lunedì 14 settembre 2015

Purgatorio: il canto V

Il canto V del Purgatorio e Pia
 
BOSCO-REGGIO, commento al Purgatorio ;
introduzione al canto V.
 
Il canto inizia con il rimprovero di Virgilio perché Dante si è lasciato distrarre dall’ammirazione delle anime: l’evidente sproporzione tra l’occasione (un semplice rallentamento) e l’ampiezza (e asprezza) del rimprovero si spiega pensando che si sono appena lasciati i pigri, e quindi il monito è generale contro la pigrizia e la mancanza di determinazione verso la meta.
Sapegno nota come la nuova schiera si caratterizzi già all’apparire (vedi il paragone coi vapori accesi) per una sorta di affanno o di agitazione, che certo non c’era nei pigri (e nemmeno negli scomunicati): segno di un desiderio più intenso di comunicare con Dante, e segno della loro “morte per forza” che li ha lasciati più timorosi di essere dimenticati dai vivi (e quindi più vogliosi di essere ricordati).
E poi la narrazione dettagliata, concreta (sembra una sceneggiatura cinematografica), punteggiata da riferimenti al sangue (di Jacopo e Bonconte) in un crescendo drammatico che ha il suo culmine nella descrizione della tempesta che travolge il corpo di Bonconte: quindi lo stacco, il mutamento di tono, appena quattro versi in cui la Pia non descrive, non dice chiaramente, ma allude.
Di lei niente sappiamo: uccisa perché infedele? Per una immotivata gelosia del marito? Perché questi voleva convolare a nuove nozze? Tutto può essere (e poeticamente può tornare). Ma quel che c’è nel testo è la pietà affettuosa con cui la figura è disegnata: anche le due anime precedenti erano state cortesi con Dante, ma quella di Pia è una cortesia tutta femminile, fatta di riferimenti alla fatica fisica, tutta umana, del viaggio (e non, una volta tanto, al suo valore salvifico); e il modo di riferirsi alla propria morte (dissolve la figura dell’assassino in quella dello sposo) fa contrasto con la maledizione di Francesca (Caina attende chi a vita ci spense”, Inf. V, 107) e si collega al tono non accusatorio, pudico, di Piccarda (“Uomini, poi, a mal più ch’a bene usi...”, Pd. III, 106).
 

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