domenica 12 luglio 2015

Sull'illuminismo


Caratteri generali dell’illuminismo

 
“Il nostro secolo è particolarmente il secolo della ragione, alla quale tutto deve sottomettersi. La religione con l’allegare la sua santità, la legislazione con l’allegare la sua maestà, vogliono di solito sfuggirvi; ma allora esse eccitano contro di sé dei giusti sospetti e non possono pretendere quella giusta stima che la ragione accorda solo a ciò che ha potuto sostenere il suo libero e pubblico esame.” (Kant, Critica della ragion pura , 1781).

Illuminismo è quel movimento di cultura che si ripromette di illuminare il mondo con la luce della ragione; di mettere in discussione tutto ciò che è accettato per forza di autorità, antichità, fede. Ciò comporta fiducia nell’avvenire, bonificato dalla ragione.

Si tratta dell’ideologia di quella classe (la borghesia capitalista) che sta per travolgere il potere politico dell’aristocrazia e del clero. La sua patria è la Francia, anche se è evidente l’appartenenza ad una tradizione che va dalla “rivoluzione” scientifica di F. Bacone (1561-1626), Galilei (1564-1642), Newton (1642-1727) all’empirismo inglese di Locke (1632-1704), Berkeley (1685-1753), Hume (1711-1766).

Voltaire (1694-1778) polemizza contro la superstizione, l’intolleranza, l’arbitrio. Diderot (1713-1784) e D’Alembert (1717-1783), attraverso l’Enciclopedia, mettono in atto una colossale impresa di revisione critica di tutto lo scibile. Montesquieu (1689-1755) teorizza la divisione dei tre poteri, su cui si modelleranno gli Stati liberali. Rousseau (1712-1778) teorizza lo Stato come prodotto di contratto sociale e non di investitura divina[1].

I nuovi intellettuali (philosophes) sentono di appartenere, per mentalità, alla nuova classe borghese (anche se, per nascita, possono essere aristocratici), di dovere essere divulgatori della cultura (boom dell’editoria) e addirittura uomini di Stato. Insomma non sono più legati ad una corte (stipendiati da un principe), ma sono interpreti degli interessi di una classe (produttiva, progressiva). Non a caso, accanto al “filosofo”, l’ideale umano del secolo è il mercante, utile alla società, produttore e non parassita.

 



[1]La sua esaltazione dello "stato di natura" non è negazione della Ragione, ma riconoscimento che l'uomo ha subito, nel corso della storia, un processo di alienazione (nel mondo feudale-aristocratico) e che si tratta di "disalienarlo" attraverso una battaglia politica e culturale. Quindi, non sospiri e nostalgie romantiche per il passato, ma battaglia per trasformare il presente. Lo stesso si dica per il "sentimento", che in R. è veramente un fatto borghese e rivoluzionario, perché nega il modello umano dominante sin dal Rinascimento: quello del "cortegiano", autocontrollato, artificioso, innaturale.

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