mercoledì 1 luglio 2015

Il decadentismo


Definizione e limiti del decadentismo

 

E. GIOANOLA, Il decadentismo ,
N. U. Studium 1983, pp. 7-29

 

Esiste un problema di periodizzazione: dalla "crisi di fine secolo" a noi o un periodo più limitato (precisamente, quello fra l' '80 e il '90, in Francia, con al centro Verlaine e i maudits che assumono a titolo di una loro rivista - Le Décadent - un termine loro appioppato in senso spregiativo dalla critica accademica)? (1)   

E poi: “decadenza” rispetto a che? Ovviamente rispetto ai valori morali e civili espressi dalla grande letteratura del Romanticismo. (2)

C'è quindi una connotazione negativa sin dalle origini, avallata, per quanto riguarda l'Italia, da Croce che poneva in Carducci il termine della grande letteratura (poi seguivano "i tre malati di nervi": Pascoli, D'Annunzio e Fogazzaro); avallata anche dalla critica marxista che qualificava il tutto come "letteratura della crisi" (ovviamente, della borghesia), mentre valorizzava le correnti realistiche (realismo socialista, neorealismo).

La questione viene inquadrata correttamente nel '36 da Binni che in La poetica del decadentismo si proponeva di esaminare concretamente le poetiche (come del resto nello stesso anno faceva Anceschi con Autonomia ed eteronomia dell'arte), separandole dal concetto astratto (e moralistico) di decadenza e indicando nella scoperta dello jenseits der Dinge (al di là dell'oggetto, "sforamento" della superficie naturalistica della realtà; scoperta dell'inconscio) il principio fondamentale del decadentismo (3). Questa interpretazione va condivisa, superando sia l'ipotesi idealistica della "malattia" che quella marxista della "crisi".

Quanto alla periodizzazione, no alle riduzioni ad un solo aspetto (ad esempio, all'estetismo di Huysmans, D'Annunzio, Wilde, Von Hofmannstahl) e no alla tesi di una indiscriminata continuità con il Romanticismo (M. Praz: La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica; A. Beguin: L'anima romantica e il sogno): la nuova sensibilità comincia con Baudelaire (I fiori del male, 1857) e Dostoevskij (Memorie dal sottosuolo, 1864) e continua fino a noi.

 
____________________________________________________________________________
 

(1) E’ un problema che si pone specificamente in Italia, perché in Francia con il termine “decadentismo” si indica appunto la breve esperienza realizzatasi attorno alla rivista Le décadent (altri motivi, per noi tipicamente decadenti, vengono ricondotti più propriamente al “simbolismo” e, nel Novecento, al “surrealismo”); in Inghilterra con “decadentismo” si indica invece il diffondersi di quel gusto estetizzante che va dai pre-raffaelliti ad Oscar Wilde.

(2) Di fatto proprio Verlaine in un sonetto del 1883 (Langueur) aveva usato quel termine,  paragonando la propria condizione, di stanchezza ed estenuazione spirituale, a quella dell’impero romano “alla fine della decadenza”

(3) Questo motivo è strettamente connesso con quello della sfiducia nelle capacità conoscitive della scienza (con la polemica anti-positivista). Così D’Annunzio: “La scienza è incapace di ripopolare il disertato cielo, di rendere la felicità alle anime in cui ella ha distrutto l’ingenua pace. Non vogliamo più la verità. Dateci il sogno. Riposo non avremo se non nelle ombre dell’ignoto”. E così Pascoli: “Tu sei fallita, o scienza: ed è bene; ma sii maledetta che hai rischiato di far fallire l’altra. La felicità tu non l’hai data e non la potevi dare: ebbene, se non hai distrutta, hai attenuata oscurata amareggiata quella che ci dava la fede”.

Nessun commento:

Posta un commento