La camera da letto di Giovanni a Castelvecchio. Nella stanza successiva si intravvede il letto di Mariù
La rappresentazione impressionistica: Sera d’ottobre
13) Leggiamo,
ad esempio, una semplice poesia di Myricae,
Sera
d’ottobre, di sole due strofe; non una poesia delle più visionarie, ma
utile per capire la tecnica espressiva di Pascoli (metro: due quartine composte da tre endecasillabi e un quinario):
Lungo la strada vedi
su la siepe
ridere a mazzi le vermiglie bacche:
nei campi arati tornano al presepe
tarde le vacche.
Vien per la strada un
povero che il lento
passo tra foglie stridule trascina:
nei campi intuona una fanciulla al vento
Fiore di spina!…
Sono accostate sullo
stesso piano le bacche rosse sulle
siepi, le vacche che tornano nella
stalla, un povero viandante che
cammina con lentezza sulle foglie secche, una fanciulla che canta. Ad ogni elemento sono dedicati due versi,
sono tutti in primo piano,
e tutti – che siano piccoli come le
bacche o grandi come le vacche – hanno la stessa dimensione (appunto, i due
versi). Tutto appare contemporaneamente, non c’è una sequenza
temporale, un prima e un dopo, e nemmeno una sequenza logica, perché niente di
logico lega i quattro elementi. Ci sono invece corrispondenze a-logiche,
associazioni da cogliere intuitivamente: le bacche rosse che vedi “ridere a mazzi” sembrano opporsi tanto
alla lentezza con cui si muovono le vacche, quanto, e ancora di più, al
faticoso trascinarsi del povero che calpesta le “foglie stridule”; quest’ultimo infine si associa in maniera
misteriosa alla fanciulla che canta “fiore
di spina”: misteriosa, perché può essere di opposizione fra il vecchio che
fatica a camminare e la giovane che si affaccia alla vita cantando
spensieratamente; ma quel canto che evoca non solo il fiore, ma anche la
spina, può essere complementare all’immagine precedente e insieme a quella comunicare in conclusione un sentimento non
di spensieratezza, ma di tristezza. Infine, notate come nella prima
quartina prevalga la sensazione visiva (vediamo le bacche e le vacche), nella
seconda prevalga invece la sensazione uditiva (sentiamo il canto della
fanciulla, così come sentiamo lo scricchiolare delle foglie sotto il passo del
vecchio; lo stesso aggettivo “stridule”
è onomatopeico, cioè comunica non
solo con il suo significato, ma anche con il suo suono).
L’onomatopea e il fono-simbolismo: Il
fringuello cieco
14) L’onomatopea è una tecnica
espressiva prediletta da Pascoli, tanto che qualcuno (Contini) ha parlato di un
valore fono-simbolico della parola in
Pascoli, cioè dell’uso di un linguaggio
pre-grammaticale che si serve del suono, in particolare dell’onomatopea,
per comunicare significati. Ad esempio è famoso quel verso della poesia Lavandare
(sempre da Myricae) che dice che
dalla gora (dove le lavandaie lavano i panni) si sente venire cadenzato “lo sciabordare
delle lavandare” e “sciabordare” riproduce il rumore che fanno i panni
sbattuti nell’acqua. Ma a Pascoli piaceva in particolare riprodurre il verso
degli uccelli. Sentite questa poesia tratta da I canti di Castelvecchio, Il fringuello cieco, dove
addirittura le parole pronunciate dai diversi uccelli intendono riprodurre il
verso dei diversi uccelli (metro: sestine di novenari):
Finch...
finchè nel cielo volai,
finch...
finch’ebbi il nido sul moro;
c’era un lume, lassù, in ma’ mai,
(espressione toscana spiegata da Pascoli:
“lontano lontano”)
un gran lume di fuoco e d’oro,
che andava sul cielo canoro,
spariva in un tacito oblio...
