lunedì 29 maggio 2023

Verga verista (VIII parte)

  Il pessimismo di Verga e Fantasticheria

1)    Ma quel mondo diverso è pensabile e desiderabile, come lo pensa e lo desidera Malpelo, ma è irrealizzabile. E qui abbiamo a che fare con il duro pessimismo di Verga, un pessimismo che – per quanto riguarda la migliorabilità della condizione umana – percorre tutta la sua opera.

2)    L’autore che ci dà un tale rappresentazione della disumanità del mondo in atto non crede nella possibilità di un cambiamento. Anzi, crede che ogni tentativo di cambiamento sia velleitario e si risolva inevitabilmente in una sconfitta.

3)    C’è una novella, Fantasticheria (una novella che è una sorta di anticipazione de I Malavoglia) in cui si teorizza la necessità per i deboli, gli ultimi, i derelitti, di “stringersi fra loro per resistere alle tempeste della vita”, di restare attaccati alle proprie radici, ai luoghi e ai modi in cui hanno sempre vissuto, così come l’ostrica sta attaccata allo scoglio, perché

allorquando uno di quei piccoli, o più debole, o più incauto, o più egoista degli altri, volle staccarsi dai suoi per vaghezza dell’ignoto, o per brama di meglio, o per curiosità di conoscere il mondo; il mondo, da pesce vorace ch’egli è, se lo ingoiò, e i suoi più prossimi con lui…. Per le ostriche l’argomento più interessante deve esser quello che tratta delle insidie del gambero, o del coltello del palombaro che le stacca dallo scoglio. 

La “brama di meglio” non solo travolge chi l’ha perseguita, ma come una condanna biblica si ripercuote rovinosamente anche sui consanguinei, su “i suoi più prossimi”.

Il bell’affare di mastro Bestia!

4)    Se c’è un’espressione che può sintetizzare il pessimismo verghiano è quella usata sarcasticamente dai minatori a proposito della morte di mastro Misciu: Il bell’affare di mastro Bestia!. Mastro Bestia pensava di migliorare la propria condizione con quel lavoro preso a cottimo, e infatti a questo pensava – dice il testo – mentre picconava il pilastro. Ma quell’affare si rivela in realtà la sua rovina.

il bell’affare!” ne I Malavoglia e nel Mastro don Gesualdo

5)    Ma altrettanto si potrebbe dire per l’affare affrontato dai Malavoglia con il trasporto dei lupini presi a credito. Anche quello era un tentativo di migliorare la propria condizione e si rivela sarcasticamente un “bell’affare!”, in quanto segna l’inizio della rovina per i Malavoglia, col naufragio della Provvidenza e il conseguente pignoramento della casa del nespolo.

6)    E sempre in questo senso è un “bell’affare!” anche quello di mastro don Gesualdo, che vuole migliorare la propria condizione sposando una nobile come Bianca Trao: quel matrimonio si rivela in realtà l’inizio della sua rovina. L’aristocrazia lo riterrà sempre un corpo estraneo, la moglie non lo ama, la stessa figlia (in realtà non figlia sua, ma di una relazione di Bianca con un cugino) ricambia il suo amore vergognandosi di lui. Gesualdo, ormai vecchio e sempre più solo, nel palazzo di Palermo dove l’hanno fatto trasferire, lontano dalle sue terre, vede il proprio patrimonio a poco a poco dissipato dalla figlia e dal genero. Si ammala di cancro e attende la morte nel suo letto voltato contro il muro, fra medici che lo trattano come un oggetto e servi che non lo rispettano. 

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