sabato 11 gennaio 2020

I tormenti di Tasso (II parte)


L’ossessione per le regole

11) Ma l’ossessione dell’ortodossia lo perseguita non solo sul piano delle regole religiose, ma anche su quello delle regole artistiche. Come c’è un’ortodossia religiosa, c’è un’ortodossia poetica da seguire, ed è quella indicata dalla Poetica di Aristotele per il poema epico (la pubblicazione della nuova traduzione del padovano Francesco Robortello, aveva acceso le discussioni su quel testo). A differenza di Ariosto, che compone liberamente, seguendo la propria fantasia e il proprio senso interiore della giusta misura (dell’armonia), Tasso vuole comporre un poema che non deroghi dalle regole aristoteliche, relative alle unità di tempo, di luogo, di azione, di protagonista.

Tasso cerca l’unità, che invece esiste a priori per Ariosto e Dante

12) L’obiettivo che Tasso persegue è l’unità, l’unità contro la molteplicità, l’unità contro la dispersione. E questo è già significativo, sembra che Tasso senta se stesso lacerato, frantumato, e cerchi un centro in cui ricomporre in maniera unitaria la propria coscienza. Di questa ossessiva ricerca non aveva bisogno Ariosto, nella cui coscienza, e dunque nella sua opera, esisteva a priori una unità antropocentrica, come, qualche secolo prima, non ne aveva bisogno Dante, la cui opera esprime una unità teocentrica che è già indubitabile nella sua coscienza.

Le singole unità, assenti nel Furioso

13) E dunque, per Tasso ci deve essere unità di tempo, il che vuol dire che le vicende si devono svolgere in un tempo definito (nel caso della Liberata, si tratta degli ultimi mesi dell’assedio di Gerusalemme da parte dei crociati fino alla sua conquista), laddove nel Furioso non c’è assolutamente questa preoccupazione, le vicende si svolgono in un tempo indefinito e indefinitamente aperto.

14) Anche il luogo deve essere unitario, in questo caso Gerusalemme. Ogni fuoriuscita da questo luogo (cosa che infatti succede a cavalieri – Rinaldo e Tancredi – che si fanno attrarre da altro che non dal dovere di compiere la missione di liberare il santo sepolcro) deve prevedere il rientro: a questo luogo – e a questo dovere – tutto deve ritornare. Nel Furioso invece i luoghi variano continuamente, dal reale all’immaginario, dalla Francia all’Africa all’Asia, addirittura alla luna.

15) Unitaria deve essere l’azione (l’assedio e la conquista di Gerusalemme) e unico deve essere il protagonista (Goffredo, scelto da Dio perché porti a termine l’impresa). Le digressioni, ovvero le avventure di Rinaldo e Tancredi, sono devianze che si esauriscono con il rientro nell’azione centrale. Nel Furioso le azioni sono molteplici (o tutt’al più riconducibili a tre grandi filoni: la guerra fra cristiani e pagani, la pazzia di Orlando, le vicende di Ruggero) e non esiste, malgrado il titolo, un solo protagonista (Rinaldo e Ruggero stanno alla pari con Orlando).

16) Per questo, è stato detto, la Liberata è una “opera chiusa”, nel senso che è ben delimitata nell’inizio (Dio, tramite l’arcangelo Gabriele, affida a Goffredo il comando supremo perché sia liberato il santo sepolcro) e nella conclusione (Goffredo scioglie il voto inginocchiandosi davanti al santo sepolcro liberato). Il Furioso invece è una “opera aperta”, perché, se l’avete presente, non ha un vero inizio, comincia in medias res in quanto riprende la storia interrotta nell’Orlando innamorato di Boiardo, e non ha una vera conclusione, visto che l’ultimo episodio – il duello fra Ruggero e Rodomonte – è solo un episodio come tanti, non ha valore risolutivo, si potrebbe continuare benissimo con altri canti e altri episodi.

La storicità

17) Inoltre nel poema di Tasso le vicende devono avere una base storica, non devono essere di pura invenzione (nel caso della Liberata, si tratta della prima crociata, guidata da Goffredo di Buglione alla fine dell’XI secolo) e tutto ciò che si inventa su questa base deve essere verosimile. La verità storica invece non interessava né Ariosto né Boiardo: nel Furioso si parla di una battaglia di Parigi, che non è mai esistita, l’unico personaggio storico è il re Carlo, ma le sue vicende, come quelle dei personaggi del poema, sono pura invenzione.

18) Per questo aspetto non conta tanto l’ossessione per le regole, conta soprattutto l’ossessione religiosa. Per Tasso la storicità delle vicende che si narrano è fondamentale per il valore moralmente educativo che l’opera deve avere. Concedersi alla pura invenzione vuol dire lasciarsi sedurre dal piacere, e questo è moralmente diseducativo. Fateci caso, la rivendicazione del vero storico come base dell’opera letteraria è tipica degli scrittori cattolici. Manzoni grosso modo si attiene allo stesso principio: con i Promessi sposi scrive un romanzo storico e ciò che è inventato deve essere rigorosamente verosimile.


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