venerdì 11 dicembre 2015

Baudelaire: da I fiori del male

 

CORRISPONDENZE
E' un tempio la Natura ove viventi
pilastri a volte confuse parole
mandano fuori; la attraversa l'uomo
tra foreste di simboli dagli occhi
familiari. I profumi e i colori
e i suoni si rispondono come echi
lunghi che di lontano si confondono
in unità profonda e tenebrosa,
vasta come la notte ed il chiarore.

Esistono profumi freschi come
carni di bimbo, dolci come gli òboi,
e verdi come praterie; e degli altri
corrotti, ricchi e trionfanti, che hanno
l'espansione propria alle infinite
cose, come l'incenso, l'ambra, il muschio,
il benzoino, e cantano dei sensi
e dell'anima i lunghi rapimenti.
 
L’ALBATRO
Per dilettarsi, sovente, le ciurme
catturano degli albatri, marini
grandi uccelli, che seguono, indolenti
compagni di viaggio, il bastimento
che scivolando va su amari abissi.
E li hanno appena sulla tolda posti
che questi re dell'azzurro abbandonano,
inetti e vergognosi, ai loro fianchi
miseramente, come remi, inerti
le candide e grandi ali, Com'è goffo
e imbelle questo alato viaggiatore
Lui, poco fa sì bello, com'è brutto
e comico! Qualcuno con la pipa
e il becco qui gli stuzzica, là un altro
l'infermo che volava, zoppicando
scimmieggia.

Come il principe dei nembi
è il Poeta che, avvezzo alla tempesta,
si ride dell'arciere, ma esiliato
sulla terra, fra scherni, camminare
non può per le sue ali da gigante.

SPLEEN
Quando come un coperchio il cielo pesa
grave e basso sull'anima gemente
in preda a lunghi affanni, e quando versa
su noi, dell'orizzonte tutto il giro
abbracciando, una luce nera triste
più delle notti; e quando si è mutata
la terra in una cella umida, dove
se ne va su pei muri la Speranza
sbattendo la sua timida ala, come
un pipistrello che la sua testa picchia
su fradici soffitti; e quando imita
la pioggia, nel mostrare le sue strisce
infinite, le sbarre di una vasta
prigione, e quando un popolo silente
di infami ragni tende le sue reti
in fondo ad i cervelli nostri, a un tratto
furiosamente scattano campane,
lanciando verso il cielo un urlo atroce,
come spiriti erranti, senza patria
che si mettano a gemere ostinati.
 
E lunghi funerali lentamente
senza tamburi sfilano né musica,
dentro l'anima: vinta, la Speranza
piange, e l'atroce Angoscia sul mio cranio
pianta, despota, il suo vessillo nero.
 
RIMORSO POSTUMO
(C. Baudelaire, 1855)
 
Quando tu dormirai, mia tenebrosa,
nel fondo di una tomba in marmo nero,
e per castello e alcova non avrai
che una fossa profonda ed un sepolcro
in cui stilla la pioggia; quando grave
premendoti sui seni impauriti
e sopra i fianchi illanguiditi in dolce
abbandono, la pietra al cuore tuo
impedirà di battere e volere,
e ai tuoi piedi di andare all’avventura,
in quelle lunghe notti senza sonno
la tomba ti dirà (dell’infinito
mio sogno confidente, ché il poeta
sempre sarà compreso dalla tomba):
“Mancata cortigiana, che ti serve
il non aver conosciuto quello
che rimpiangono i morti?” E la tua pelle
il verme roderà, come un rimorso.
 
VENDETTA POSTUMA
(E. Praga, 1864)
 
Quando sarai nel freddo monumento
immobile e stecchita,
se ti resta nel cranio un sentimento
di questa vita,
ripenserai l’alcova e il letticciuolo
dei nostri lunghi amori,
quand’io portava al tuo dolce lenzuolo
carezze e fiori.
Ripenserai la fiammella turchina
che ci brillava accanto,
e quella fiala che alla tua bocchina
piaceva tanto!
Ripenserai la tua foga omicida
e gli immensi abbandoni;
ripenserai le forsennate grida
e le canzoni;
ripenserai le lagrime delire,
e i giuramenti a Dio,
o bugiarda, di vivere e morire
pel genio mio!
E allora sentirai l’onda dei vermi
salir nel tenebrore,
e colla gioia di affamati infermi
morderti il cuore.
 
 
 

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