La tecnica
narrativa in Senilità
G. BALDI, ecc., Dal testo alla storia, dalla storia al testo, vol. III**
Paravia, 1994, pp. 279-281; pp. 296-298.
La narrazione
è in terza persona, ma il romanzo è focalizzato sul protagonista, i fatti sono
filtrati sistematicamente attraverso la sua coscienza. Ma poiché costui è
portatore di una falsa coscienza (e il suo punto di vista è
inattendibile), il narratore esterno interviene più volte, anche con modi
provocatori, per correggerlo, smentirlo, smascherarlo.
Abbiamo quindi
due prospettive: quella di Emilio, che mente a se stesso, e quella del
narratore, che denuncia la menzogna. A volte lo dice apertamente (egli mentiva...), a volte lo
smascheramento è affidato all’ironia, a un semplice aggettivo od
avverbio rivelatore (In passato egli
aveva vagheggiato delle idee socialiste, naturalmente senza mai muovere dito
per attuarle: quel naturalmente
denuncia l’inettitudine di Emilio). Un altro procedimento usato è quello di
riportare, senza commenti, il pensiero di Emilio (ad esempio, attraverso il
discorso indiretto libero), lasciando che sia lo stridente contrasto con la
realtà oggettiva a svelarne la ridicola inadeguatezza (In compenso dell’amore che ne riceveva, egli non poteva darle che una
cosa soltanto: la conoscenza della vita, l’arte di approfittarne. Anche il suo
era un dono preziosissimo, perché con quella bellezza e quella grazia, diretta
da persona abile come era lui, avrebbe potuto essere vittoriosa nella lotta per
la vita: la convinzione di Emilio di essere abile ed esperto della vita, si scontra con l’immagine che già
abbiamo di lui, quella di un uomo, al contrario, timoroso della vita,
tutt’altro che vincente).
Questi
procedimenti sono in atto nelle pagine iniziali. Anzi, proprio nell’incipit, ci
scontriamo con due livelli di menzogna da parte del protagonista: uno consapevole
(dice di desiderare una relazione non compromettente per amore di lei; ma il
narratore ci avverte che, se fosse stato sincero, avrebbe detto: “per me non sarai che un giocattolo. Ho
altri doveri io, la mia carriera, la mia famiglia”) ed uno inconsapevole
(ma subito brutalmente svelato dal narratore, che ironizza sia sulla famiglia
sia sulla carriera, anche attraverso diminutivi sprezzanti: impieguccio, famigliuola, riputazioncella).
Successivamente, nella rappresentazione di Angiolina, riconosciamo ancora il
punto di vista deformante di Emilio (come discorso indiretto libero); idealizza
secondo schemi letterari la figura della donna (il volto illuminato dalla vita..., tanto oro..., raggiante di gioventù
e bellezza..., quel profilo sorprendentemente puro..., ecc.), che certo non
corrisponde a quella idealizzazione, come si preoccupa di farci capire il
narratore (non solo con un giudizio secco - ai
retori corruzione e salute sembrano inconciliabili - ma anche lasciandoci
intravedere nell’occasione dell’incontro - l’ombrellino caduto ed impigliatosi
nel suo vestito - la malizia della donna navigata).
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