domenica 12 gennaio 2020

I tormenti di Tasso (III parte)


Il confronto dei proemi: l’argomento

19) Se confrontiamo ora le ottave introduttive dei due poemi, tutto questo si vede chiaramente. Ecco il Furioso:

   Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,

le cortesie, l’audaci imprese io canto,

che furo al tempo che passaro i Mori

d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,

seguendo l’ire e i giovenil furori

d’Agramante lor re, che si diè vanto

di vendicar la morte di Troiano

sopra re Carlo imperator romano.



L’incipit è già una chiara dichiarazione che non c’è una vicenda unica e centrale, ma si narreranno le molteplici avventure di guerra e d’amore di cui sono protagonisti le donne e i cavalieri. Quanto ai Mori che vengono in Francia dall’Africa per fare guerra a Carlo (per vendicare la morte di Troiano: si riferisce a vicende che erano nell’Orlando innamorato, di cui il Furioso vuole essere la continuazione) non è un fatto storico, visto che un simile passaggio, caso mai, c’è stato al tempo di Carlo Martello; e nemmeno sono personaggi storici Agramante e Troiano. Poi continua:



     Dirò d’Orlando in un medesmo tratto

cosa non detta in prosa mai né in rima:

che per amor venne in furore e matto,

d’uom che sí saggio era stimato prima;



Qui si annuncia che un argomento, non l’unico, sarà la vicenda di Orlando che divenne pazzo per amore. Infatti nella quarta ottava aggiunge:



Voi sentirete fra i piú degni eroi,

che nominar con laude m’apparecchio,

ricordar quel Ruggier, che fu di voi

e de’ vostri avi illustri il ceppo vecchio.

L’alto valore e’ chiari gesti suoi

vi farò udir



Si tratta dunque di un altro filone narrativo, degno quanto quello di Orlando, che riguarda la vicenda d’amore di Ruggero (cavaliere pagano, che per amore si convertirà al cristianesimo) e Bradamante (guerriera cristiana), dal cui matrimonio si voleva che fossero discesi i signori d’Este. Sentiamo invece la prima ottava della Liberata:



Canto l’arme pietose, e ’l Capitano

Che ’l gran sepolcro liberò di Cristo.

Molto egli oprò col senno e con la mano;

Molto soffrì nel glorioso acquisto:

E invan l’Inferno a lui s’oppose; e invano

s’armò d’Asia e di Libia il popol misto:

Chè ’l Ciel gli diè favore, e sotto ai santi

Segni ridusse i suoi compagni erranti.



Nei primi due versi sono enunciati con precisione l’azione centrale e il protagonista, il Capitano, cioè Goffredo. Qui non ci sono “cortesie” e “audaci imprese”, ma si cantano le “arme pietose, cioè si canta una guerra combattuta per pietas, per dovere religioso, per liberare “il gran sepolcro” “di Cristo”, non per mostrare il proprio valore. Si dice poi che al Capitano si opposero l’inferno e il “popol misto” d’Asia e di Libia, ma furono dalla sua parte il cielo e un popolo non misto, ma unito, perché Goffredo fu capace di ricondurre sotto il segno della croce “i compagni erranti”, cioè quei compagni che si erano allontanati dall’esercito e dall’assedio (e sono Tancredi e Rinaldo: erranti nel doppio senso della parola, che vagano altrove rispetto al luogo dell’azione e che sono in errore, sbagliano, perché vengono meno al loro dovere). Notate il riferimento al cielo e all’inferno, perchè questa è un’altra questione importante. Il cosiddetto “meraviglioso”, ovvero magie, incantesimi, insomma il soprannaturale, erano elementi caratteristici del poema cavalleresco. Nel Furioso c’è il mago Atlante, c’è la maga Alcina, c’è un cavallo alato e altre cose simili. Anche Tasso accoglie il soprannaturale, ma deve essere un soprannaturale cristiano, e pertanto verosimile: agiscono demoni infernali a fianco dei pagani e agiscono gli angeli del cielo a sostegno dell’esercito cristiano.

Il confronto dei proemi: l’invocazione alla Musa



20) Confrontiamo ora l’invocazione alla Musa, una invocazione ricorrente nel proemio di un poema. Ariosto si limita ad aggiungere queste parole, dopo aver detto che tratterà di Orlando impazzito per amore:



se da colei che tal quasi m’ha fatto,

che ’l poco ingegno ad or ad or mi lima,

me ne sará però tanto concesso,

che mi basti a finir quanto ho promesso.



