lunedì 29 maggio 2023

Verga verista (III parte)

 

La morte di mastro Misciu

1)    Leggiamo ora l’episodio della morte del padre di Malpelo, mastro Misciu, detto Bestia e, tralasciando le osservazioni sulla tecnica narrativa, soffermiamoci sul contenuto, sul senso dell’episodio:

Era morto così, che un sabato aveva voluto terminare certo lavoro preso a cottimo (cioè, si valuta l’entità del lavoro e si stabilisce il compenso), di un pilastro lasciato altra volta per sostegno dell’ingrottato, e dacché non serviva più, s’era calcolato, così ad occhio col padrone, per 35 o 40 carra di rena. Invece mastro Misciu sterrava da tre giorni, e ne avanzava ancora per la mezza giornata del lunedì. Era stato un magro affare e solo un minchione come mastro Misciu aveva potuto lasciarsi gabbare a questo modo dal padrone (narrano i minatori, i compagni di lavoro); perciò appunto lo chiamavano mastro Misciu Bestia, ed era l’asino da basto di tutta la cava (notare: è paragonato all’asino lui come poco prima il figlio Malpelo). Ei, povero diavolaccio, lasciava dire, e si contentava di buscarsi il pane colle sue braccia, invece di menarle addosso ai compagni, e attaccar brighe. Malpelo faceva un visaccio, come se quelle soperchierie cascassero sulle sue spalle, e così piccolo com’era aveva di quelle occhiate che facevano dire agli altri: – Va là, che tu non ci morrai nel tuo letto, come tuo padre -.

Invece nemmen suo padre ci morì, nel suo letto, tuttoché fosse una buona bestia. Zio Mommu lo sciancato, aveva detto che quel pilastro lì ei non l’avrebbe tolto per venti onze, tanto era pericoloso; ma d’altra parte tutto è pericolo nelle cave, e se si sta a badare a tutte le sciocchezze che si dicono, è meglio andare a fare l’avvocato (narra mastro Misciu).

Dunque il sabato sera mastro Misciu raschiava ancora il suo pilastro che l’avemaria era suonata da un pezzo, e tutti i suoi compagni avevano accesa la pipa e se n’erano andati dicendogli di divertirsi a grattar la rena per amor del padrone, o raccomandandogli di non fare la morte del sorcio. Ei, che c’era avvezzo alle beffe, non dava retta, e rispondeva soltanto cogli «ah! ah!» dei suoi bei colpi di zappa in pieno, e intanto borbottava:

– Questo è per il pane! Questo pel vino! Questo per la gonnella di Nunziata! – e così andava facendo il conto del come avrebbe speso i denari del suo appalto, il cottimante!

(…) Il grosso pilastro rosso, sventrato a colpi di zappa, contorcevasi e si piegava in arco, come se avesse il mal di pancia, e dicesse ohi! anch’esso. Malpelo andava sgomberando il terreno, e metteva al sicuro il piccone, il sacco vuoto ed il fiasco del vino.

Il padre, che gli voleva bene, poveretto, andava dicendogli: – Tirati in là! – oppure: – Sta attento! Bada se cascano dall’alto dei sassolini o della rena grossa, e scappa! – Tutt’a un tratto, punf! Malpelo, che si era voltato a riporre i ferri nel corbello, udì un tonfo sordo, come fa la rena traditora allorché fa pancia e si sventra tutta in una volta, ed il lume si spense.

 

            Andarono a chiamare l’ingegnere che dirigeva i lavori della cava (su questo episodio torneremo più avanti), ma non riuscirono nemmeno a trovare il corpo di mastro Misciu, tanta era la rena che lo aveva ricoperto. E così si conclude la narrazione:

 

Altro che quaranta carra! Lo sciancato disse che a sgomberare il sotterraneo ci voleva almeno una settimana. Della rena ne era caduta una montagna, tutta fina e ben bruciata dalla lava, che si sarebbe impastata colle mani, e dovea prendere il doppio di calce. Ce n’era da riempire delle carra per delle settimane. Il bell’affare di mastro Bestia!

 

Malpelo è considerato un animale

2)    Abbiamo già visto come i minatori trattano Malpelo: lo ritengono una bestia, i paragoni con gli animali sono ricorrenti (tutti lo “schivavano come un can rognoso, e lo accarezzavano coi piedi quando capitava a tiro”; era davvero un brutto ceffo, torvo, ringhioso, e selvatico”; egli andava a rosicchiarsi quel suo pane di otto giorni, come fanno le bestie sue pari”; “si lasciava caricare meglio dell’asino grigio”; più oltre, quando vedono che è sopravvissuto alla morte del padre, i minatori dicono che ha “il cuoio duro a mo’ dei gatti”; e quando cercano di portarlo via, malgrado lui volesse continuare a scavare con le unghie, dicono che “mordeva come un cane arrabbiato”; poi si dice che “lavorava al par di quei bufali feroci”, e ancora “egli era ridotto veramente come quei cani, che a furia di buscarsi dei calci e delle sassate da questo e da quello, finiscono col mettersi la coda fra le gambe e scappare alla prima anima viva che vedono, e diventano affamati, spelati e selvatici come lupi”; ecc.).

Mastro Misciu è “bestia” e “minchione

3)    Ora vediamo come trattano suo padre, che già chiamano Bestia e che considerano un “minchione”:solo un minchione come mastro Misciu aveva potuto lasciarsi gabbare a questo modo dal padrone”; era l’asino da basto di tutta la cava”. Ma è un “minchione” anche perché è un uomo mite, che rifiuta la violenza e non vuole litigare: “ei, povero diavolaccio, lasciava dire, e si contentava di buscarsi il pane colle sue braccia, invece di menarle addosso ai compagni, e attaccar brighe”. Subisce gli scherni dei compagni di lavoro: “tutti i suoi compagni avevano accesa la pipa e se n’erano andati dicendogli di divertirsi a grattar la rena per amor del padrone, o raccomandandogli di non fare la morte del sorcio”.

4)    Ma lui, ci dice il narratore, lasciava dire e “andava facendo il conto del come avrebbe speso i denari del suo appalto, il cottimante!”: “il cottimante!con tanto di punto esclamativo è chiaramente sarcastico nei confronti del “minchione”, così come lo è il commento finale del narratore “il bell’affare di mastro Bestia!, visto che si chiama “bell’affare” quello che gli ha fatto fare la morte del sorcio. E altrettanto chiaramente il lettore avverte che la voce narrante è quella dei compagni di lavoro.

5)    Mastro Misciu è un uomo buono, certamente è anche un ingenuo visto che si è lasciato “gabbare” dal padrone valutando molto male, a proprio svantaggio, quel lavoro a cottimo. Ma quello che colpisce è che non c’è un minimo di solidarietà fra quegli sfruttati, fra quei dannati della terra che condividono la stessa condizione sub-umana; gli stessi compagni di lavoro maltrattano e deridono mastro Misciu, così come maltrattano suo figlio. La sua stessa morte non desta pietà, ma ancora una volta derisione: zio Mommu, lo sciancato, che sembra colui che fa opinione alla cava, comunque il portavoce dei minatori, dice che lui quel lavoro non l’avrebbe accettato nemmeno “per venti onze” (una cifra molto superiore a quella accettata da mastro Misciu), e sembra essere la sua la voce narrante che ironizza sul “bell’affare di mastro Bestia”; ed è lui che fa ridere tutti quando vede che Malpelo è sopravvissuto e dice “se tu non fossi stato Malpelo, non te la saresti scappata, no!”.

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