Il Caffè come spazio della cultura illuminista
A.
FONTANA, J.L. FOURNEL, Piazza, Corte,
Salotto, Caffè,
in
Letteratura italiana, vol. 5, Einaudi
1986, pp. 671-686.
Il periodico Il Caffè (esce ogni dieci giorni fra il 1764 e il 1766) ha come
modello i periodici inglesi di Addison e Steele, The Spectator e The
Tatler (il chiacchierone), e deve il
suo nome al fatto che si presenta come punto di raccolta delle discussioni
tenute presso il caffè gestito dal greco Demetrio.
Il caffè appare dunque come il nuovo luogo dove, in età
illuminista, si produce cultura. Adempie a quella funzione che nel Medioevo era
stata della piazza (sede di
cerimonie religiose, cosiccome di attività politica ed economica), nel
Rinascimento della corte
(dove si elaborano i modelli ideali di quella società), nel primo Settecento
del salotto (spazio chiuso,
con al centro una figura femminile; nel salotto di Cristina di Svezia
sorge l’Arcadia).
Il caffè (la caffetteria, il
luogo dove si serve la bevanda, che arriva in Europa nella prima metà del
Seicento dall’Arabia e dalla Turchia; ad essa vengono attribuite virtù
salutari: favorisce la riflessione e la chiarezza di idee) è uno spazio
aperto e pubblico (a differenza della corte e del salotto, spazi chiusi e
privati), luogo di incontro e di discussione: quindi luogo privilegiato
per gli intellettuali illuministi[1], che di tutti i problemi
(sociali, politici, culturali) vogliono discutere e a un pubblico ampio, non
specialistico, vogliono rivolgersi. Il caffè è una “manifattura dello spirito”[2], dove il sapere circola secondo
la logica del “flusso e riflusso” (le idee scaturiscono dallo scambio di
notizie, da un continuo movimento fra interno ed esterno, caffè e mondo); non è
un archivio del sapere, al modo del sapere istituzionalizzato della corte e
dell’Accademia, ma una fabbrica di opinioni (che si avvale della testimonianza
diretta degli avventori) su ogni argomento di interesse sociale e culturale (e
tale vuole essere la funzione delle gazzette e dei periodici).
[1]Montesquieu
nelle Lettere persiane fa dire a
Usbek (ipotetico viaggiatore persiano in Europa) che a Parigi c'è una bottega
dove si prepara un caffè "che dà nello spirito a chi ne fa uso".
Qualcosa di analogo dice Gaspare Gozzi nell'Osservatore
veneto, e Goldoni dedicherà una delle sue più note commedie a La bottega del caffè.
[2]Diderot
e D'Alembert nell'Enciclopedia:
"I caffè sono anche manifatture dello spirito, sia buone che
cattive".
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