Il sole!... Ogni alba nella macchia,
ogni mattina per il brolo,
“Ci
sarà?„ chiedea la cornacchia;
“Non
c’è più!„ gemea l’assïuolo;
e cantava già l’usignolo:
“Addio
addio dio dio dio dio...„
Ma la lodola su dal grano
saliva a vedere ove fosse.
Lo vedeva lontan lontano
con le belle nuvole rosse.
E, scesa al solco donde mosse,
trillava: “C’è, c’è, lode a Dio!„
“Finch...
finchè non vedo, non credo„
però dicevo a quando a quando.
Il merlo
fischiava: “Io lo vedo„;
l’usignolo zittìa spiando.
Poi cantava gracile e blando:
“Anch’io
anch’io chio chio chio chio...„
Ma il dì ch’io persi cieli e nidi,
ahimè che fu vero, e s’è spento!
Sentii gli occhi pungermi, e vidi
che s’annerava lento lento.
Ed ora perciò mi risento:
“O
sol sol sol sol... sole mio?„
Tralascio l’interpretazione della poesia, mi limito a
dire che il dialogo fra i diversi uccelli sull’esistenza del sole rimanda al
problema della fede nell’esistenza di Dio.
La tralascio perché non è chiaro (almeno a me) il punto di vista del
fringuello (che ovviamente rappresenta il punto di vista del poeta) sia prima
che dopo l’accecamento. Riporto la poesia perché è esemplare del cosiddetto
fonosimbolismo pascoliano. Ci suono suoni che
imitano il verso del fringuello e si trasformano in parole (Finch...
finché nel cielo volai, finch...
finch'ebbi il nido sul moro, Finch... finché non vedo, non credo) e parole che si trasformano in suoni per riprodurre il verso
dell’usignolo (Addio,
addio dio dio dio dio...;
Anch'io anch'io chio chio chio chio...),
e ancora parole che, pur mantenendo il loro significato, intendono riprodurre il
verso, ora della allodola (C’è, c’è,
lode a Dio), ora della cornacchia (- Ci sarà? - chiedea la cornacchia), ora dell’assiuolo (-
Non c'è più! - gemea l'assiuolo).
L’analogia e la sinestesia
15) Prima di leggere altre poesie, sarà bene evidenziare altri due strumenti espressivi, precisamente due figure retoriche, ampiamente usati da Pascoli: la analogia e la sinestesia. Sono strumenti sempre usati dai poeti, ma che, a fine Ottocento, sono prediletti dalla poesia decadente e simbolista francese e diventano poi ricorrenti in tanta poesia del Novecento. L’analogia non è altro che l’associazione di due o più parole che sottintendono un paragone; il nesso logico che costituisce il paragone è stato eliminato, resta l’immagine espressa con le due (o più) parole associate, un’immagine affidata non più alla comprensione logica, ma a quella intuitiva. Ad esempio, Montale in Meriggiare pallido e assorto scrive del pianto delle cicale che si leva dai "calvi picchi…", cioè il canto delle cicale si leva dai “calvi picchi”, ovvero dalle cime prive di vegetazione, dunque calve come lo è una testa priva di capelli; è una analogia facile da comprendere, meno facile potrebbe essere questa di Ungaretti, che in una poesia (Stelle) scrive: "Tornano in alto ad ardere le favole…"; logicamente le favole non ardono, ma c’è una similitudine sottintesa fra le favole e le stelle, per cui le favole sembrano brillare come brillano in cielo le stelle.
16) La sinestesia è una particolare
forma di analogia, che consiste nell’associazione di parole appartenenti a
sfere sensoriali diverse. Qualche esempio, per intenderci: Dante nel V
dell’Inferno, al momento di entrare nel girone dei lussuriosi, dice: “Io
venni in luogo d’ogni luce muto”, dunque associa una parola (luce) che ha a che fare con il senso
della vista ad una parola (muto) che
invece appartiene al senso dell’udito. O ancora Quasimodo, nella poesia Alle
fronde dei salici, scrive “all’urlo nero / della madre che andava
incontro al figlio / crocifisso sul palo del telegrafo”, dove “urlo nero” è una evidente sinestesia.
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