venerdì 27 maggio 2022

Pascoli (I parte)

 


Ruggero Pascoli con i figli (da sinistra) Giacomo, Luigi e Giovanni (1862)

Introduzione

1) Presentando Pascoli, la prima cosa da dire è che si tratta di un poeta a lungo frainteso, perché visto come il poeta della semplice e umile vita campestre, il poeta delle “piccole cose, laddove invece la sua poesia nasconde un carattere tormentato e morboso, è densa di riferimenti inquietanti.

2) Dicevo in altre occasioni che ci sono poeti dotati di una particolare sensibilità per l’amore e per la morte, per eros e thanatos, cioè per quelli che Freud ritiene gli istinti fondamentali che determinano la vita umana. Pascoli – come Petrarca, come Tasso – è uno di questi, attratto da eros e thanatos, o meglio, nel suo caso, attratto e impaurito. Una rapida occhiata alla sua biografia aiuta a comprendere la sua personalità e quindi anche il carattere profondo della sua poesia.

Dal trauma infantile all’insegnamento universitario

3) Tutti sappiamo del trauma infantile subito, ovvero l’uccisione del padre Ruggero (un’uccisione di cui i responsabili non furono mai individuati), quando Giovanni aveva solo 12 anni. A questo lutto – che naturalmente creò delle difficoltà economiche alla famiglia – ne seguirono altri a breve distanza: la morte della madre, poi di una sorella e di due fratelli. Sono eventi che segneranno per sempre il suo carattere e determineranno il desiderio, che sempre lo accompagnerà, di ricostruire il nucleo famigliare d’origine, di ricostruire il “nido” che i lutti avevano distrutto.

4) Studia in collegio a Urbino, poi grazie a una borsa di studio si iscrive alla facoltà di Lettere a Bologna. Qui venne addirittura arrestato perché, aderendo alle idee socialiste, aveva partecipato ad una manifestazione antigovernativa. Passò alcuni mesi in carcere ed anche questa fu un’esperienza traumatica, tant’è che successivamente si ritirò da ogni partecipazione politica, convinto dell’esistenza di una maligna forza superiore che travolge oppressi ed oppressori, e quindi della necessità di una fratellanza fra gli uomini

5) Si laureò e cominciò ad insegnare in vari licei in giro per l’Italia, chiamando a vivere con sé le due sorelle, Ida e Mariù (se le porta dietro a Massa, poi a Livorno). Dopo la morte di Carducci, gli successe nella cattedra di Letteratura italiana a Bologna (1905).

Il rapporto con le sorelle

6) Qualcosa di più bisogna dire sul rapporto con le sorelle. E’ un rapporto morboso, fatto di gelosie reciproche. Non ci sono relazioni amorose nella vita di Giovanni, che condurrà fino alla morte, come lui stesso confessa, una vita casta (per la verità, a un certo punto si era fidanzato con una cugina, Imelde Morri di Rimini, ma di fronte alla disperazione della sorella Mariù, rompe il fidanzamento). Vive con angoscia il matrimonio della sorella Ida, lo ritiene un tradimento, quasi un attentato alla sacralità del nido. Con la sorella rimasta, Mariù, prende in affitto una casa a Castelvecchio, nella campagna lucchese, una casa che sarà la sua – e di Mariù – residenza definitiva. Un ultimo particolare: Giovanni e Mariù a Castelvecchio dormivano in stanze separate, ma avevano i letti con le testate accostate alla stessa parete, sicchè dormivano con le teste a poca distanza l’una dall’altra, separate solo da un muro sottile.

Giovanni con le sorelle Mariù e Ida (1885)


Giovanni con Mariù e il cane Gulì


Myricae
, ovvero la poesia delle piccole cose

7) E vediamo ora il cosiddetto “poeta delle piccole cose”. Il titolo della sua prima raccolta è Myricae, ed è un titolo che evoca appunto le piccole cose, perché proprio in tal senso era stato usato da Virgilio (un poeta caro a Pascoli, perché come lui amante della campagna) nella IV Bucolica: “non omnis arbusta iuvant humilesque myricae”, non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici, per dire che non a tutti piace una poesia di tono basso, una poesia che non tratta di argomenti elevati, giacchè le tamerici sono degli arbusti che nascono comunemente presso le spiagge, quindi una pianta umile, simbolo di una poesia umile.

8) E dunque quel titolo, Myricae, preannuncia una poesia semplice, che non si propone di cantare grandi ideali, politici o morali – come è proprio del cosiddetto “poeta vate”, quale ad esempio era stato Carducci e quale, per certi versi, sarà D’Annunzio: un poeta, cioè, che si fa interprete di valori e ideali patriottici e li comunica, con un linguaggio alto, classicheggiante, alla comunità nazionale. E’ invece una poesia, quella di Myricae, che vuole descrivere l’umile mondo della campagna, le piccole cose della quotidianità, con un linguaggio non alto, ma adeguato al mondo che descrive.

9) Facendo riferimento al mondo vegetale, per Pascoli un’erba comune come il trifoglio ha dignità poetica tanto quanto un fiore nobile come la rosa (un fiore, questo, sempre prediletto dai poeti, mentre il trifoglio è sempre stato escluso dalla poesia). Il concetto è espresso dallo stesso Pascoli in una lettera del 1899 al pittore Antony de Witt: “Le anime e le cose, sieno esse grandi o piccole, buone o cattive, belle o brutte, hanno tutte un quid poetico in esse celato, celato più o meno: il poeta ve lo coglie e ne fa la poesia: come l’ape che, sia il fiore amaro o dolce, grande o piccolo, sia trifoglio o rosa, vistoso o umile, ne estrae sempre quel miele.”

10) E’ un linguaggio non alto, ma sempre tecnicamente preciso: alberi e uccelli non saranno mai nominati in questo modo generico, ma sempre con precisione botanica e ornitologica: il pero, il melo, il mandorlo, il moro, il fringuello, la cornacchia, l’usignolo, il tordo ecc.. E’ famosa la sua polemica con il Leopardi del Sabato del villaggio, laddove si dice che la “donzelletta” reca in mano un “mazzolin di rose e viole”; è un’accoppiata sbagliata, un mazzolino inesistente, obietta Pascoli, perché le viole fioriscono a marzo e le rose a maggio...  

Le innovazioni linguistiche ed espressive

11) Ma ecco che dietro la semplicità e la quotidianità delle piccole cose del mondo campestre si intravvede una visione della realtà tutt’altro che semplice, una visione turbata da sentimenti che rimandano ad altro, ad una dimensione misteriosa ed inquietante. Ed è una visione sostenuta da straordinarie innovazioni linguistiche ed espressive.

12) Già in questa prima raccolta si vede infatti come Pascoli – da questo punto di vista, appunto del linguaggio e della tecnica espressiva – sia un grande innovatore. Uno degli aspetti che subito colpisce è una sorta di rappresentazione impressionistica della realtà, cioè una rappresentazione fondata su impressioni accostate per misteriose corrispondenze, priva di coordinazione logico-temporale, di prospettiva spaziale: tutto è appiattito in primo piano, come in quadro naif.

 

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