domenica 31 maggio 2015

Tibullo: la vita e l'opera


Tibullo

I dati biografici, deducibili dalle sue elegie, sono incerti. Nacque attorno al 50 a.C. a Gabii, nel Lazio, da una famiglia equestre, piuttosto agiata (3), anche se dovette subire la confisca di terreni nel corso delle guerre civili.

Fece parte del “circolo” (o cohors amicorum) di Messalla Corvino (4) (che seguì nelle spedizioni militari, sia in Aquitania che in Oriente). Morì nel 19 a.C., poco dopo Virgilio.

Di lui ci resta il cosiddetto corpus tibullianum, che consta di tre libri di elegie, di cui i primi due certamente autentici, il terzo  comprende prevalentemente poesie di altri poeti, non precisamente identificabili, ma presumibilmente facenti parte del circolo di Messalla.

Il primo libro contiene 10 elegie, in maggior parte (cinque) dedicate ad una donna chiamata Delia (ma ce ne sono anche tre dedicate a un giovinetto di nome Màrato, una è un elogio di Messalla in occasione del suo compleanno, la decima celebra la pace e la vita agreste). La prima ha un evidente valore programmatico: qui infatti il poeta afferma la sua predilezione per la vita semplice in campagna, accanto all’amata Delia; non desidera ricchezze né gloria, e dunque disdegna la vita pericolosa del mercante e del soldato (5); si dedichi Messalla alle imprese gloriose, a Tibullo basta la militia d’amore e il pensiero che Delia gli sarà accanto piangente nel giorno della morte (6). Il motivo dell’amore per la vita campestre torna anche nella decima, ove si deplora la guerra e si esalta funzione civilizzatrice della pace: allora si arrugginiscono le armi e luccicano gli attrezzi del contadino; allora ci si può dedicare ad un’altra militia, quella d’amore; ed è una battaglia che implica litigi ed anche violenza (si sfondano porte, si strappano vesti, si provoca il pianto della fanciulla – ma senza essere troppo maneschi…).

Il secondo libro contiene 6 elegie, in maggior parte (tre) dedicate a una donna chiamata Nemesi (7) (mentre la prima descrive la festa rurale degli Ambarvalia (8), la seconda celebra il compleanno dell’amico Cornuto, la quinta è dedicata al figlio di Messalla, Messalino, in occasione del suo ingresso in un collegio sacerdotale).

Il terzo libro raccoglie 20 elegie, di cui solo le ultime due sono sicuramente autentiche (sono elegie d’amore per una puella di cui non viene fatto il nome). Nelle prime sei un poeta di nome Lìgdamo (9) canta il suo amore infelice per una certa Neèra. La settima è il cosiddetto Panegyricum Messallae (in esametri, celebra le arti oratorie e le virtù militari del mecenate). Nei restanti componimenti (8-18) si canta l’amore di Sulpicia (forse era la nipote di Messalla) per un giovinetto di nome Cerinto: ci sono sia elegie (di Cerinto a Sulpicia) che epigrammi (di Sulpicia a Cerinto) (10).

I temi trattati - quello amoroso soprattutto, ma anche altri: quello del rifiuto della guerra (11), dell’amore per la campagna (12), del disprezzo per le ricchezze (13) - riprendono motivi convenzionali, luoghi comuni consolidati dalla tradizione letteraria, in particolare con riferimento ai modelli alessandrini (Callimaco soprattutto, ma nella idealizzazione della vita dei campi non si può non riconoscere l’influenza dell’opera di Virgilio). Non è un caso che fra le elegie (d’amore, ma non solo) di Tibullo e quelle di Properzio ci siano tante affinità, si presentino situazioni sentimentali analoghe (l’infedeltà della donna e la conseguente gelosia, la condanna al servitium amoris (14), il vagheggiamento della morte confortata dalla presenza dell’amata (15), ecc). Sicchè non è possibile capire fino a che punto quelle liriche rappresentino esperienze realmente vissute o invece si tratti di pure rielaborazioni letterarie.

E’ quasi del tutto assente l’erudizione mitologica, invece caratteristica dell’elegia alessandrina e fondamentale nell’opera di Properzio.

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3) Nell’ Epistola I, 4 Orazio invita Albio (Tibullo) a godere dei beni che la sorte gli ha concesso: della ricchezza (dunque era ricco), oltre che della bellezza, dell’intelligenza e della sapienza.
4) Messalla aveva combattuto a Filippi con i cesaricidi, ma era poi passato con Ottaviano (suo collega nel consolato del 31, comandante di una parte della flotta ad Azio, comandante di spedizioni militari), di cui quindi non fu certo un oppositore (checché ne dica Tacito in Ann., VI, 11). Dunque gli intellettuali che si riunivano attorno a lui non rappresentavano tanto una corrente letteraria di opposizione al regime, quanto piuttosto un modo diverso di intendere la poesia (non sostegno e celebrazione del regime, ma disimpegno e autonomia dalla politica; e dunque, come si può vedere in Tibullo, ripresa dei topoi di antica e più recente tradizione letteraria, quali la passione d’amore, la serenità della vita in campagna, la pace contrapposta alla guerra).
5) E’ il confronto fra le diverse scelte di vita, presente anche in Orazio, Carmina I, 1 (ma anche in Satire, I, 1).
6) E’ un motivo che si ritrova anche in Properzio, I, 17.
7) Probabilmente il nome identifica una donna con la quale Tibullo intende “vendicarsi” della infedeltà di Delia.
8) Era una festa campestre che si celebrava all’inizio della primavera e che si incentrava nel rito della purificazione dei campi (lustratio agrorum).
9) Visto che indica nel 43 la propria data di nascita, si crede che possa trattarsi di Ovidio ancora giovane (era nato proprio in quell’anno).
10) Si può credere che dietro quei nomi si nascondano poeti del circolo.
11) Come già visto, nella I, 10. L’esaltazione della pace converge oggettivamente con la politica del princeps (che appunto intendeva presentarsi come colui che aveva posto fine a un lungo periodo di guerre civili), ma è anche un topos a cui, nella poesia tibulliana, si associano le gioie dell’amore e di una vita sobria e serena in campagna.
12) Particolarmente nella II, 1 (per la festa di Ambarvalia), ma anche nella I, 1.
13) Ad esempio, nella I, 1.
14) E’ la “schiavitù d’amore”, ad esempio in II, 4
15) Come già visto, in Tibullo nella I, 1, in Properzio nella I, 17.

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