mercoledì 12 agosto 2015

Leopardi: il pensiero politico

Leopardi progressista?

B. BIRAL, La posizione storica di G. Leopardi,
Einaudi 1974, pp. 146-158.
 
Timpanaro osserva giustamente a Luporini: il progressismo ideologico di Leopardi (la lotta per la liberazione dell’uomo da pregiudizi religiosi e metafisici e per la conquista di una visione del mondo integralmente laica) non implica necessariamente un progressismo politico. Invero Leopardi è contro l’idea di perfettibilità della società, giacché questa (nella fase del "pessimismo cosmico" o "disperazione ontologica") non può che apparirgli come una proiezione della natura maligna (4).
L’inno Ad Arimane, la Palinodia, il Tristano, cosiccome i Paralipomeni (a torto ritenuti da Luporini una critica da sinistra ai liberali) non fanno che ribadire questo principio: l’infelicità è un dato naturale, immancabilmente riprodotta da qualsiasi società; ed è un’indebita estrapolazione ritenere (come fa, ad esempio, Luporini) che tale posizione sia una sorta di requisitoria indiretta contro la società borghese (l’esatto contrario di quell’apologia indiretta, che, secondo Lukacs, sarebbe di Schopenhauer).
Ma non c’è dubbio che La ginestra contenga un fatto nuovo, non deducibile dal precedente pensiero leopardiano (una sorta di incoerenza che era già stata avvertita da De Sanctis): appare spezzata la catena natura-infelicità-malvagità degli uomini; l’ideale dell’"onesto e retto / conversar cittadino / e giustizia e pietade " comporta una rivalutazione delle virtù dell’uomo, considerate non naturali, ma acquisto dell’uomo stesso in un futuro processo storico; l’idea di una impossibile redenzione, espressa in termini netti nella Palinodia ("Sempre... sempre..."), subisce un cambiamento radicale, perché l’umanità cosciente si ribella e concepisce un grandioso progetto contro la natura.
Certo, più che di un progetto in positivo, si tratta di un progetto di resistenza al male: ma lucido e disilluso, perché non fondato su vane "fole", ma sulla consapevolezza di Tristano: "...calpesto la vigliaccheria degli uomini, rifiuto ogni consolazione ed ogn’inganno puerile, ed ho il coraggio di sostenere la privazione di ogni speranza, mirare intrepidamente il deserto della vita, non dissimularmi nessuna parte dell’infelicità umana, ed accettare tutte le conseguenze di una filosofia dolorosa, ma vera "); e perciò intrinsecamente "progressivo", perché "finché l’uomo è certo che esiste il male e lo chiama col suo nome, il male ha trovato una soglia dove arrestarsi" (p. 175).
 
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