Tibullo
I dati biografici,
deducibili dalle sue elegie, sono incerti. Nacque attorno al 50 a.C. a Gabii,
nel Lazio, da una famiglia equestre, piuttosto agiata (3), anche se
dovette subire la confisca di terreni nel corso delle guerre civili.
Fece parte del
“circolo” (o cohors amicorum) di Messalla Corvino (4) (che seguì nelle
spedizioni militari, sia in Aquitania che in Oriente). Morì nel 19 a.C.,
poco dopo Virgilio.
Di lui ci resta
il cosiddetto corpus tibullianum, che consta di tre libri di
elegie, di cui i primi due certamente autentici, il terzo
comprende prevalentemente poesie di altri poeti, non precisamente
identificabili, ma presumibilmente facenti parte del circolo di Messalla.
Il primo libro
contiene 10 elegie, in maggior parte (cinque) dedicate ad una donna
chiamata Delia (ma ce ne sono anche tre dedicate a un giovinetto
di nome Màrato, una è un elogio di Messalla in occasione del suo
compleanno, la decima celebra la pace e la vita agreste). La prima
ha un evidente valore programmatico: qui infatti il poeta afferma la sua
predilezione per la vita semplice in campagna, accanto all’amata Delia; non
desidera ricchezze né gloria, e dunque disdegna la vita pericolosa del mercante
e del soldato (5); si dedichi
Messalla alle imprese gloriose, a Tibullo basta la militia d’amore e il
pensiero che Delia gli sarà accanto piangente nel giorno della morte (6). Il motivo dell’amore per la vita campestre torna
anche nella decima, ove si deplora la guerra e si esalta funzione
civilizzatrice della pace: allora si arrugginiscono le armi e luccicano gli
attrezzi del contadino; allora ci si può dedicare ad un’altra militia,
quella d’amore; ed è una battaglia che implica litigi ed anche violenza (si
sfondano porte, si strappano vesti, si provoca il pianto della fanciulla – ma
senza essere troppo maneschi…).
Il secondo
libro contiene 6 elegie, in maggior parte (tre) dedicate a una donna
chiamata Nemesi (7) (mentre la prima
descrive la festa rurale degli Ambarvalia (8), la seconda celebra il compleanno dell’amico Cornuto,
la quinta è dedicata al figlio di Messalla, Messalino, in occasione del suo
ingresso in un collegio sacerdotale).
Il terzo libro
raccoglie 20 elegie, di cui solo le ultime due sono sicuramente
autentiche (sono elegie d’amore per una puella di cui non viene
fatto il nome). Nelle prime sei un poeta di nome Lìgdamo (9) canta il suo
amore infelice per una certa Neèra. La settima è il cosiddetto Panegyricum
Messallae (in esametri, celebra le arti oratorie e le virtù militari del
mecenate). Nei restanti componimenti (8-18) si canta l’amore di Sulpicia
(forse era la nipote di Messalla) per un giovinetto di nome Cerinto: ci
sono sia elegie (di Cerinto a Sulpicia) che epigrammi (di Sulpicia a Cerinto) (10).
I temi trattati
- quello amoroso soprattutto, ma anche altri: quello del rifiuto della guerra (11), dell’amore per la campagna (12), del disprezzo per le ricchezze (13) - riprendono motivi convenzionali, luoghi comuni
consolidati dalla tradizione letteraria, in particolare con riferimento ai
modelli alessandrini (Callimaco soprattutto, ma nella idealizzazione
della vita dei campi non si può non riconoscere l’influenza dell’opera di Virgilio).
Non è un caso che fra le elegie (d’amore, ma non solo) di Tibullo e quelle di
Properzio ci siano tante affinità, si presentino situazioni sentimentali
analoghe (l’infedeltà della donna e la conseguente gelosia, la condanna al servitium
amoris (14), il vagheggiamento della morte confortata dalla
presenza dell’amata (15), ecc). Sicchè non è possibile capire fino a che punto
quelle liriche rappresentino esperienze realmente vissute o invece si tratti di
pure rielaborazioni letterarie.
E’ quasi del
tutto assente l’erudizione mitologica, invece caratteristica dell’elegia alessandrina
e fondamentale nell’opera di Properzio.
3) Nell’ Epistola I, 4 Orazio
invita Albio (Tibullo) a godere dei beni che la sorte gli ha concesso: della
ricchezza (dunque era ricco), oltre che della bellezza, dell’intelligenza e
della sapienza.
4) Messalla aveva combattuto a Filippi con
i cesaricidi, ma era poi passato con Ottaviano (suo collega nel consolato del
31, comandante di una parte della flotta ad Azio, comandante di spedizioni
militari), di cui quindi non fu certo un oppositore (checché ne dica Tacito in Ann.,
VI, 11). Dunque gli intellettuali che si riunivano attorno a lui non
rappresentavano tanto una corrente letteraria di opposizione al regime, quanto
piuttosto un modo diverso di intendere la poesia (non sostegno e celebrazione
del regime, ma disimpegno e autonomia dalla politica; e dunque, come si può
vedere in Tibullo, ripresa dei topoi di antica e più recente tradizione
letteraria, quali la passione d’amore, la serenità della vita in campagna, la
pace contrapposta alla guerra).
5) E’ il confronto fra le diverse scelte
di vita, presente anche in Orazio, Carmina I, 1 (ma anche in Satire,
I, 1).
6) E’ un motivo che si ritrova anche in
Properzio, I, 17.
7) Probabilmente il nome identifica una
donna con la quale Tibullo intende “vendicarsi” della infedeltà di Delia.
8) Era una festa campestre che si
celebrava all’inizio della primavera e che si incentrava nel rito della
purificazione dei campi (lustratio agrorum).
9) Visto che indica nel 43 la propria data
di nascita, si crede che possa trattarsi di Ovidio ancora giovane (era
nato proprio in quell’anno).
10) Si può credere che dietro quei nomi si
nascondano poeti del circolo.
11) Come già visto, nella I, 10.
L’esaltazione della pace converge oggettivamente con la politica del princeps
(che appunto intendeva presentarsi come colui che aveva posto fine a un lungo
periodo di guerre civili), ma è anche un topos a cui, nella poesia
tibulliana, si associano le gioie dell’amore e di una vita sobria e serena in
campagna.
12) Particolarmente nella II, 1 (per la
festa di Ambarvalia), ma anche nella I, 1.
13) Ad esempio, nella I, 1.
14) E’ la “schiavitù d’amore”, ad esempio
in II, 4
15) Come già visto, in Tibullo nella I, 1,
in Properzio nella I, 17.
Nessun commento:
Posta un commento