lunedì 29 maggio 2023

Verga verista (IX parte)

 

il bell’affare!” nella novella Libertà

1)    Mi piace concludere con un riferimento alla novella Libertà, che è la ricostruzione di una vicenda storica, ovvero dei fatti di Bronte, quando, in occasione della spedizione dei Mille, i contadini (chiamati i “berretti”) insorsero e uccisero non pochi galantuomini (chiamati i “cappelli”). Si ribellavano così ad una secolare oppressione e, peraltro sollecitati da un decreto dello stesso Garibaldi che invitava alla distribuzione delle terre demaniali, intendevano impadronirsi di un po’ di quella terra che avevano lavorato per tutta la vita agli ordini dei padroni.

2)    Ebbene, anche questa ribellione si rivela un “bell’affare!” nel senso sarcastico che abbiamo detto. Gli stessi ribelli, dopo la giornata di violenza contro i galantuomini, non sanno che fare, diffidano l’uno dell’altro, sospettano che niente cambierà e aspettano rassegnati il generaleche veniva a far giustizia”, “quello che faceva tremare la gente. Eppure, per fermare la colonna che saliva verso Bronte “sarebbe bastato rotolare dall’alto delle pietre per schiacciarli tutti. Ma nessuno si mosse”. Quel generale era Bixio. Leggo il passo che lo riguarda:

     Si vedevano le camice rosse dei suoi soldati salire lentamente per il burrone, verso il paesetto; sarebbe bastato rotolare dall’alto delle pietre per schiacciarli tutti. Ma nessuno si mosse. Le donne strillavano e si strappavano i capelli. Ormai gli uomini, neri e colle barbe lunghe, stavano sul monte, colle mani fra le cosce, a vedere arrivare quei giovanetti stanchi, curvi sotto il fucile arrugginito, e quel generale piccino sopra il suo gran cavallo nero, innanzi a tutti, solo.

     Il generale fece portare della paglia nella chiesa, e mise a dormire i suoi ragazzi come un padre. La mattina, prima dell’alba, se non si levavano al suono della tromba, egli entrava nella chiesa a cavallo, sacramentando come un turco. Questo era l’uomo. E subito ordinò che glie ne fucilassero cinque o sei, Pippo, il nano, Pizzanello, i primi che capitarono… Da lontano, nelle viuzze più remote del paesetto, dietro gli usci, si udivano quelle schiopettate in fila come i mortaletti della festa. 

3)    E’ una novella molto controversa per il modo in cui Verga ricostruisce il fatto storico. Mi limito a ricordare la critica di Sciascia, che ha accusato Verga di aver voluto screditare gli insorti, presentando, ad esempio, Bixio, che era famoso per essere violento e spietato, ora come una figura epica (quel generale piccino sopra il suo gran cavallo nero, innanzi a tutti, solo), ora come un buon padre (mise a dormire i suoi ragazzi come un padre); tacendo della fucilazione dell’avvocato Lombardo, un intellettuale liberale non responsabile della feroce rivolta e delle uccisioni; e nominando fra i fucilati il “nano”, quando invece si trattava del matto del paese (ed era anche questo un modo per mettere in buona luce Bixio, visto che in genere si considera il “matto” come sacro e il “nano” invece come maligno e cattivo).

La conclusione della vicenda

4)    Ma vediamo la conclusione della vicenda:

Dopo arrivarono i giudici per davvero, dei galantuomini cogli occhiali, arrampicati sulle mule, disfatti dal viaggio, che si lagnavano ancora dello strapazzo mentre interrogavano gli accusati nel refettorio del convento, seduti di fianco sulla scranna, e dicendo ahi! ogni volta che mutavano lato. Un processo lungo che non finiva più. I colpevoli li condussero in città, a piedi, incatenati a coppia, fra due file di soldati col moschetto pronto. (…) Tutti gli altri in paese erano tornati a fare quello che facevano prima. I galantuomini non potevano lavorare le loro terre colle proprie mani, e la povera gente non poteva vivere senza i galantuomini. Fecero la pace. L’orfano dello speziale rubò la moglie a Neli Pirru, e gli parve una bella cosa, per vendicarsi di lui che gli aveva ammazzato il padre. Alla donna che aveva di tanto in tanto certe ubbie, e temeva che suo marito le tagliasse la faccia, all’uscire dal carcere, egli ripeteva: — Sta tranquilla che non ne esce più. — Ormai nessuno ci pensava; solamente qualche madre, qualche vecchiarello, se gli correvano gli occhi verso la pianura, dove era la città, o la domenica, al vedere gli altri che parlavano tranquillamente dei loro affari coi galantuomini, dinanzi al casino di conversazione, col berretto in mano, e si persuadevano che all’aria ci vanno i cenci.

Il processo durò tre anni, nientemeno! tre anni di prigione e senza vedere il sole. Sicchè quegli accusati parevano tanti morti della sepoltura, ogni volta che li conducevano ammanettati al tribunale. Tutti quelli che potevano erano accorsi dal villaggio: testimoni, parenti, curiosi, come a una festa, per vedere i compaesani, dopo tanto tempo, stipati nella capponaia — chè capponi davvero si diventava là dentro! e Neli Pirru doveva vedersi sul mostaccio quello dello speziale, che s’era imparentato a tradimento con lui! Li facevano alzare in piedi ad uno ad uno. — Voi come vi chiamate? — E ciascuno si sentiva dire la sua, nome e cognome e quel che aveva fatto. Gli avvocati armeggiavano fra le chiacchiere, coi larghi maniconi pendenti, e si scalmanavano, facevano la schiuma alla bocca, asciugandosela subito col fazzoletto bianco, tirandoci su una presa di tabacco. I giudici sonnecchiavano, dietro le lenti dei loro occhiali, che agghiacciavano il cuore. Di faccia erano seduti in fila dodici galantuomini, stanchi, annoiati, che sbadigliavano, si grattavano la barba, o ciangottavano fra di loro. Certo si dicevano che l’avevano scappata bella a non essere stati dei galantuomini di quel paesetto lassù, quando avevano fatto la libertà. E quei poveretti cercavano di leggere nelle loro facce. Poi se ne andarono a confabulare fra di loro, e gli imputati aspettavano pallidi, e cogli occhi fissi su quell’uscio chiuso. Come rientrarono, il loro capo, quello che parlava colla mano sulla pancia, era quasi pallido al pari degli accusati, e disse: — Sul mio onore e sulla mia coscienza!....

Il carbonaio, mentre tornavano a mettergli le manette, balbettava: — Dove mi conducete? — In galera? — O perchè? Non mi è toccato neppure un palmo di terra! Se avevano detto che c’era la libertà!.... 

5)    A me interessa notare come anche qui torni il pessimismo di Verga circa la possibilità di cambiare in meglio – in questo caso con la violenza rivoluzionaria – la propria condizione sociale (“Tutti gli altri in paese erano tornati a fare quello che facevano prima”. Segue una specie di sintesi del famoso apologo di Menenio Agrippa: “I galantuomini non potevano lavorare le loro terre colle proprie mani, e la povera gente non poteva vivere senza i galantuomini”).

6)    Ma, di più, torna la convinzione di Verga secondo cui il tentativo di cambiare in meglio la propria condizione si risolve inevitabilmente in un “bell’affare!”, ovvero in una rovinosa catastrofe. L’unico che non l’ha capito è il carbonaio, che “mentre tornavano a mettergli le manette, balbettava: — Dove mi conducete? — In galera? — O perchè? Non mi è toccato neppure un palmo di terra! Se avevano detto che c’era la libertà!....”

 

 

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