domenica 20 settembre 2015

Paradiso: i canti di Francesco e Domenico

Francesco e Domenico nel Paradiso
 
BOSCO-REGGIO, commento al Paradiso,
introduzione ai canti XI e XII.
 
Due canti concepiti unitariamente, con l’intento di celebrare i due campioni (proprio mentre i rispettivi ordini sono separati da un’accesa rivalità) che hanno combattuto contro i nemici della Chiesa: Francesco contro quelli interni (il clero avido di ricchezze), Domenico contro quelli esterni (gli eretici). E Dante ha senz’altro in mente la profezia di Gioacchino da Fiore, che aveva parlato di duo viri che avrebbero sostenuto la Chiesa pericolante. Di qui l’accurato parallelismo simmetrico della costruzione: un domenicano (Tommaso) fa l’elogio di Francesco (e denuncia il traviamento del proprio ordine), un francescano (Bonaventura) fa l’elogio di Domenico (e denuncia il traviamento del proprio ordine); per entrambi, dodici versi ad indicare, con ampia perifrasi letteraria, il luogo di nascita (Assisi-Oriente per Francesco, l’occidentale Calaroga per Domenico: a sottolineare che il loro campo di battaglia è il mondo intero); per entrambi, nomina sunt consequentia rerum (Assisi, Domenico, Felice, Giovanna).
Ma la biografia di Domenico è meno articolata di quella di Francesco: perché la vita di quest’ultimo era già in un alone di leggenda (e Dante segue, molto da vicino, la Legenda maior di Bonaventura). I due sono visti soprattutto come combattenti (parole e perifrasi che alludono alla guerra sono ricorrenti).
Di Francesco, Dante sottolinea il matrimonio con la povertà (per questo è alter Christus); ma nella Legenda maior c’era altro (c’erano visioni, miracoli, estasi); vuol dire che Dante vuole polemizzare, implicitamente, con i conventuali e la curia romana; è vero che, per bocca di Bonaventura, prende una posizione intermedia (contro l’eccessivo rigorismo degli spirituali e contro il lassismo dei conventuali); ma, sul possesso di beni da parte della Chiesa, già conosciamo (dal Monarchia) la posizione di Dante: la Chiesa può ricevere, come in deposito, beni di proprietà dell’Impero (che restano sempre tali), ma solo per distribuirne i frutti ai poveri di Cristo (le decime sunt pauperum dei); è altresì evidente la simpatia di Dante per la posizione degli spirituali: in Pd. XXI presenta Pietro e Paolo come francescani ante litteram (e non c’è dubbio che abbia in mente quel passo del vangelo di Matteo in cui Cristo prescrive agli apostoli di seguirlo seminudi e scalzi). E questo ha vieppiù valore se si pensa che ci sono due condanne (la prima del 1318, la seconda, definitiva, del 1323) da parte del papa Giovanni XXII nei confronti degli spirituali.

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