lunedì 6 luglio 2015

Svevo: il finale di Senilità


Il finale di Senilità
 

G. BALDI, ecc., Dal testo alla storia, dalla storia al testo, vol. III**
Paravia, 1994, pp. 306-308.


Conclusa l’avventura con Angiolina, Emilio ritorna alla stato di “senilità” (“ne visse come un vecchio del ricordo della gioventù”), cioè ritorna al punto di partenza, alla sua inettitudine di “letterato ozioso”: al contrario di quel che succede nei romanzi di formazione, Emilio non ha imparato nulla. La stessa “metamorfosi strana” che Angiolina subisce nel ricordo di Emilio indica la realizzazione di un desiderio che percorre tutto il romanzo: la donna-sesso (Angiolina) e la donna-madre (Amalia) sono ora unite (ora che sono l’una morta e l’altra fuggita con il cassiere infedele di una banca), assecondando la volontà di Emilio di idealizzare una realtà volgare, di trasfigurare in un’immagine di purezza ciò che invece appartiene alla materialità del sesso (come ha sempre fatto, da inetto che, incapace di fronteggiare la realtà, si risarcisce con il sogno).

Peraltro, Angiolina che guarda verso l’orizzonte rosseggiante, diventa anche simbolo del socialismo: ma anche in questo caso è evidente che Emilio continua a mentire a se stesso (a risarcirsi con il sogno), visto che la ragazza si era dimostrata assolutamente estranea ed ostile alle idee socialiste, quando Emilio aveva cercato di spiegargliele.

La tecnica narrativa rivela anche qui la distanza critica del narratore (ovvero, dell’autore) rispetto al suo personaggio: la metamorfosi è definita “strana” e propria della mente di un “letterato ozioso”; del resto lungo tutto il romanzo il narratore ha ironizzato sul “pedante solitario” che chiama Ange quella donna ignorante, amante dei piaceri sessuali, dei formaggi, delle mortadelle e del buon vino (e che il Balli, che se ne intende, più appropriatamente chiama Giolona); e quindi, ancora, non può non essere risibile l’immagine di lei con “l’occhio limpido e intellettuale”, collocata “come su un altare, la personificazione del pensiero e del dolore” .

Rivelatrice è infine la frase conclusiva: il tempo presente dei verbi dimostra che si tratta di un intervento della voce narrante e non di un indiretto libero (ci sarebbe voluto l’imperfetto); ed è quindi l’autore che si prende gioco dell’ultima mistificazione di Emilio, fa la parodia del suo pensiero: già con gli esclamativi (“Sì! Angiolina pensa e piange!”), poi con l’immagine di lei che piange “come se nel vasto mondo non avesse più trovato neppure un Deo gratias qualunque”, alludendo maliziosamente al fatto che la ragazza tuttalpiù può piangere perché non trova neppure un’avventura occasionale (così lei aveva definito un tale incontrato per strada e da cui si era fatta accompagnare).

 

 

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