Una rappresentazione del popolo non
populista
1) Questa,
oltre alla già detta tecnica narrativa, è l’altra grande novità del
verismo di Verga: una
rappresentazione del popolo non mistificata, non paternalista, non consolatoria.
Gli ultimi nella scala sociale, quali sono i minatori della novella in
questione, sono violenti, privi di
buoni sentimenti, non sono portatori
di valori positivi a contrasto con l’egoismo e la corruzione delle classi alte;
sono animati anche loro, come le classi alte, dalla logica egoistica del proprio utile. Questa è una vera rivoluzione, se si pensa al populismo di tanta
letteratura ottocentesca, soprattutto nella sua versione paternalista, quella
per cui il popolo, rappresentato come sostanzialmente buono ma sfruttato e
ridotto a una vita miserabile, suscita compassione e commozione.
2) A
questa tipologia letteraria apparteneva ancora la novella Nedda. Lo chiarisce bene
il biglietto che una certa contessa Maffei
scrive a Verga dopo aver letto la novella: “La
sua Nedda è un gioiello, l’ho letta
con vera commozione… purtroppo tutto è vero in quel caro racconto, ed è
verissimo che i poveri hanno sollievo, e forse il solo, dalla perdita dei suoi
più cari (dice questo perché nel finale Nedda, quando le muore la figlia
neonata, ringrazia la Madonna per averla sottratta alle sofferenze future)… Quanta
poesia nella miseria e quanta inconscia virtù, e quale obbligo di
soccorrerla rispettandola!”.
Il populismo paternalista di Prati
e Parzanese
3) Ma
per comprendere l’assoluta novità della rappresentazione da parte di Verga
della condizione popolare in Rosso
Malpelo rispetto all’ottocentesco populismo paternalista, basterà leggere
qualche verso di una poesia come Campagnuoli sapienti (1843) di
Giovanni Prati:
Lavoriam,
lavoriam, dolci fratelli,
sin
che molle è la terra e i dì son belli.
Lavoriam,
lavoriam; quanto ci mostra
di
ricco il mondo, è passeggiero spettro;
il
crin sudato è la corona nostra,
il
piccone e la marra il nostro scettro.
(…..)
Lavoriam,
lavoriam; l’ora che avanza
di
lavor sia tessuta e di speranza.
Se questi
ricchi, che ci dan le glebe,
qualche volta
con noi miti non sono,
noi, dolorosa ma
non trista plebe,
rispondiamo con
l’opra e col perdono.
E cosi, nel
silenzio, ammaestrando
l’umile cencio a
rispettar del povero,
noi lavoriam
cantando.
4) O
anche qualche verso della poesia Gli operai (1846) di Pietro Paolo Parzanese, ove ancora più evidente è
l’invito, rivolto al popolo lavoratore, ad accettare con gioia la propria
condizione:
Fatichiam,
fratelli. Quando
noi
nascemmo, Iddio ci disse:
«Voi
vivrete lavorando»
e
dal ciel ci benedisse.
Pan
bagnato di sudor
pure
è dono del Signor.
Quel ch’ei
vuole, noi vogliamo;
fatichiamo,
fatichiamo.
Fatichiamo!
Ci tradisce
chi
ci chiama alla rapina,
chi
c’infiamma e invelenisce
al
tumulto e alla rovina, 20
promettendo
un’altra età
senza stenti e
povertà.
Dio ci fece quel
che siamo;
fatichiamo,
fatichiamo.
(….)
Fatichiam!
Né sia chi dica
che de’ ricchi
siam gli schiavi;
più
di noi con la fatica
furon
grandi i padri e gli avi.
Ozio reo, e
nulla più,
ci conduce a
servitù.
Dio ci fece quel
che siamo;
fatichiamo, fatichiamo.
Il giudizio di Asor Rosa
5)
E’ vistosa la differenza fra questa
rappresentazione delle classi popolari e quella che ci dà Verga in Rosso Malpelo. Non ci sono interventi
dell’autore intesi a sollecitare una
lacrima del lettore o a comunicare
l’accettazione, più o meno gioiosa, di quella condizione o a sottolineare i buoni sentimenti di
gente umile ma onesta o, tanto meno, a prospettare la speranza di un cambiamento in meglio di quella
condizione. Mi piace citare una bella espressione di Asor Rosa per
definire tale atteggiamento di Verga:“Il borghese Verga rifiuta la
tazza del consólo (è il banchetto che viene offerto
da parenti ed amici ai famigliari del defunto nei primi giorni del lutto), che la borghesia è sempre così pronta ad
apprestarsi quando s’avvicina al così detto problema sociale: alla protesta
e alla speranza…. egli preferisce la conoscenza e la consapevolezza. Il rifiuto di un’ideologia progressista
costituisce la fonte, non il limite della riuscita verghiana”.
Asor Rosa aggiunge che nell’Ottocento una simile rappresentazione del popolo
non idealizzata, ma brutale nella sua verità, si può trovare solo nei sonetti di Belli. E io aggiungo che la rappresentazione del popolo che ci dà il
conservatore Verga è quanto mai dirompente, proprio perché, senza
pietismi e senza speranze, ci sbatte in faccia la inaccettabilità di
quella condizione, quand’anche
fosse tale, come pensa Malpelo, per una legge di natura.
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