O. WILDE
(1854-1900) Il ritratto
di Dorian Gray
(1890)
C.d.E. 1963
Tutto il romanzo è impostato sul
culto della bellezza: la bellezza è la cosa più importante, e Dorian Gray ne è
il simbolo.
Ma il vero esteta, colui che della bellezza sa
godere, che è dotato di sensibilità e gusto superiori (alla Des Esseintes o
alla Andrea Sperelli) è sir Henry Wotton,
tanto sofisticato quanto cinico (è lui che “corrompe” Dorian, inducendolo ad
una vita viziosa e dissoluta). Wotton è il "superuomo", odia la
volgarità (e la mediocrità) del secolo, vuole dominare. E Wilde sembra
compiacersi di seguirlo nei suoi paradossali ragionamenti (oltre che di
descrivere ambienti e piaceri raffinati): vedi l'antisemitismo (pp. 51-53), l'edonismo
(p. 24, 39, 51, 60, 80, 107, 108), il superomismo
(p. 60, 77, 81), l'antifemminismo
(p. 105, 108), l'esasperato estetismo
(cap. XI).
Il senso del romanzo sta nel
rovesciamento del tradizionale rapporto arte-vita: qui è la vita che diventa
opera d'arte (al di là del bene e del male e al di là della consunzione del
tempo: Dorian non invecchia, malgrado la vita viziosa e malgrado il passare
degli anni); mentre l'arte (il quadro) subisce ciò che normalmente subisce la
vita: i segni del vizio e del peccato, il logoramento del tempo.
La storia vorrebbe essere tragica
(c'è un assassinio: Dorian uccide l’autore del ritratto, suo amico, quando
questi gli rimprovera la sua vergognosa condotta), ma non ci riesce perché c'è
sempre il compiacimento estetico-edonistico (1). Ciò attesta la superficialità dell'impegno morale, che
pure vorrebbe essere presente nel dramma del protagonista che vuole abbandonare
la strada del peccato (sopraffatto dall’angoscia, Dorian colpisce il ritratto
con un pugnale e cade morto, come se avesse colpito se stesso; i servi accorsi
vedono il ritratto del loro padrone, bellissimo e giovane, e sul pavimento un
morto “appassito, rugoso, disgustevole in
volto”).
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(1) Nel
mezzo dell'assassinio Wilde trova il tempo per descrivere una lampada
intarsiata. Per tutto ciò, v. M. Praz, La carne, la morte e il diavolo, ecc., Sansoni (pp. 331-333).
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