mercoledì 12 agosto 2015

Leopardi: il pensiero

L’ideologia di Leopardi
 
G. F. VENE’, Capitale e letteratura,
Garzanti 1974, pp. 100-114.

Il pessimismo leopardiano è opposizione al falso progresso portato dallo sviluppo industriale: nello Zibaldone (p. 4199), già nel ’26, elencando le invenzioni più clamorose (mongolfiera, vapore, telegrafo), Leopardi negava che tutto ciò potesse, di per sé, giovare allo stato degli uomini; contro l’ottimismo trionfante, è più lucido lui, che avverte come l’industrialismo comporti logica del profitto, guerra ed infelicità (esemplare, in questo senso, la Palinodia al marchese Gino Capponi: in particolare, i vv. 59-68, dove s’intravede la possibilità di guerre mondiali come conseguenza della lotta per la conquista dei mercati).
Compito del poeta non è quello di farsi apologeta della tecnica, ma quello di denunciare la mistificazione che si mette in atto nel nome della tecnica: prima fra tutte, quella di sostituire l’uomo reale con un’entità astratta (la "massa"), e di fare della "felicità delle masse" la cortina fumogena dietro cui viene nascosta l’infelicità dei singoli (cfr. Palinodia, vv. 197-207) (3).
Ma mentre in Schopenhauer una simile visione negativa è assolutizzata (e quindi diventa, come dice Lukacs, "apologia indiretta" del capitalismo: infatti, riconoscere l’infelicità esistente, ma attribuirne le cause alla natura, equivale a convalidare il sistema esistente, nella fattispecie quello capitalista), in Leopardi essa è storicizzata: infatti viene indicata l’alternativa positiva: nello Zibaldone (p. 565) si parla della democrazia greca come di una società nella quale l’egoismo individuale si converte in bene dello Stato (laddove nella società presente esso si converte in odio e danno degli altri); e ne La ginestra si afferma una fede positiva nella attività umana associata, in una società che riconosca, secondo ragione, la verità della condizione umana ed operi nel senso di ridurre, almeno, l’infelicità.
 
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(3) Scrive in una lettera del 5-12-1831 alla Targioni Tozzetti: "Sapete ch’io abbomino la politica, perché credo, anzi vedo che gli individui sono infelici sotto ogni forma di governo; colpa della natura che ha fatti gli uomini all’infelicità; e rido della felicità delle masse, perché il mio piccolo cervello non concepisce una massa felice, composta d’individui non felici." Ma si veda anche la lettera al Giordani del 24-7-1828, citata in nota alla scheda Leopardi progressista? ("...considerando l’inutilità quasi perfetta degli studi fatti dalla età di Solone in poi per ottenere la perfezione degli stati civili e la felicità dei popoli, mi viene un poco da ridere di questo furore di calcoli ed arzigogoli politici e legislativi... Io tengo - e non a caso - che la società umana abbia principii ingeniti e necessari d’imperfezione, e che i suoi stati sieno cattivi più o meno, ma nessuno possa essere buono." ).

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