Premessa
1)
Ho scelto di parlare specificamente di
Verga verista, perché, come sapete, prima della cosiddetta “conversione” al
verismo Verga aveva scritto altri romanzi di ispirazione tardo romantica (Una peccatrice, Storia di una capinera, Eva,
Eros, Tigre reale), storie di amori
fallimentari, romanzi che in qualche modo lui rinnegherà quando dirà di
se stesso “sono stato il poeta delle
duchesse”, ovvero il narratore di vicende frivole e superficiali.
2)
Come è noto, il verismo di Verga si
realizza soprattutto nelle due raccolte di novelle (Vita dei campi e Novelle
rusticane) e nei due romanzi del ciclo dei vinti (I Malavoglia e Mastro
don Gesualdo). Dico subito però che io mi sono soffermato in
particolare e dettagliatamente su una novella, Rosso Malpelo, che
non solo è esemplare per quanto riguarda la tecnica narrativa, che qualifica perfettamente il verismo di
Verga, ma che a me sembra, ogni volta che la prendo in mano, uno straordinario capolavoro.
Insuccesso
de I Malavoglia e successo di
Storia
di una capinera
3)
Aggiungo anche che il successo del Verga verista fu piuttosto tardivo, quelle opere,
con quella tecnica narrativa, non andavano incontro al gusto del pubblico,
tant’è che lui stesso scriveva all’amico Capuana a proposito dei Malavoglia:
I Malavoglia hanno fatto fiasco, fiasco pieno e completo (…). Il peggio
è che io non sono convinto del fiasco e che se dovessi tornare a scrivere quel
libro lo farei come l’ho fatto. Ma in Italia l’analisi più o meno esatta senza
il pepe della scena drammatica non va e, vedi, ci vuole tutta la tenacia della mia convinzione per non ammannire i
manicaretti che piacciono al pubblico per poter poi ridergli in
faccia.
4)
Al contrario, un grande successo
l’aveva avuto Storia di una capinera. Era un romanzo epistolare in cui la protagonista (una fanciulla destinata
al convento, contro la sua volontà) confida ad un’amica i suoi tormenti, in
particolare l’amore concepito per un amico di famiglia in occasione di una
vacanza in campagna; ovviamente l’amore è irrealizzabile, l’amico si sposa con
un’altra e la fanciulla se ne tormenta fino alla morte.
5)
Si trattava di una patetica storia d’amore, e il successo si spiega perché
il patetismo andava incontro ai gusti del pubblico, ma anche per un’altra
ragione. Si era al tempo del contrasto fra il neonato Regno d’Italia e gli
ordini religiosi (il romanzo fu pubblicato nel 1871), e dunque la Storia di una capinera fu interpretata
come la denuncia di una piaga sociale, quella delle monacazioni forzate.
Il
naturalismo francese e l’equivoco di Nedda
6)
Verso la metà degli anni ’70 si
diffondono in Italia, in particolare nell’ambiente milanese dove Verga si era
trasferito nel 1872, le teorie del
naturalismo francese e i primi romanzi di Zola. Verga se ne appassiona,
così come i suoi amici Felice Cameroni e Luigi Capuana. Si appassionano
alla novità di una narrativa che adotta
il metodo scientifico nella rappresentazione delle vicende umane, per cui lo
scrittore non interpreta le vicende dal proprio punto di vista, ma le osserva con il distacco dello scienziato.
7)
Del 1874 è la novella Nedda,
a lungo ritenuta il primo esempio della narrativa verista di Verga, in quanto nuova è l’ambientazione e nuovi sono i
personaggi: non gli ambienti e i personaggi mondani dei precedenti
romanzi, ma la Sicilia contadina e la vita miserabile degli ultimi. Nedda è
infatti una raccoglitrice di olive, che, rimasta sola e incinta dopo la morte
del compagno, è evitata da tutti, non trova più lavoro, non riesce nemmeno
ad allattare la bimba neonata che muore di fame.
8)
In realtà non è in questa novella che si
può riconoscere l’inizio del verismo verghiano, ma, come vedremo, nella novella
Rosso
Malpelo, pubblicata nel 1878. Il verismo infatti, a differenza del naturalismo di Zola
(che si proponeva di osservare scientificamente i comportamenti umani, in
quanto determinati dai fattori di race, milieu, moment)
si manifesta con l’adozione della cosiddetta “poetica dell’impersonalità”, la quale, a sua volta, si
realizza con una tecnica narrativa
totalmente nuova.
La
poetica dell’impersonalità
9) Per
capire che cosa intenda Verga per “poetica dell’impersonalità”, basta leggere
un passo della lettera che lui scrive all’amico Salvatore Farina (poi premessa alla novella L’amante di Gramigna):
Caro
Farina, eccoti non un racconto, ma l’abbozzo di un racconto…. Io te lo ripeterò
così come l’ho raccolto pei viottoli dei campi, press’a poco colle medesime
parole semplici e pittoresche della narrazione popolare, e tu veramente
preferirai di trovarti faccia a faccia col fatto nudo e schietto, senza stare a
cercarlo fra le linee del libro, attraverso la lente dello scrittore. (….) Quando
nel romanzo l’affinità e la coesione di ogni sua parte sarà così completa che il
processo della creazione rimarrà un mistero, come lo svolgersi delle
passioni umane, e l’armonia delle sue forme sarà così perfetta, la sincerità
della sua realtà così evidente, il suo modo e la sua ragione di essere così
necessarie, che la mano
dell’artista rimarrà assolutamente invisibile, allora avrà l’impronta
dell’avvenimento reale, l’opera
d’arte sembrerà essersi fatta da sè, aver maturato ed esser sòrta
spontanea come un fatto naturale, senza
serbare alcun punto di contatto col suo autore, alcuna macchia del peccato
d’origine.
10) Ma
allora come si realizza questa impersonalità per cui “la mano dell’artista rimarrà assolutamente invisibile” e l’opera “sembrerà essersi fatta da sé”, “senza serbare alcun punto di contatto col
suo autore”? Con la cosiddetta “eclissi
dell’autore” o “artificio
della regressione”.
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