Definizione
e limiti del decadentismo
E. GIOANOLA,
Il decadentismo ,
N. U.
Studium 1983, pp. 7-29
Esiste un problema di
periodizzazione: dalla "crisi di fine secolo" a noi o un periodo più
limitato (precisamente, quello fra l' '80 e il '90, in Francia, con al centro Verlaine
e i maudits che assumono a titolo di
una loro rivista - Le Décadent - un
termine loro appioppato in senso spregiativo dalla critica accademica)? (1)
E poi: “decadenza” rispetto a che?
Ovviamente rispetto ai valori morali e civili espressi dalla grande letteratura
del Romanticismo. (2)
C'è quindi una connotazione negativa
sin dalle origini, avallata, per quanto riguarda l'Italia, da Croce che poneva in Carducci
il termine della grande letteratura (poi seguivano "i tre malati di
nervi": Pascoli, D'Annunzio e Fogazzaro); avallata
anche dalla critica marxista
che qualificava il tutto come "letteratura della crisi" (ovviamente,
della borghesia), mentre valorizzava le correnti realistiche (realismo
socialista, neorealismo).
La questione viene inquadrata
correttamente nel '36 da Binni
che in La poetica del decadentismo si
proponeva di esaminare concretamente le poetiche (come del resto nello stesso
anno faceva Anceschi con Autonomia ed eteronomia dell'arte),
separandole dal concetto astratto (e moralistico) di decadenza e indicando
nella scoperta dello jenseits der
Dinge (al di là dell'oggetto, "sforamento" della superficie
naturalistica della realtà; scoperta dell'inconscio) il principio fondamentale
del decadentismo (3). Questa interpretazione va condivisa, superando sia
l'ipotesi idealistica della "malattia" che quella marxista della
"crisi".
Quanto alla periodizzazione, no alle
riduzioni ad un solo aspetto (ad esempio, all'estetismo di Huysmans, D'Annunzio, Wilde, Von
Hofmannstahl) e no alla tesi di una indiscriminata continuità con il Romanticismo (M. Praz: La carne, la morte e il diavolo nella
letteratura romantica; A. Beguin: L'anima romantica e il sogno): la nuova sensibilità comincia con Baudelaire (I fiori del male, 1857) e Dostoevskij
(Memorie dal sottosuolo, 1864) e
continua fino a noi.
(1) E’ un problema che si pone specificamente in Italia, perché in Francia con
il termine “decadentismo” si indica appunto la breve esperienza realizzatasi
attorno alla rivista Le décadent
(altri motivi, per noi tipicamente decadenti, vengono ricondotti più
propriamente al “simbolismo” e, nel Novecento, al “surrealismo”); in
Inghilterra con “decadentismo” si indica invece il diffondersi di quel gusto
estetizzante che va dai pre-raffaelliti ad Oscar Wilde.
(2) Di fatto
proprio Verlaine in un sonetto del 1883 (Langueur)
aveva usato quel termine, paragonando la
propria condizione, di stanchezza ed estenuazione spirituale, a quella dell’impero
romano “alla fine della decadenza”
(3) Questo
motivo è strettamente connesso con quello della sfiducia nelle capacità
conoscitive della scienza (con la polemica anti-positivista). Così D’Annunzio: “La scienza è incapace di ripopolare il
disertato cielo, di rendere la felicità alle anime in cui ella ha distrutto
l’ingenua pace. Non vogliamo più la verità. Dateci il sogno. Riposo non avremo
se non nelle ombre dell’ignoto”. E così Pascoli: “Tu sei fallita, o scienza: ed è bene; ma sii maledetta che hai
rischiato di far fallire l’altra. La
felicità tu non l’hai data e non la potevi dare: ebbene, se non hai distrutta,
hai attenuata oscurata amareggiata quella che ci dava la fede”.
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