Qui, invece della tradizionale invocazione alla Musa, abbiamo una sorta di preghiera, sorridente, non del tutto seria, rivolta alla propria donna (era una certa Alessandra Benucci) perché non lo faccia impazzire d’amore come ha fatto Angelica con Orlando, perché gli lasci il senno necessario per portare a termine l’opera. Ed ecco ora le due ottave di invocazione alla musa nella Liberata, ottave difficili, segnate da un tono solenne, perché si tratta di una invocazione seria, profondamente convinta, non sorridente ed anche un po’ irridente come quella che Ariosto rivolgeva alla propria donna:



     O Musa, tu, che di caduchi allori

Non circondi la fronte in Elicona,

Ma su nel Cielo infra i beati cori

Hai di stelle immortali aurea corona;

Tu spira al petto mio celesti ardori,

Tu rischiara il mio canto, e tu perdona

S’intesso fregj al ver, s’adorno in parte

D’altri diletti, che de’ tuoi le carte.



     Sai che là corre il mondo, ove più versi

Di sue dolcezze il lusinghier Parnaso;

E che ’l vero condito in molli versi,

I più schivi allettando ha persuaso.

Così all’egro fanciul porgiamo aspersi

Di soavi licor gli orli del vaso:

Succhi amari, ingannato, intanto ei beve,

E dall’inganno suo vita riceve.



La musa è una musa cristiana, non pagana, non abita in Elicona (come le muse pagane), ma in cielo; il poeta le chiede non solo ispirazione, ma anche perdono perché “intesse fregi al ver”, cioè perché non si limita a riportare la verità storica, ma la abbellisce con delle invenzioni. Ma questo lo faccio, dice il poeta, perché così, con le storie piacevoli, attraggo i lettori e questi, una volta attratti, traggono beneficio dal grande valore morale dell’opera. E’ quello che si fa quando si dà una medicina amara ad un bambino: si cosparge di zucchero l’orlo del bicchiere, così lui sente il dolce, ma intanto beve la medicina che lo farà guarire.

Il confronto dei proemi: la dedica



21) Confrontiamo anche la dedica al signore, anche questa tradizionale. Così nel Furioso:



     Piacciavi, generosa Erculea prole,

ornamento e splendor del secol nostro,

Ippolito, aggradir questo che vuole

e darvi sol può l’umil servo vostro.

Quel ch’io vi debbo, posso di parole

pagare in parte e d’opera d’inchiostro;

né che poco io vi dia da imputar sono,

che quanto io posso dar, tutto vi dono.



Questa è la dedica cortigiana, encomiastica, al cardinale Ippolito d’Este, al cui servizio si trovava Ariosto. L’innalzamento del tono, quando ci si riferisce al cardinale, cui il poeta contrappone umilmente, con falsa modestia, se stesso e la propria opera, è da intendersi ironicamente, visto che sappiamo che Ariosto non aveva grande stima del cardinale, non lo riteneva generoso né capace di apprezzare la poesia. E ancora nell’ultima ottava, dopo avere annunciato che tratterà anche delle vicende di Ruggero e Bradamante, aggiunge:



se voi mi date orecchio,

e vostri alti pensier cedino un poco,

sí che tra lor miei versi abbiano loco.



E qui mi sembra evidente che ritorni l’ironia nei confronti del cardinale sui cui “alti pensieri” Ariosto aveva forti dubbi. Ed ecco invece la dedica al signore, Alfonso d’Este, da parte di Tasso, una dedica così diversa da quella falsamente solenne e sostanzialmente ironica che Ariosto aveva rivolto al cardinale Ippolito



     Tu magnanimo Alfonso, il qual ritogli

Al furor di fortuna, e guidi in porto

Me peregrino errante, e fra gli scoglj,

E fra l’onde agitato, e quasi absorto;

Queste mie carte in lieta fronte accogli,

Che quasi in voto a te sacrate i’ porto.

Forse un dì fia, che la presaga penna

Osi scriver di te quel ch’or n’accenna.



     È ben ragion, (s’egli averrà ch’in pace

Il buon popol di Cristo unqua si veda,

E con navi e cavalli al fero Trace

Cerchi ritor la grande ingiusta preda,)

Ch’a te lo scettro in terra o, se ti piace

L’alto imperio de’ mari a te conceda.

Emulo di Goffredo, i nostri carmi

Intanto ascolta, e t’apparecchia a l’armi.



Tu sei colui, dice il poeta rivolto ad Alfonso, che ha dato un porto a me che rischiavo di naufragare, hai dato un po’ di pace alla mia vita travagliata (e noi sappiamo che questa è la pura verità, perché solo lì, a Ferrara, e solo in quegli anni, Tasso ha trovato la tranquillità ed ha interrotto il suo continuo peregrinare di corte in corte). Dunque accetta questo poema, che io offro a te come un voto sacro. Ed io ti auguro di poter guidare l’esercito o la flotta cristiana, se mai capiterà che il popolo cristiano voglia indire una nuova crociata per togliere di nuovo ai Turchi (“al fero Trace”) “la grande ingiusta preda”, cioè il santo sepolcro, di cui loro si sono impadroniti ingiustamente (i tempi erano quelli, ricordiamo che nel 1571 c’era stata la battaglia di Lepanto, in cui la flotta cristiana aveva sconfitto quella turca e in Europa circolava l’idea di una nuova crociata).

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