La morte di mastro Misciu
1) Leggiamo
ora l’episodio della morte del padre di Malpelo, mastro Misciu, detto Bestia
e, tralasciando le osservazioni sulla tecnica narrativa, soffermiamoci sul
contenuto, sul senso dell’episodio:
Era
morto così, che un sabato aveva voluto terminare certo lavoro preso a
cottimo (cioè, si valuta l’entità del
lavoro e si stabilisce il compenso), di un pilastro lasciato altra volta
per sostegno dell’ingrottato, e dacché non serviva più, s’era calcolato, così
ad occhio col padrone, per 35 o 40 carra di rena. Invece mastro Misciu sterrava
da tre giorni, e ne avanzava ancora per la mezza giornata del lunedì. Era stato
un magro affare e solo un minchione
come mastro Misciu aveva potuto lasciarsi gabbare a questo modo dal padrone
(narrano i minatori, i compagni di lavoro);
perciò appunto lo chiamavano mastro Misciu Bestia, ed era l’asino da basto di tutta la cava (notare: è paragonato all’asino lui come poco prima il figlio Malpelo).
Ei, povero diavolaccio, lasciava dire, e si contentava di buscarsi il pane
colle sue braccia, invece di menarle
addosso ai compagni, e attaccar brighe. Malpelo faceva un visaccio, come se
quelle soperchierie cascassero sulle sue spalle, e così piccolo com’era aveva
di quelle occhiate che facevano dire agli altri: – Va là, che tu non ci morrai
nel tuo letto, come tuo padre -.
Invece
nemmen suo padre ci morì, nel suo letto, tuttoché fosse una buona bestia. Zio Mommu lo sciancato, aveva detto che
quel pilastro lì ei non l’avrebbe tolto per venti onze, tanto era pericoloso; ma d’altra parte tutto è pericolo nelle
cave, e se si sta a badare a tutte le sciocchezze che si dicono, è meglio
andare a fare l’avvocato (narra
mastro Misciu).
Dunque
il sabato sera mastro Misciu raschiava ancora il suo pilastro che l’avemaria
era suonata da un pezzo, e tutti i suoi compagni avevano accesa la pipa e se
n’erano andati dicendogli di divertirsi
a grattar la rena per amor del padrone, o raccomandandogli di non fare la morte del sorcio. Ei, che c’era
avvezzo alle beffe, non dava retta, e rispondeva soltanto cogli «ah! ah!» dei
suoi bei colpi di zappa in pieno, e intanto borbottava:
–
Questo è per il pane! Questo pel vino! Questo per la gonnella di Nunziata! – e
così andava facendo il conto del come avrebbe speso i denari del suo appalto, il cottimante!
(…)
Il grosso pilastro rosso, sventrato a colpi di zappa, contorcevasi e si piegava
in arco, come se avesse il mal di pancia, e dicesse ohi! anch’esso. Malpelo
andava sgomberando il terreno, e metteva al sicuro il piccone, il sacco vuoto
ed il fiasco del vino.
Il
padre, che gli voleva bene, poveretto, andava dicendogli: – Tirati in là! –
oppure: – Sta attento! Bada se cascano dall’alto dei sassolini o della rena
grossa, e scappa! – Tutt’a un tratto, punf! Malpelo, che si era voltato a
riporre i ferri nel corbello, udì un tonfo sordo, come fa la rena traditora
allorché fa pancia e si sventra tutta in una volta, ed il lume si spense.
Andarono a chiamare l’ingegnere che
dirigeva i lavori della cava (su questo episodio torneremo più avanti), ma non
riuscirono nemmeno a trovare il corpo di mastro Misciu, tanta era la rena che
lo aveva ricoperto. E così si conclude la narrazione:
Altro
che quaranta carra! Lo sciancato disse che a sgomberare il sotterraneo
ci voleva almeno una settimana. Della rena ne era caduta una montagna, tutta
fina e ben bruciata dalla lava, che si sarebbe impastata colle mani, e dovea
prendere il doppio di calce. Ce n’era da riempire delle carra per delle
settimane. Il bell’affare di mastro
Bestia!
