lunedì 14 settembre 2015

Purgatorio: il canto di Guinizzelli

Il canto XXVI del Purgatorio
 
BOSCO-REGGIO, commento al Purgatorio ;
introduzione al canto XXVI
 
Il tono stilistico è sostenuto, sia per rime difficili (adre, arche, igio, ostri) o equivoche (legge, turba), sia per parole rare (s’ammusa, s’inurba, ecc.), sia per ricercatezza di immagini (la morte come una rete, Cristo abate del collegio): e sarà da attribuire al valore alto dei personaggi incontrati.
E’ il canto in cui si celebra, nella figura di due grandi maestri (Guinizzelli e Arnaut Daniel), la grandezza della poesia in volgare. E la commozione di Dante davanti a Guinizzelli è paragonabile a quella di Stazio davanti a Virgilio (Pg. XXI-XXII). Siamo all’interno di quel recupero dello stilnovismo, già iniziato in Pg. XXIV, in occasione dell’incontro con Bonagiunta: quella esperienza aveva raffinato la poesia (rispetto alla grossolanità di un Guittone), a prescindere dal fatto che l’amore cantato fosse ancora un amore-passione, e non ancora un amore-virtù (e sarà questa la ragione per cui, escludendo improbabili biografie a noi sconosciute, Guinizzelli ed Arnaut Daniel sono collocati fra i lussuriosi). Che Dante abbia in mente proprio questa loro qualità di artefici della lingua, lo si deduce dall’appellativo (fabbro del parlar materno) con cui indica Arnaut (preferito a Giraut de Borneihl, proprio perché, come autore del trobar clus, aveva operato un duro lavoro di raffinamento sul grezzo materiale della lingua volgare).
Nello stesso senso andrà intesa la polemica contro Guittone (anche se questo lascia qualche perplessità, perché Guittone non era certo poeta rozzo: ma bisognerà pensare che è proprio la volontà di marcare la superiorità dello stilnovismo che spinge Dante ad eccedere in un giudizio liquidatorio nei confronti del vecchio maestro).
 

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