martedì 14 gennaio 2020

I tormenti di Tasso (VI parte)


La grande morte di Argante



32) Vorrei infine leggere alcune ottave che chiariscono il carattere e il valore dei guerrieri pagani nei momenti finali dell’assedio, quando ormai soccombono di fronte all’ultimo assalto dei crociati e vanno incontro al loro destino di morte. I guerrieri in questione sono Argante e Solimano. Argante è il più forte guerriero pagano, Gerusalemme è ormai espugnata, ma lui continua a combattere come un leone, non vuol darsi per vinto se non da morto: “e pugna sol fra gli inimici avolto, / più che morir temendo esser respinto; / e vuol morendo anco parer non vinto”. E’ raggiunto da Tancredi, che lo sfida a battersi con lui in "singolar tenzone":



Escon della Cittade, e dan le spalle

Ai padiglion delle accampate genti:

E se ne van dove un girevol calle

Gli porta per secreti avvolgimenti:

E ritrovano ombrosa angusta valle

Tra più colli giacer; non altrimenti

Che se fosse un teatro: o fosse ad uso

Di battaglie, e di cacce intorno chiuso.



Quì si fermano entrambi: e pur sospeso

Volgeasi Argante alla Cittade afflitta.

Vede Tancredi che ’l Pagan difeso

Non è di scudo, e ’l suo lontano ei gitta.

Poscia lui dice: “or qual pensier t’ha preso?

Pensi ch’è giunta l’ora a te prescritta?

S’antivedendo ciò timido stai,

È il tuo timore intempestivo omai”.



“Penso, risponde, alla Città del regno

Di Giudea antichissima Regina,

Che vinta or cade; e indarno esser sostegno

Io procurai della fatal ruina.

E ch’è poca vendetta al mio disdegno

Il capo tuo, che ’l Cielo or mi destina”.

Tacque, e incontra si van con gran risguardo:

Chè ben conosce l’un l’altro gagliardo.



Il duello finirà con la vittoria di Tancredi e la morte di Argante. Ma nel momento in cui quest’ultimo si volge verso Gerusalemme e rimane “sospeso”, pensieroso, dimostra una statura, una consapevolezza del senso delle vicende umane, ben superiore a quella di Tancredi, il quale meschinamente insinua che l’esitazione di Argante sia dovuta alla sua paura di morire. Argante invece vede in quel momento la caducità della vita, il destino di morte che riguarda non solo gli uomini, ma le città e i regni. E in questo è in sintonia con lo stesso autore, il quale aveva espresso pensieri simili di fronte alle rovine di Cartagine (ci passano davanti Carlo e Ubaldo, inviati verso le isole Fortunate alla ricerca di Rinaldo): “Giace l’alta Cartago; appena i segni / Dell’alte sue ruine il lido serba. / Muojono le Città, muojono i regni: / Copre i fasti e le pompe arena ed erba: / E l’uom d’esser mortal par che si sdegni: / O nostra mente cupida e superba!



La grande morte di Solimano



33) Una statura altrettanto grande dimostra Solimano, il capo dei predoni arabi, il quale si è asserragliato nella torre di Davide, osserva la battaglia che si svolge per le strade, quindi decide di gettarsi nella mischia e di affrontare il suo destino:



               Or mentre in guisa tal fera tenzone

               è tra 'l fedel essercito e 'l pagano,

               salse in cima a la torre ad un balcone

               e mirò, benché lunge, il fer Soldano;

               mirò, quasi in teatro od in agone,

               l'aspra tragedia de lo stato umano:

               i vari assalti e 'l fero orror di morte

               e i gran giochi del caso e de la sorte.

        74         Stette attonito alquanto e stupefatto

               a quelle prime viste; e poi s'accese,

               e desiò trovarsi anch'egli in atto

               nel periglioso campo a l'alte imprese.

               Né pose indugio al suo desir, ma ratto

               d'elmo s'armò, ch'aveva ogn'altro arnese:

               - Su su, - gridò - non più, non più dimora:

               convien ch'oggi si vinca o che si mora. -

        75         O che sia forse il proveder divino

               che spira in lui la furiosa mente,

               perché quel giorno sian del palestino

               imperio le reliquie in tutto spente;

               o che sia ch'a la morte omai vicino

               d'andarle incontra stimolar si sente,

               impetuoso e rapido disserra

               la porta, e porta inaspettata guerra.



Uccide molti nemici, finché incontra Rinaldo che ha appena abbattuto, con un colpo tremendo, il pagano Adrasto



       104         Lo stupor, di spavento e d'orror misto,

               il sangue e i cori a i circostanti agghiaccia,

               e Soliman, ch'estranio colpo ha visto,

               nel cor si turba e impallidisce in faccia,

               e chiaramente il suo morir previsto,

               non si risolve e non sa quel che faccia;

               cosa insolita in lui, ma che non regge

               de gli affari qua giù l'eterna legge?

       105         Come vede talor torbidi sogni

               ne' brevi sonni suoi l'egro o l'insano,

               pargli ch'al corso avidamente agogni

               stender le membra, e che s'affanni invano,

               ché ne' maggiori sforzi a' suoi bisogni

               non corrisponde il piè stanco e la mano,

               scioglier talor la lingua e parlar vòle,

               ma non seguon la voce o le parole;

       106         così allora il Soldan vorria rapire

               pur se stesso a l'assalto e se ne sforza,

               ma non conosce in sé le solite ire,

               né sé conosce a la scemata forza.

               Quante scintille in lui sorgon d'ardire,

               tante un secreto suo terror n'ammorza:

               volgonsi nel suo cor diversi sensi,

               non che fuggir, non che ritrarsi pensi.

       107         Giunge all'irresoluto il vincitore,

               e in arrivando (o che gli pare) avanza

               e di velocitade e di furore

               e di grandezza ogni mortal sembianza.

               Poco ripugna quel; pur mentre more,

               già non oblia la generosa usanza:

               non fugge i colpi e gemito non spande,

               né atto fa se non se altero e grande.



34) Solimano ha già visto, guardando dalla torre, “l'aspra tragedia de lo stato umano: / i vari assalti e 'l fero orror di morte / e i gran giochi del caso e de la sorte”. Nella sua mente si è già insinuato il dubbio sulla insensatezza delle vicende umane; avverte come tragica la condizione umana, vede l’orrore di morte portato dalla guerra. Quindi si lancia nella mischia, ma sa di andare incontro alla morte. Quando vede la furia di Rinaldo, ha “chiaramente il suo morir previsto”; vorrebbe battersi, lanciarsi all’assalto, ma non ne ha la forza (come succede, dice il poeta, a chi in sogno vorrebbe correre e non riesce, vorrebbe parlare e non riesce); non è viltà, perchénon che fuggir, non che ritrarsi pensi” e poi “non fugge i colpi e gemito non spande, né atto fa se non se altero e grande”. La morte gli fa paura, ma anche lo attrae, perché ormai è pervaso dal dubbio profondo sul senso della vita, non solo della sua vita, ma di ogni vita umana. Che sia un pagano infedele a mettere in dubbio il senso della vita potrebbe essere coerente con il presupposto che il senso lo può dare soltanto la vera fede, quella cristiana. Ma se un po’ della angoscia esistenziale che paralizza Solimano trapassa nella coscienza cristiana di Tasso, allora abbiamo un’altra prova dei suoi tormenti, allora anche per lui la vita perde di senso, allora anche per lui non c’è altro che l'aspra tragedia de lo stato umano: / i vari assalti e 'l fero orror di morte / e i gran giochi del caso e de la sorte”: e allora tutto vacilla, oserei dire anche la fede.

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