni la mia anima all’estrema abiezione”) e la constatazione (fra il
rammarico e il compiacimento) di non essere adatto ad altra militia che
a quella d’amore (“Non ego sum laudi, non natus idoneus armis: / hanc me
militiam fata subire volunt.”, “Non sono nato per la gloria, non sono adatto
alle armi: i fati vogliono che io subisca questa milizia”).
22) “Non haec Calliope, non haec mihi
cantat Apollo: / ingenium nobis ipsa puella facit.” (II, 1, 3-4).”Questi
versi non me li detta Calliope, non Apollo: è la fanciulla stessa che mi dà
l’ispirazione”
23) E’ una questione molto controversa.
Se Properzio esulta per il suo ritiro, vuol dire che non avrebbe potuto
sposare Cinzia. Ciò significa (lo deduciamo dalla lex Iulia promulgata
nel 18 a.C., supponendola simile a quella a cui si riferisce Properzio e che
era ancora un progetto su cui si discuteva) che Cinzia era o una cortigiana o
una liberta (la legge, che voleva favorire l’incremento delle nascite e
sanzionava il celibato, impediva matrimoni fra persone di rango sociale
diverso).
24) II, 7, 13-14; 19-20. (“Perché dovrei
offrire i miei figli per i trionfi della patria? Nessun soldato nascerà dal mio
sangue… Tu sola mi piaci; io solo possa piacerti, Cinzia: questo amore conterà
di più del nome di padre.”)
25) “Nunc demum vasto fessi resipiscimus
aestu, / vulneraque ad sanum nunc coiere mea.” (III, 24, 17-18). “Ora
finalmente, spossato dalla grande tempesta, ritrovo la salute, ora le mie
ferite, sanate, si sono richiuse.”.
26) IV, 1, 69 (“Canterò i riti sacri, i
giorni e i nomi antichi dei luoghi”).
27) Famosa la 4, in cui si spiega l’origine
del nome della rupe Tarpea, narrando la storia della Vestale che, innamoratasi
del re sabino Tito Tazio, aveva tradito la patria.
28) La 3 è una lettera d’amore di una sposa
(Aretusa) al marito (Licota) impegnato in una spedizione militare in Oriente
(dunque ricorda le Heroides di Ovidio); la 5 è una invettiva
contro una lena, colpevole di corrompere la puella.
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