lunedì 29 maggio 2023

Verga verista (IV parte)

 

Una rappresentazione del popolo non populista

1)    Questa, oltre alla già detta tecnica narrativa, è l’altra grande novità del verismo di Verga: una rappresentazione del popolo non mistificata, non paternalista, non consolatoria. Gli ultimi nella scala sociale, quali sono i minatori della novella in questione, sono violenti, privi di buoni sentimenti, non sono portatori di valori positivi a contrasto con l’egoismo e la corruzione delle classi alte; sono animati anche loro, come le classi alte, dalla logica egoistica del proprio utile. Questa è una vera rivoluzione, se si pensa al populismo di tanta letteratura ottocentesca, soprattutto nella sua versione paternalista, quella per cui il popolo, rappresentato come sostanzialmente buono ma sfruttato e ridotto a una vita miserabile, suscita compassione e commozione.

2)    A questa tipologia letteraria apparteneva ancora la novella Nedda. Lo chiarisce bene il biglietto che una certa contessa Maffei scrive a Verga dopo aver letto la novella: “La sua Nedda è un gioiello, l’ho letta con vera commozione… purtroppo tutto è vero in quel caro racconto, ed è verissimo che i poveri hanno sollievo, e forse il solo, dalla perdita dei suoi più cari (dice questo perché nel finale Nedda, quando le muore la figlia neonata, ringrazia la Madonna per averla sottratta alle sofferenze future)Quanta poesia nella miseria e quanta inconscia virtù, e quale obbligo di soccorrerla rispettandola!”.  

Il populismo paternalista di Prati e Parzanese

3)    Ma per comprendere l’assoluta novità della rappresentazione da parte di Verga della condizione popolare in Rosso Malpelo rispetto all’ottocentesco populismo paternalista, basterà leggere qualche verso di una poesia come Campagnuoli sapienti (1843) di Giovanni Prati:

Lavoriam, lavoriam, dolci fratelli,

sin che molle è la terra e i dì son belli.

Lavoriam, lavoriam; quanto ci mostra

di ricco il mondo, è passeggiero spettro;

il crin sudato è la corona nostra,

il piccone e la marra il nostro scettro.

(…..)

Lavoriam, lavoriam; l’ora che avanza

di lavor sia tessuta e di speranza.

Se questi ricchi, che ci dan le glebe,

qualche volta con noi miti non sono,

noi, dolorosa ma non trista plebe,

rispondiamo con l’opra e col perdono.

E cosi, nel silenzio, ammaestrando

l’umile cencio a rispettar del povero,

noi lavoriam cantando.

 

4)    O anche qualche verso della poesia Gli operai (1846) di Pietro Paolo Parzanese, ove ancora più evidente è l’invito, rivolto al popolo lavoratore, ad accettare con gioia la propria condizione:

Fatichiam, fratelli. Quando

noi nascemmo, Iddio ci disse:

«Voi vivrete lavorando»

e dal ciel ci benedisse.

Pan bagnato di sudor        

pure è dono del Signor.

Quel ch’ei vuole, noi vogliamo;

fatichiamo, fatichiamo.

Fatichiamo! Ci tradisce

chi ci chiama alla rapina,

chi c’infiamma e invelenisce

al tumulto e alla rovina,         20

promettendo un’altra età

senza stenti e povertà.

Dio ci fece quel che siamo;

fatichiamo, fatichiamo.

(….)

Fatichiam! Né sia chi dica

che de’ ricchi siam gli schiavi;

più di noi con la fatica       

furon grandi i padri e gli avi.

Ozio reo, e nulla più,

ci conduce a servitù.

Dio ci fece quel che siamo;

fatichiamo, fatichiamo.  

Il giudizio di Asor Rosa

5)    E’ vistosa la differenza fra questa rappresentazione delle classi popolari e quella che ci dà Verga in Rosso Malpelo. Non ci sono interventi dell’autore intesi a sollecitare una lacrima del lettore o a comunicare l’accettazione, più o meno gioiosa, di quella condizione o a sottolineare i buoni sentimenti di gente umile ma onesta o, tanto meno, a prospettare la speranza di un cambiamento in meglio di quella condizione. Mi piace citare una bella espressione di Asor Rosa per definire tale atteggiamento di Verga:Il borghese Verga rifiuta la tazza del consólo (è il banchetto che viene offerto da parenti ed amici ai famigliari del defunto nei primi giorni del lutto), che la borghesia è sempre così pronta ad apprestarsi quando s’avvicina al così detto problema sociale: alla protesta e alla speranza…. egli preferisce la conoscenza e la consapevolezza. Il rifiuto di un’ideologia progressista costituisce la fonte, non il limite della riuscita verghiana. Asor Rosa aggiunge che nell’Ottocento una simile rappresentazione del popolo non idealizzata, ma brutale nella sua verità, si può trovare solo nei sonetti di Belli. E io aggiungo che la rappresentazione del popolo che ci dà il conservatore Verga è quanto mai dirompente, proprio perché, senza pietismi e senza speranze, ci sbatte in faccia la inaccettabilità di quella condizione, quand’anche fosse tale, come pensa Malpelo, per una legge di natura.

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