Malpelo “scolaro” alla
scuola di violenza e “docente” con Ranocchio
1) Ma
torniamo alla novella. Malpelo cresce a questa scuola di violenza, subita sia alla cava che in famiglia: la
madre “non aveva mai avuta una carezza da
lui, e quindi non gliene faceva” (e anche qui c’è una bella stortura
logica…); la sorella non solo “gli faceva
la ricevuta a scapaccioni” ma anche lo aspettava sulla porta con il manico
della scopa perché tutto sporco e malmesso com’era “avrebbe fatto scappare il suo damo (fidanzato) se avesse visto che razza di cognato gli toccava sorbirsi”.
2) Il
narratore dice che dopo la morte del padre Malpelo si incattivisce ancora di
più. Era venuto a lavorare alla cava un ragazzino che non poteva più fare il
manovale perché era caduto da un ponte e si era lussato il femore. Alla cava lo
chiamano Ranocchio e Malpelo
“lo tormentava in cento modi”, “lo batteva senza un motivo e senza
misericordia”, così come picchiava l’asino
grigio che veniva usato per trasportare la rena fuori dalla cava. Nei
confronti di Ranocchio il suo è un
intento pedagogico: gli vuole bene perché con lui Rosso, solitamente
taciturno, parla, si confida, gli cede parte del suo cibo e quando si ammala lo
assiste come può, ma vuole che
capisca che in natura come nella società, come nella cava, vige la legge del
più forte e del tornaconto personale ed è una legge di violenza nei
confronti del più debole; così ammaestra Ranocchio:
To’!
Bestia! Bestia sei! Se non ti senti l’animo di difenderti da me che non ti
voglio male, vuol dire che ti lascerai pestare il viso da questo e da quello!
O
se Ranocchio si asciugava il sangue che gli usciva dalla bocca e dalle narici,
― Così, come ti cuocerà il dolore delle busse, imparerai a darne anche tu! ―
Quando cacciava un asino carico per la ripida salita del sotterraneo, e lo
vedeva puntare gli zoccoli, rifinito, curvo sotto il peso, ansante e
coll’occhio spento, ei lo batteva senza misericordia, col manico della zappa, e
i colpi suonavano secchi sugli stinchi e sulle costole scoperte. Alle volte la
bestia si piegava in due per le battiture, ma stremo di forze non poteva fare
un passo, e cadeva sui ginocchi, e ce n’era uno il quale era caduto tante
volte, che ci aveva due piaghe alle gambe; e Malpelo allora confidava a
Ranocchio: ― L’asino va picchiato,
perchè non può picchiar lui; e s’ei potesse picchiare, ci pesterebbe sotto i
piedi e ci strapperebbe la carne a morsi.
Oppure:
― Se ti accade di dar delle busse,
procura di darle più forte che puoi; così coloro su cui cadranno ti terranno
per da più di loro, e ne avrai tanti di meno addosso (….)
La rena è traditora, diceva a Ranocchio sottovoce; somiglia a tutti gli altri, che se sei più debole ti pestano la faccia, e se sei più forte, o siete in molti, come fa lo Sciancato, allora si lascia vincere.
3) Scrive
un critico (Spinazzola): “Nessun testo letterario dell’Ottocento
italiano ha sostenuto con tanta fermezza che operare il male significa appunto
e solo conformarsi ai dettami della natura”. Malpelo, pur nel suo
analfabetismo, è il più intellettuale dei personaggi verghiani, ha saltato l’infanzia ed è divenuto
(dice Asor Rosa) “il più saggio degli uomini”.
