L’illuminismo
in Italia
A. Asor Rosa, Storia
della lett. Italiana,
La
Nuova italia, 1985, pp. 342-351.
Nella seconda metà del sec. XVIII
in Italia abbiamo un periodo di pace (la pace di Aquisgrana, del 1748,
alla fine delle guerre di successione spagnola, polacca ed austriaca, ha
determinato l’emarginazione della Spagna e l’inizio dell’egemonia austriaca)
che favorisce l’azione riformatrice degli Asburgo in Lombardia, dei Borboni
a Napoli e Parma, dei Lorena (Asburgo) in Toscana.[1]
Il movimento riformatore ha a che
fare con una legislazione confusa (per quanto concerne i rapporti fra
Stato e sudditi, fra potere centrale e poteri locali di feudatari, clero e
corporazioni; per quanto riguarda i sistemi di accertamento della rendita e di
tassazione) e quindi si promuovono razionalizzazioni in questo senso[2]; ci sono poi i privilegi ecclesiastici
(manomorta, esenzione da tasse, monopolio dell’istruzione) e quindi si lotta
per affermare l’autorità dello Stato sulla Chiesa (giurisdizionalismo) e sottrarre l’insegnamento ai gesuiti[3]; ci sono inoltre consistenti
residui di potere feudale nelle campagne e un conseguente scarso sviluppo delle
attività economico-produttive (quindi si promuovono bonifiche e
ammodernamenti tecnologici).[4]
Gli intellettuali sono
disponibili per quest’opera di riforme come funzionari statali. Sono, ancora
(come sempre), gruppi piuttosto ristretti e provengono dalla aristocrazia
(un’economia mercantile è in ritardo, e quindi manca la nuova classe; sono
allora i settori avanzati dei vecchi ceti a cercare di razionalizzare le
strutture, appoggiandosi al sovrano illuminato). Organizzati in Accademie (dei Pugni a Milano) si rivolgono sia al
potere costituito sia all’opinione pubblica (ma le classi subalterne, vedi il
Sud, sono analfabete) attraverso nuovi mezzi di comunicazione (il
giornale-rivista con interessi polivalenti: vedi Il Caffè). Il ritardo della borghesia
capitalista si avverte sia nel pensiero economico (che resta al di qua
del mercantilismo, per una linea protezionista)[5] sia nel pensiero
etico-politico[6]. Circa la letteratura, viene
messo l’accento sulla sua natura civile ed utilitaria; ma c’è anche
l’assimilazione del sensismo che pone la sensazione alla base del
giudizio estetico: quindi si teorizza una forma piacevole unita ad un contenuto
utile e vero[7]. Il pensiero giuridico ha
il suo capolavoro in Dei delitti e delle pene di C. Beccaria (1764).
[1]Restano
fuori dal movimento di riforme Venezia, lo Stato dei Savoia, quello Pontificio,
il ducato di Modena, le repubbliche di Genova e Lucca.
[2]Ad
esempio, in Lombardia si redige il nuovo catasto di tutto lo Stato.
[3]La
Compagnia di Gesù viene addirittura soppressa nel 1773.
[4]In
Lombardia si creano le prime manifatture; ma nel meridione la feudalità
latifondista resta dominante nelle campagne, con relativa arretratezza.
[5]P.
Verri, Meditazioni sull'economia politica;
F. Galiani, Trattato della moneta.
[6]Sia
in Muratori che in P. Verri si ritrova una posizione di matrice cattolica,
secondo cui il concetto di felicità, di bene privato, è subordinato a quello di
bene pubblico (manca l'ideologia dell'individualismo-antagonismo borghesi).
[7]P.
Verri, Pensieri sullo spirito della
letteratura in Italia; C. Beccaria, Ricerche
intorno alla natura dello stile; G. Parini, Discorso sopra la poesia.
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