Malpelo è considerato
un animale
2) Abbiamo
già visto come i minatori trattano Malpelo: lo ritengono una bestia, i paragoni
con gli animali sono ricorrenti (tutti lo “schivavano come un can rognoso,
e lo accarezzavano coi piedi quando capitava a tiro”; “era davvero un brutto ceffo, torvo, ringhioso, e selvatico”; egli
andava a “rosicchiarsi quel suo pane di otto giorni, come fanno le bestie sue pari”; “si lasciava caricare meglio dell’asino
grigio”; più oltre, quando vedono che è sopravvissuto alla morte del
padre, i minatori dicono che ha “il cuoio duro a mo’ dei gatti”; e
quando cercano di portarlo via, malgrado lui volesse continuare a scavare
con le unghie, dicono che “mordeva
come un cane arrabbiato”; poi si
dice che “lavorava al par di quei bufali feroci”, e ancora “egli era ridotto veramente come quei cani, che a furia di buscarsi
dei calci e delle sassate da questo e da quello, finiscono col mettersi la coda
fra le gambe e scappare alla prima anima viva che vedono, e diventano affamati, spelati e selvatici come lupi”;
ecc.).
Mastro Misciu è “bestia” e “minchione”
3) Ora
vediamo come trattano suo padre, che già chiamano Bestia e che considerano un “minchione”:
“solo un minchione come mastro Misciu aveva
potuto lasciarsi gabbare a questo modo dal padrone”;
“era l’asino
da basto di tutta la cava”. Ma è
un “minchione” anche perché è un uomo mite, che rifiuta la violenza e non vuole
litigare: “ei, povero diavolaccio,
lasciava dire, e si contentava di buscarsi il pane colle sue braccia, invece di menarle addosso ai compagni, e
attaccar brighe”. Subisce gli scherni dei compagni di lavoro: “tutti i suoi compagni avevano accesa la pipa
e se n’erano andati dicendogli di divertirsi
a grattar la rena per amor del padrone, o raccomandandogli di non fare la morte
del sorcio”.
4) Ma
lui, ci dice il narratore, lasciava dire e “andava
facendo il conto del come avrebbe speso i denari del suo appalto, il cottimante!”: “il cottimante!” con tanto di punto esclamativo è chiaramente sarcastico nei confronti del “minchione”, così come lo è il
commento finale del narratore “il bell’affare di mastro Bestia!”,
visto che si chiama “bell’affare” quello che gli ha fatto fare la morte del
sorcio. E altrettanto chiaramente il lettore avverte che la voce narrante è quella dei compagni
di lavoro.
5) Mastro
Misciu è un uomo buono, certamente è anche un ingenuo visto che si è lasciato “gabbare” dal padrone valutando molto
male, a proprio svantaggio, quel lavoro a cottimo. Ma quello che colpisce è che non c’è un minimo di solidarietà fra
quegli sfruttati, fra quei dannati della terra che condividono la stessa
condizione sub-umana; gli stessi compagni di lavoro maltrattano e
deridono mastro Misciu, così come maltrattano suo figlio. La sua stessa morte non desta pietà, ma ancora una volta derisione:
zio Mommu, lo sciancato, che sembra colui che fa opinione alla cava,
comunque il portavoce dei minatori, dice che lui quel lavoro non l’avrebbe
accettato nemmeno “per venti onze” (una
cifra molto superiore a quella accettata da mastro Misciu), e sembra essere
la sua la voce narrante che ironizza sul “bell’affare
di mastro Bestia”; ed è lui che fa ridere tutti quando vede che Malpelo
è sopravvissuto e dice “se tu non
fossi stato Malpelo, non te la saresti scappata, no!”.
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