Le tre morti: la morte del Grigio
4) Tre morti
scandiscono la sua “educazione sentimentale”, morti di deboli, di vinti, sopraffatti dai forti: la
morte del padre, la morte di Ranocchio e, in mezzo, quella forse più
significativa, la morte del Grigio,
l’asino bastonato fino all’ultimo, fino a che non muore di vecchiaia e di
stenti. Rosso vuole che Ranocchio veda, nella discarica dove il Grigio è stato
buttato, l’orrendo spettacolo della sua
carcassa spolpata dai cani affamati:
In quel tempo era crepato di stenti e di vecchiaia l’asino grigio; e il carrettiere era andato a buttarlo lontano nella sciara. ― Così si fa, brontolava Malpelo; gli arnesi che non servono più, si buttano lontano. ― Ei andava a visitare il carcame del grigio in fondo al burrone, e vi conduceva a forza anche Ranocchio, il quale non avrebbe voluto andarci; e Malpelo gli diceva che a questo mondo bisogna avvezzarsi a vedere in faccia ogni cosa bella o brutta; e stava a considerare con l’avida curiosità di un monellaccio i cani che accorrevano da tutte le fattorie dei dintorni a disputarsi le carni del grigio. I cani scappavano guaendo, come comparivano i ragazzi, e si aggiravano ustolando sui greppi dirimpetto, ma il Rosso non lasciava che Ranocchio li scacciasse a sassate. ― Vedi quella cagna nera, gli diceva, che non ha paura delle tue sassate; non ha paura perchè ha più fame degli altri. Gliele vedi quelle costole! Adesso non soffriva più, l’asino grigio, e se ne stava tranquillo colle quattro zampe distese, e lasciava che i cani si divertissero a vuotargli le occhiaie profonde e a spolpargli le ossa bianche e i denti che gli laceravano le viscere non gli avrebbero fatto piegar la schiena come il più semplice colpo di badile che solevano dargli onde mettergli in corpo un po’ di vigore quando saliva la ripida viuzza. Ecco come vanno le cose! Anche il grigio ha avuto dei colpi di zappa e delle guidalesche (le piaghe prodotte dai finimenti di cuoio), e anch’esso quando piegava sotto il peso e gli mancava il fiato per andare innanzi, aveva di quelle occhiate, mentre lo battevano, che sembrava dicesse: Non più! non più! Ma ora gli occhi se li mangiano i cani, ed esso se ne ride dei colpi e delle guidalesche con quella bocca spolpata e tutta denti. E se non fosse mai nato sarebbe stato meglio.
5) L’asino
che “se
ne ride dei colpi e delle guidalesche” diventa il simbolo di una condizione
umana che trova solo nella morte la fine del dolore.
E il passo si conclude con una affermazione
durissima nella sua semplicità, un’affermazione che ricorda il pessimismo
leopardiano e la cosiddetta “sapienza silenica”: “e se non fosse mai nato sarebbe stato meglio”.
La morte di Ranocchio
6) Infine
la morte di Ranocchio mette Malpelo di fronte a una realtà per lui difficile da
comprendere. Ranocchio si è ammalato, ha la febbre, sputa sangue. Malpelo, che
gli vuole bene, lo aiuta come può, “ruba
dei soldi dalla paga della settimana per comprargli del vino e della minestra
calda”, addirittura gli cede “i suoi
calzoni quasi nuovi, che lo coprivano meglio”, i calzoni di fustagno che
gli erano carissimi perché erano quelli del padre morto. Ma Ranocchio si
aggrava, non viene più alla cava, Malpelo lo va a trovare, vede che è nel letto
ormai moribondo ma ciò che gli pare
incomprensibile è che la madre “piangeva
e si disperava come se il suo figliolo fosse di quelli che guadagnano dieci
lire alla settimana”; quindi:
Poco dopo, alla cava dissero che Ranocchio era morto, ed ei pensò che la civetta adesso strideva anche per lui nella notte, e tornò a visitare le ossa spolpate del grigio, nel burrone dove solevano andare insieme con Ranocchio. Ora del grigio non rimanevano più che le ossa sgangherate, ed anche di Ranocchio sarebbe stato così, e sua madre si sarebbe asciugati gli occhi, poichè anche la madre di Malpelo s’era asciugati i suoi dopo che mastro Misciu era morto, e adesso si era maritata un’altra volta, ed era andata a stare a Cifali; anche la sorella si era maritata e avevano chiusa la casa. D’ora in poi, se lo battevano, a loro non importava più nulla, e a lui nemmeno, e quando sarebbe divenuto come il grigio o come Ranocchio, non avrebbe sentito più nulla.
La scelta finale
7) La
scelta finale di Malpelo è quella di accettare un lavoro pericoloso, un lavoro
che, si dice, nessuno avrebbe accettato, nemmeno “per tutto l’oro del mondo”: si trattava di esplorare i cunicoli
sotterranei della cava, con il rischio però di perdersi. Malpelo accetta, ma
non fa più ritorno; non “si seppe più
nulla di lui”
Prese
gli arnesi di suo padre, il piccone, la zappa, la lanterna, il sacco col pane,
e il fiasco del vino, e se ne andò: nè
più si seppe nulla di lui.
Così si persero persin le ossa di Malpelo, e i ragazzi della cava abbassano la voce quando parlano di lui nel sotterraneo, chè hanno paura di vederselo comparire dinanzi, coi capelli rossi e gli occhiacci grigi.
8) Quella
di Malpelo più che una dimostrazione di coraggio sembra una scelta consapevole e volontaria di suicidio; nello
stesso tempo una scelta di
liberazione e un atto di accusa nei confronti di quel mondo in cui
trionfa senza possibilità di scampo la legge violenta del più forte.
9) E
in quel mondo niente cambia. Malpelo scomparso diventa, nella credenza
popolare, il protagonista di una
leggenda nera per cui i ragazzi alla cava hanno paura di incontrarlo, quasi
fosse “coi capelli rossi e gli occhiacci grigi” una mostruosa incarnazione del male.
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