“il bell’affare!” nella
novella Libertà
1) Mi
piace concludere con un riferimento alla novella Libertà, che è la ricostruzione
di una vicenda storica, ovvero dei fatti
di Bronte, quando, in occasione della spedizione dei Mille, i contadini
(chiamati i “berretti”) insorsero e uccisero non pochi galantuomini (chiamati i
“cappelli”). Si ribellavano così ad una secolare oppressione e, peraltro
sollecitati da un decreto dello stesso Garibaldi che invitava alla
distribuzione delle terre demaniali, intendevano impadronirsi di un po’ di
quella terra che avevano lavorato per tutta la vita agli ordini dei padroni.
2) Ebbene,
anche questa ribellione si rivela un “bell’affare!” nel senso sarcastico
che abbiamo detto. Gli stessi ribelli, dopo la giornata di violenza contro i galantuomini, non sanno che fare,
diffidano l’uno dell’altro, sospettano
che niente cambierà e aspettano
rassegnati il generale “che veniva a far giustizia”, “quello che faceva tremare la gente”.
Eppure, per fermare la colonna che saliva verso Bronte “sarebbe bastato rotolare
dall’alto delle pietre per schiacciarli tutti. Ma nessuno si mosse”. Quel
generale era Bixio. Leggo il passo
che lo riguarda:
Si
vedevano le camice rosse dei suoi soldati salire lentamente per il burrone,
verso il paesetto; sarebbe bastato
rotolare dall’alto delle pietre per schiacciarli tutti. Ma nessuno si mosse. Le donne
strillavano e si strappavano i capelli. Ormai gli uomini, neri e colle barbe
lunghe, stavano sul monte, colle mani fra le cosce, a vedere arrivare quei
giovanetti stanchi, curvi sotto il fucile arrugginito, e quel generale piccino sopra il suo gran cavallo nero, innanzi a tutti,
solo.
Il generale fece portare della paglia nella chiesa, e mise a dormire i suoi ragazzi come un padre. La mattina, prima dell’alba, se non si levavano al suono della tromba, egli entrava nella chiesa a cavallo, sacramentando come un turco. Questo era l’uomo. E subito ordinò che glie ne fucilassero cinque o sei, Pippo, il nano, Pizzanello, i primi che capitarono… Da lontano, nelle viuzze più remote del paesetto, dietro gli usci, si udivano quelle schiopettate in fila come i mortaletti della festa.
3) E’
una novella molto controversa per il modo in cui Verga ricostruisce il fatto
storico. Mi limito a ricordare la
critica di Sciascia, che ha accusato Verga di aver voluto screditare
gli insorti, presentando, ad esempio, Bixio,
che era famoso per essere violento e
spietato, ora come una figura
epica (quel generale piccino
sopra il suo gran cavallo nero, innanzi a tutti, solo), ora come un buon padre (mise a dormire i suoi ragazzi come un padre); tacendo
della fucilazione dell’avvocato Lombardo, un intellettuale liberale non
responsabile della feroce rivolta e delle uccisioni; e nominando fra i fucilati il “nano”, quando invece si trattava
del matto del paese (ed era anche questo un modo per mettere in
buona luce Bixio, visto che in genere si
considera il “matto” come sacro e il “nano” invece come maligno e cattivo).
La conclusione della vicenda
4) Ma
vediamo la conclusione della vicenda:
Dopo
arrivarono i giudici per davvero, dei galantuomini cogli occhiali, arrampicati
sulle mule, disfatti dal viaggio, che si lagnavano ancora dello strapazzo
mentre interrogavano gli accusati nel refettorio del convento, seduti di fianco
sulla scranna, e dicendo ahi! ogni volta che mutavano lato. Un processo lungo
che non finiva più. I colpevoli li condussero in città, a piedi, incatenati a
coppia, fra due file di soldati col moschetto pronto. (…) Tutti gli altri in paese erano tornati a fare quello che facevano prima.
