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  Il poeta, o vulgo sciocco,  
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  Un pitocco  
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  Non è già, che a l'altrui mensa  
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  Via con lazzi turpi e matti  
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  Porta i piatti  
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  Ed il pan ruba in dispensa.  
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  E né meno è un perdigiorno  
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  Che va intorno  
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  Dando il capo ne' cantoni,  
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  E co 'l naso sempre a l'aria  
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  Gli occhi svaria  
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  Dietro gli angeli e i rondoni.  
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  E né meno è un giardiniero  
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  Che il sentiero  
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  De la vita co 'l letame  
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  Utilizza, e cavolfiori  
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  Pe' signori  
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  E viole ha per le dame.  
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  Il poeta è un grande artiere,  
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  Che al mestiere  
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  Fece i muscoli d'acciaio:  
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  Capo ha fier, collo robusto,  
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  Nudo il busto,  
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  Duro il braccio, e l'occhio gaio.  
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  Non a pena l'augel pia  
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  E giulìa  
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  Ride l'alba a la collina,  
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  Ei co 'l mantice ridesta  
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  Fiamma e festa  
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  E lavor ne la fucina;  
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  E la fiamma guizza e brilla  
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  E sfavilla  
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  E rosseggia balda audace,  
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  E poi sibila e poi rugge  
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  E poi fugge  
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  Scoppiettando da la brace.  | 
      37      Che sia ciò, non lo so io;  
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  Lo sa Dio  
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  Che sorride al grande artiero.  
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  Ne le fiamme così ardenti  
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  Gli elementi  
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  De l'amore e del pensiero  
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  Egli gitta, e le memorie  
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  E le glorie  
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  De' suoi padri e di sua gente.  
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  Il passato e l'avvenire  
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  A fluire  
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  Va nel masso incandescente.  
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  Ei l'afferra, e poi del maglio  
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  Co 'l travaglio  
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  Ei lo doma su l'incude.  
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  Picchia e canta. Il sole ascende,  
      53  
  E risplende  
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  Su la fronte e l'opra rude.  
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  Picchia. E per la libertade  
      56  
  Ecco spade,  
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  Ecco scudi di fortezza: 
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  Ecco serti di vittoria  
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  Per la gloria,  
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  E diademi a la bellezza.  
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  Picchia. Ed ecco istoriati  
      62  
  A i penati  
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  Tabernacoli ed al rito:  
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  Ecco tripodi ed altari.  
      65  
  Ecco rari  
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  Fregi e vasi pe 'l convito.  
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  Per sé il pover manuale  
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  Fa uno strale  
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  D'oro, e il lancia contro 'l sole:  
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  Guarda come in alto ascenda  
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  E risplenda,  
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  Guarda e gode, e più non vuole. | 
Davanti San Guido
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I cipressi che a Bolgheri alti e schietti Van da San Guido in duplice filar, Quasi in corsa giganti giovinetti Mi balzarono incontro e mi guardar. Mi riconobbero, e - Ben torni omai - Bisbigliaron vèr' me co 'l capo chino - Perché non scendi? Perché non ristai? Fresca è la sera e a te noto il cammino. Oh sièditi a le nostre ombre odorate Ove soffia dal mare il maestrale: Ira non ti serbiam de le sassate Tue d'una volta: oh non facean già male! Nidi portiamo ancor di rusignoli: Deh perché fuggi rapido cosí ? Le passere la sera intreccian voli A noi d'intorno ancora. Oh resta qui! Bei cipressetti, cipressetti miei, Fedeli amici d'un tempo migliore, Oh di che cuor con voi mi resterei - Guardando lor rispondeva - oh di che cuore ! Ma, cipressetti miei, lasciatem'ire: Or non è piú quel tempo e quell'età. Se voi sapeste!... via, non fo per dire, Ma oggi sono una celebrità. E so legger di greco e di latino, E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú: Non son piú, cipressetti, un birichino, E sassi in specie non ne tiro piú. E massime a le piante. - Un mormorio Pe' dubitanti vertici ondeggiò, E il dí cadente con un ghigno pio Tra i verdi cupi roseo brillò. Intesi allora che i cipressi e il sole Una gentil pietade avean di me, E presto il mormorio si fe' parole: Ben lo sappiamo: un pover uom tu se'. Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse Che rapisce de gli uomini i sospir, Come dentro al tuo petto eterne risse Ardon che tu né sai né puoi lenir. A le querce ed a noi qui puoi contare L'umana tua tristezza e il vostro duol. Vedi come pacato e azzurro è il mare, Come ridente a lui discende il sol! E come questo occaso è pien di voli, Com'è allegro de' passeri il garrire! 
A notte canteranno i
  rusignoli: Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire; I rei fantasmi che da' fondi neri De i cuor vostri battuti dal pensier Guizzan come da i vostri cimiteri Putride fiamme innanzi al passegger. Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno, Che de le grandi querce a l'ombra stan Ammusando i cavalli e intorno intorno Tutto è silenzio ne l'ardente pian, Ti canteremo noi cipressi i cori Che vanno eterni fra la terra e il cielo: Da quegli olmi le ninfe usciran fuori Te ventilando co 'l lor bianco velo; | 
E Pan l'eterno che su
  l'erme alture A quell'ora e ne i pian solingo va Il dissidio, o mortal, de le tue cure Ne la diva armonia sommergerà. Ed io - Lontano, oltre Apennin, m'aspetta La Tittí - rispondea; - lasciatem'ire. È la Tittí come una passeretta, Ma non ha penne per il suo vestire. E mangia altro che bacche di cipresso; Né io sono per anche un manzoniano Che tiri quattro paghe per il lesso. Addio, cipressi! addio, dolce mio piano! Che vuoi che diciam dunque al cimitero Dove la nonna tua sepolta sta? E fuggíano, e pareano un corteo nero Che brontolando in fretta in fretta va. Di cima al poggio allor, dal cimitero, Giú de' cipressi per la verde via, Alta, solenne, vestita di nero Parvemi riveder nonna Lucia: La signora Lucia, da la cui bocca, Tra l'ondeggiar de i candidi capelli, La favella toscana, ch'è sí sciocca Nel manzonismo de gli stenterelli, Canora discendea, co 'l mesto accento De la Versilia che nel cuor mi sta, Come da un sirventese del trecento, Piena di forza e di soavità. O nonna, o nonna! deh com'era bella Quand'ero bimbo! ditemela ancor, Ditela a quest'uom savio la novella Di lei che cerca il suo perduto amor! Sette paia di scarpe ho consumate Di tutto ferro per te ritrovare: Sette verghe di ferro ho logorate Per appoggiarmi nel fatale andare: Sette fiasche di lacrime ho colmate, Sette lunghi anni, di lacrime amare: Tu dormi a le mie grida disperate, E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare. Deh come bella, o nonna, e come vera È la novella ancor! Proprio cosí. E quello che cercai mattina e sera Tanti e tanti anni in vano, è forse qui, Sotto questi cipressi, ove non spero, Ove non penso di posarmi piú: Forse, nonna, è nel vostro cimitero Tra quegli altri cipressi ermo là su. Ansimando fuggía la vaporiera Mentr'io cosí piangeva entro il mio cuore; E di polledri una leggiadra schiera Annitrendo correa lieta al rumore. Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo Rosso e turchino, non si scomodò: Tutto quel chiasso ei non degnò d'un guardo E a brucar serio e lento seguitò. 
(23-26 Dicembre 1874) | 
 
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