La grande
morte di Argante
32) Vorrei infine leggere alcune ottave che
chiariscono il carattere e il valore dei guerrieri pagani nei momenti finali
dell’assedio, quando ormai soccombono di fronte all’ultimo assalto dei crociati
e vanno incontro al loro destino di
morte. I guerrieri in questione sono Argante e Solimano. Argante è il
più forte guerriero pagano, Gerusalemme è ormai espugnata, ma lui continua a
combattere come un leone, non vuol
darsi per vinto se non da morto: “e pugna sol fra gli inimici avolto, / più
che morir temendo esser respinto; / e vuol morendo anco parer non vinto”.
E’ raggiunto da Tancredi, che lo sfida a battersi con lui in "singolar
tenzone":
Escon della Cittade, e dan le spalle
Ai padiglion delle accampate genti:
E se ne van dove un girevol calle
Gli porta per secreti avvolgimenti:
E ritrovano ombrosa angusta valle
Tra più colli giacer; non altrimenti
Che se fosse un teatro: o fosse ad uso
Di battaglie, e di cacce intorno chiuso.
Quì si fermano entrambi: e pur sospeso
Volgeasi
Argante alla Cittade afflitta.
Vede Tancredi che ’l Pagan difeso
Non è di scudo, e ’l suo lontano ei gitta.
Poscia lui dice: “or
qual pensier t’ha preso?
Pensi ch’è
giunta l’ora a te prescritta?
S’antivedendo
ciò timido stai,
È il tuo
timore intempestivo omai”.
“Penso,
risponde, alla Città del regno
Di Giudea
antichissima Regina,
Che vinta or
cade; e indarno esser sostegno
Io procurai
della fatal ruina.
E ch’è poca vendetta al mio disdegno
Il capo tuo, che ’l Cielo or mi destina”.
Tacque, e incontra si van con gran risguardo:
Chè ben conosce l’un l’altro gagliardo.
Il duello finirà con la vittoria di Tancredi e la
morte di Argante. Ma nel momento in cui quest’ultimo si volge verso Gerusalemme
e rimane “sospeso”, pensieroso, dimostra una statura, una consapevolezza del
senso delle vicende umane, ben superiore a quella di Tancredi, il quale meschinamente insinua che
l’esitazione di Argante sia dovuta alla sua paura di morire. Argante invece vede in quel momento la
caducità della vita, il destino di morte che riguarda non solo gli uomini, ma
le città e i regni. E in questo è in sintonia con lo stesso autore, il
quale aveva espresso pensieri simili di fronte alle rovine di Cartagine (ci
passano davanti Carlo e Ubaldo, inviati verso le isole Fortunate alla ricerca
di Rinaldo): “Giace l’alta Cartago;
appena i segni / Dell’alte sue ruine il lido serba. / Muojono le Città, muojono
i regni: / Copre i fasti e le pompe arena ed erba: / E l’uom d’esser mortal par
che si sdegni: / O nostra mente cupida e superba!”
La grande
morte di Solimano
33) Una statura
altrettanto grande dimostra Solimano, il capo dei predoni arabi, il quale
si è asserragliato nella torre di Davide, osserva la battaglia che
si svolge per le strade, quindi decide di gettarsi nella mischia e di
affrontare il suo destino:
Or mentre in guisa tal fera tenzone
è
tra 'l fedel essercito e 'l pagano,
salse in cima a la torre ad un balcone
e
mirò, benché lunge, il fer Soldano;
mirò, quasi in teatro od in agone,
l'aspra tragedia de lo stato
umano:
i vari assalti e 'l fero orror
di morte
e i gran giochi del caso e de la
sorte.
74 Stette attonito alquanto e stupefatto
a
quelle prime viste; e poi s'accese,
e
desiò trovarsi anch'egli in atto
nel periglioso campo a l'alte imprese.
Né pose indugio al suo desir, ma ratto
d'elmo s'armò, ch'aveva ogn'altro arnese:
-
Su su, - gridò - non più, non più dimora:
convien ch'oggi si vinca o che si mora. -
75 O che sia forse il proveder divino
che spira in lui la furiosa mente,
perché quel giorno sian del palestino
imperio le reliquie in tutto spente;
o che sia ch'a la morte omai vicino
d'andarle incontra stimolar si
sente,
impetuoso e rapido disserra
la porta, e porta inaspettata guerra.
Uccide molti nemici, finché
incontra Rinaldo che ha appena abbattuto, con un colpo tremendo, il pagano
Adrasto
104 Lo stupor, di spavento e d'orror
misto,
il sangue e i cori a i circostanti agghiaccia,
e
Soliman, ch'estranio colpo ha visto,
nel cor si turba e impallidisce in faccia,
e chiaramente il suo morir
previsto,
non si risolve e non sa quel che faccia;
cosa insolita in lui, ma che non regge
de gli affari qua giù l'eterna legge?
105 Come vede talor torbidi sogni
ne' brevi sonni suoi l'egro o l'insano,
pargli ch'al corso avidamente agogni
stender le membra, e che s'affanni invano,
ché ne' maggiori sforzi a' suoi bisogni
non corrisponde il piè stanco e la mano,
scioglier talor la lingua e parlar vòle,
ma non seguon la voce o le parole;
106 così
allora il Soldan vorria rapire
pur se stesso a l'assalto e se
ne sforza,
ma non conosce in sé le solite
ire,
né sé conosce a la scemata
forza.
Quante scintille in lui sorgon d'ardire,
tante un secreto suo terror n'ammorza:
volgonsi nel suo cor diversi sensi,
non che fuggir, non che ritrarsi
pensi.
107 Giunge all'irresoluto il vincitore,
e
in arrivando (o che gli pare) avanza
e
di velocitade e di furore
e
di grandezza ogni mortal sembianza.
Poco ripugna quel; pur mentre
more,
già non oblia la generosa
usanza:
non fugge i colpi e gemito non spande,
né atto fa se non se altero e
grande.
34) Solimano ha già visto, guardando dalla torre, “l'aspra tragedia de lo stato umano: / i vari
assalti e 'l fero orror di morte / e i gran giochi del caso e de la sorte”.
Nella sua mente si è già insinuato il
dubbio sulla insensatezza delle vicende umane; avverte come tragica la
condizione umana, vede l’orrore di morte portato dalla guerra. Quindi
si lancia nella mischia, ma sa di andare incontro alla morte. Quando vede la
furia di Rinaldo, ha “chiaramente il suo
morir previsto”; vorrebbe battersi, lanciarsi all’assalto, ma non ne ha la
forza (come succede, dice il poeta, a chi in sogno vorrebbe correre e non
riesce, vorrebbe parlare e non riesce); non
è viltà, perché “non che
fuggir, non che ritrarsi pensi” e poi “non
fugge i colpi e gemito non spande, né atto fa se non se altero e grande”. La morte gli fa paura, ma anche lo
attrae, perché ormai è pervaso dal dubbio profondo sul senso della vita,
non solo della sua vita, ma di ogni vita umana. Che sia un pagano infedele
a mettere in dubbio il senso della vita potrebbe essere coerente con il
presupposto che il senso lo può dare soltanto la vera fede, quella cristiana. Ma se un po’ della angoscia esistenziale
che paralizza Solimano trapassa nella coscienza cristiana di Tasso, allora
abbiamo un’altra prova dei suoi tormenti, allora anche per lui la vita perde di
senso, allora anche per lui non c’è altro che “l'aspra tragedia de lo stato umano: / i vari assalti e 'l fero orror di
morte / e i gran giochi del caso e de la sorte”: e allora tutto vacilla, oserei dire anche la
fede.