lunedì 14 settembre 2015

Purgatorio: l'allegoria nel Paradiso Terrestre

Il Paradiso Terrestre: l’allegoria della processione e della trasformazione del carro
 
Dante, in compagnia di Virgilio e Stazio si inoltra nella selva del Paradiso Terrestre finché giunge ad un ruscello (è il Letè), oltre il quale scorge una donna che si aggira cantando e cogliendo fiori. E’ Matelda[17], la quale, su richiesta di Dante, risponde ad alcune domande: essendo il Purgatorio (dalla porta in su) libero da perturbazioni atmosferiche, l’agitarsi delle fronde non è dovuto al vento “naturale”, ma a un movimento dell’aria causato dal rotare del Primo Mobile; le piante, che qui si trovano, impregnano l’aria della loro virtù seminale, e l’aria, a sua volta, comunica tale virtù alla terra abitata dagli uomini, dove quindi possono nascere piante anche “senza seme palese”; ci sono due fiumi (Letè ed Eunoè), che non nascono da una sorgente naturale, ma dalla volontà divina; questo è quel luogo, conclude Matelda, di cui gli antichi favoleggiarono quando parlarono dell’età dell’oro.
Successivamente invita Dante ad osservare la processione che sta giungendo lungo la riva del fiume, accompagnata da un canto melodioso: è preceduta da sette candelabri (simboleggiano i sette doni dello Spirito Santo: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timor di Dio), sovrastati e seguiti da sette liste luminose (i benefici effetti dei suddetti doni); vengono quindi, a due a due, ventiquattro seniori (i 24 libri del Vecchio Testamento) vestiti di bianco e coronati di gigli (a simboleggiare la purezza della loro dottrina); poi quattro animali (i 4 evangelisti), coronati di fronde  verdi (eterna giovinezza del vangelo), dotati di sei ali (rapidità della diffusione del vangelo) piene d’occhi (conoscenza del passato e del futuro); in mezzo a loro avanza un carro (la Chiesa), poggiato su due ruote (il Vecchio e il Nuovo Testamento), trainato da un grifone (animale con corpo di leone, testa e ali di aquila: indica Cristo, e la sua doppia natura); alla destra del carro ci sono tre donne (virtù teologali: fede, speranza e carità), alla sinistra quattro donne (virtù cardinali: prudenza, fortezza, giustizia e temperanza); seguono due vecchi (S. Luca, autore degli Atti degli apostoli; S. Paolo, autore delle Lettere); quindi quattro personaggi di umile aspetto (i 4 libri delle epistole di Pietro, Giovanni, Giacomo e Giuda, succinte e brevi); infine “un vecchio solo” (S. Giovanni, autore dell’Apocalisse) che procede dormendo (perché il libro è in forma di visione).
La processione si ferma e, quando i 24 seniori gridano rivolti al carro “Veni sponsa de Libano”, compaiono angeli che gettano fiori; in mezzo alla nuvola di fiori appare Beatrice. Dante sente in sé “i segni dell’antica fiamma”, si volge verso Virgilio, ma Virgilio non c’è più. Dante piange, sentendosi abbandonato. Beatrice lo chiama per nome e lo invita a piangere per ben altro dolore: lo accusa di averla tradita, di essersi abbandonato, dopo la sua morte, ai falsi allettamenti del piacere, di essere caduto tanto in basso da rendere necessario il suo intervento (discesa nel Limbo a pregare Virgilio di guidarlo nell’oltretomba) per evitargli la dannazione; prima che passi il Letè dovrà versare sincere lacrime di pentimento. Invita Dante a confessare apertamente le sue colpe, ma costui, confuso e umiliato non sa fare altro che piangere a testa bassa. “Alza la barba”, gli ordina lei, e guardami. Dante non regge alla sua vista e sviene. Rinviene nell’acqua del Letè, ove Matelda lo sta immergendo; quindi lo porta sull’altra riva del fiume e lo affida alle quattro donne, le quali a loro volta, dopo averlo invitato a fissare gli occhi di Beatrice, lo affidano alle tre donne: queste pregano Beatrice di svelare al suo fedele “la seconda bellezza” (si intende quella della bocca, essendo quella degli occhi la prima). Ella si rivela allora sorridente e tanto bella che nessuno scrittore saprebbe renderne una pallida immagine.
Quindi la processione, con una conversione simile a quella di un esercito, torna indietro e Dante la segue a fianco del carro, insieme a Stazio e a Matelda. Si fermano davanti ad un albero (enorme e “rovesciato”, come quello nella cornice dei golosi): è l’albero della sapienza del bene e del male e moralmente rappresenta la giustizia divina, violata dalla disobbedienza di Adamo ed Eva; da allora è “dispogliato”, e ora rinverdisce e rifiorisce (di fiori dal colore fra il rosa e il viola: forse simbolo del sangue di Cristo), nel momento in cui il Grifone attacca ad esso il carro (la redenzione, e quindi l’opera della Chiesa che reintegra la giustizia violata). Dante si addormenta al canto di “quella gente”, e quando si risveglia la processione se n’è andata, si ritrova solo con Matelda, Stazio, Beatrice e le sette donne. Beatrice è seduta a terra a guardia del carro e chiama vicino a sé Dante. Lo invita a guardare e a riferire ciò che vedrà. Un’aquila scende dal cielo, attacca la pianta e scuote il carro (sono le persecuzioni dell’impero nei confronti della Chiesa). Quindi si avvicina al carro una volpe affamata, ma Beatrice la mette in fuga accusandola di “laide colpe” (sono le eresie vinte dalla giusta dottrina). Poi torna l’aquila e lascia cadere alcune penne sul carro (è la donazione di Costantino). Ora si apre la terra sotto il carro, ne esce un drago che con la coda a mo’ di pungiglione porta via un asse dal fondo e se ne va (probabilmente la religione musulmana, che sottrae fedeli alla Chiesa). Le penne lasciate dall’aquila germogliano sul resto del carro, che rapidamente si trasforma in un mostro (degenerazione della Chiesa a seguito della donazione di Costantino, e quindi dell’acquisizione di potere temporale) con sette teste (tre sul timone, quattro negli angoli: saranno i sette peccati capitali). Sul carro si siede una puttana “sciolta” (sfrontata, senza ritegno: sarà la curia romana); di fianco a lei compare un gigante (il re di Francia, Filippo il Bello) che la bacia (sottomissione della curia alla volontà della Francia) e poi, siccome lei guarda Dante (il popolo cristiano), la batte (oltraggio di Anagni) e trascina il mostro nella selva (trasferimento della sede papale ad Avignone, voluta da Filippo il Bello e realizzata da Clemente V nel 1305)
 
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[17] Difficile individuarne l’identità storica: si è pensato a Matilde di Canossa, ma anche alla monaca benedettina Matilde di Hachenborn (morta nel 1298 e autrice di libri spirituali) o alla “donna gentile” della Vita Nova. Altrettanto difficile è comprenderne il significato allegorico: probabilmente significa la felicità terrena, quella di cui godettero Adamo ed Eva e che è raggiungibile praticando le virtù morali e intellettive. La sua funzione sembra essere solo quella di condurre le anime (o il solo Dante?) a completare la purificazione, facendole bere alle acque dei due ruscelli.
 
 

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