I galantuomini non potevano lavorare le
loro terre colle proprie mani, e la povera gente non poteva vivere senza i
galantuomini. Fecero la pace. L’orfano dello speziale rubò la moglie a Neli
Pirru, e gli parve una bella cosa, per vendicarsi di lui che gli aveva
ammazzato il padre. Alla donna che aveva di tanto in tanto certe ubbie, e
temeva che suo marito le tagliasse la faccia, all’uscire dal carcere, egli
ripeteva: — Sta tranquilla che non ne
esce più. — Ormai nessuno ci pensava; solamente qualche madre, qualche
vecchiarello, se gli correvano gli occhi verso la pianura, dove era la città, o
la domenica, al vedere gli altri che parlavano tranquillamente dei loro affari
coi galantuomini, dinanzi al casino di conversazione, col berretto in mano, e si persuadevano che all’aria ci vanno i
cenci.
Il
processo durò tre anni, nientemeno! tre anni di prigione e senza vedere il
sole. Sicchè quegli accusati parevano tanti morti della sepoltura, ogni volta
che li conducevano ammanettati al tribunale. Tutti quelli che potevano erano
accorsi dal villaggio: testimoni, parenti, curiosi, come a una festa, per
vedere i compaesani, dopo tanto tempo, stipati nella capponaia — chè capponi
davvero si diventava là dentro! e Neli
Pirru doveva vedersi sul mostaccio quello dello speziale, che s’era imparentato
a tradimento con lui! Li facevano alzare in piedi ad uno ad uno. — Voi come
vi chiamate? — E ciascuno si sentiva dire la sua, nome e cognome e quel che
aveva fatto. Gli avvocati armeggiavano fra le chiacchiere, coi larghi maniconi
pendenti, e si scalmanavano, facevano la schiuma alla bocca, asciugandosela
subito col fazzoletto bianco, tirandoci su una presa di tabacco. I giudici
sonnecchiavano, dietro le lenti dei loro occhiali, che agghiacciavano il cuore.
Di faccia erano seduti in fila dodici galantuomini, stanchi, annoiati, che
sbadigliavano, si grattavano la barba, o ciangottavano fra di loro. Certo si dicevano che l’avevano scappata
bella a non essere stati dei galantuomini di quel paesetto lassù, quando
avevano fatto la libertà. E quei poveretti cercavano di leggere nelle loro
facce. Poi se ne andarono a confabulare fra di loro, e gli imputati aspettavano
pallidi, e cogli occhi fissi su quell’uscio chiuso. Come rientrarono, il loro
capo, quello che parlava colla mano sulla pancia, era quasi pallido al pari
degli accusati, e disse: — Sul mio onore e sulla mia coscienza!....
Il carbonaio, mentre tornavano a mettergli le manette, balbettava: — Dove mi conducete? — In galera? — O perchè? Non mi è toccato neppure un palmo di terra! Se avevano detto che c’era la libertà!....
5) A
me interessa notare come anche qui torni
il pessimismo di Verga circa la possibilità di cambiare in meglio – in
questo caso con la violenza rivoluzionaria – la propria condizione sociale
(“Tutti gli altri in paese erano tornati
a fare quello che facevano prima”. Segue una specie di sintesi del
famoso apologo di Menenio Agrippa:
“I galantuomini non potevano lavorare le
loro terre colle proprie mani, e la povera gente non poteva vivere senza i
galantuomini”).
6) Ma,
di più, torna la convinzione di Verga secondo cui il tentativo di cambiare in meglio la propria condizione si risolve
inevitabilmente in un “bell’affare!”,
ovvero in una rovinosa catastrofe. L’unico che non l’ha capito è il
carbonaio, che “mentre tornavano a
mettergli le manette, balbettava: — Dove mi conducete? — In galera? — O perchè?
Non mi è toccato neppure un palmo di terra! Se avevano detto che c’era la
libertà!....”