Il
simbolismo
Dal movimento dei décadents
si stacca un gruppo che si autodefinisce simbolista. Il poeta Jean Moréas pubblica nel 1885 il Manifesto
del simbolismo e nel 1886 nasce la rivista “Le Symboliste”. Ma con il
termine “simbolismo”, più che indicare specificamente il suddetto gruppo, ci si
riferisce ad una nuova sensibilità, ad un nuovo modo di concepire e praticare
la poesia, che ha certamente come modelli Baudelaire, Rimbaud e Mallarmé,
ma che caratterizza, seppure in modi diversi, tanti poeti di fine Ottocento e
inizio Novecento.
L’idea di fondo è che, sotto la superficie fenomenica
delle cose, ci sia una realtà più profonda e più vera: compito dell’artista è
riconoscerla e svelarla. Ciò implica che la realtà che si vede è pura
apparenza: e tale apparenza, non la verità profonda, conoscerà la scienza con
le sue procedure e rappresenteranno le poetiche naturalistiche, a dispetto
della loro presunzione di conoscere e rappresentare l’oggettività delle cose.
E’ il poeta invece, che, con la sua capacità
“visionaria” (di “voyant”,
come diceva Rimbaud), è capace di
vedere sotto la superficie delle cose, di riconoscere, attraverso uno “sregolamento di tutti i sensi”,
relazioni, somiglianze, dissomiglianze (1) che gli altri non vedono e non
riconoscono. Egli vede tra le cose rapporti invisibili per coloro che guardano
la realtà con i parametri spazio-temporali della logica e della
consequenzialità; egli vede secondo analogie imprevedibili e incomprensibili
per chi non ha la sua capacità visionaria.
Vista così, la realtà non è che “una foresta di simboli” (Baudelaire,
in Corrispondenze), perché le cose
non valgono per come appaiono, ma significano altro, alludono ad altro, sono
simbolo d’altro. E la parola poetica è l’unica capace di comunicare questa
“alterità”, questa verità più profonda, che sta tanto sotto la superficie
delle cose quanto sotto la superficie della coscienza. Così Le bateau ivre di Rimbaud è questa stessa parola poetica che affronta il mare aperto
nella libertà più assoluta, è il poeta stesso che cerca di dare voce ai
fantasmi del proprio inconscio e che alla fine desiste, rifugiandosi nella più
nota “acqua d’Europa”, rinunciando al
mare tempestoso per “la pozzanghera nera
e fredda”. Ancora più esasperato in Mallarmé il tentativo di esprimere
l’inesprimibile: è affidata alle parole, che accostano analogicamente realtà
lontanissime ed incommensurabili, l’aspirazione ad una conoscenza assoluta.
Di tutt’altra natura era l’allegoria nei poeti medievali. L’allegoria era un modo di
rappresentare un concetto attraverso un’immagine concreta, che esprime quel
concetto in maniera circoscritta e completa (il concetto di avidità insaziabile
è compiutamente rappresentato dalla lupa magra e “d’ogni brama carca”). Col simbolismo
invece l’immagine concreta non esprime completamente l’idea; allude all’idea,
ce la fa intravedere, la evoca, ma l’idea resta sempre non delimitabile,
inaccessibile e inesprimibile nella sua totalità (così l’aratro in Lavandare di Pascoli allude alla solitudine, e l’assiuolo, nell’omonima poesia,
evoca la morte).
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(1)
“corrispondenze” le chiama Baudelaire, nell’omonimo componimento. E Montale, ne
I limoni: “la mente indaga, accorda
,disunisce”
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