Primo Levi
8)
Facciamo un salto nel cuore del Novecento, perché ritroviamo l’Ulisse di Dante
in Se
questo è un uomo, il libro in cui Primo
Levi racconta della sua deportazione e del suo internamento nel lager di Auschwitz.
Il
canto di Ulisse è il titolo di uno dei capitoli più belli e commoventi
del libro. Primo Levi fa amicizia con un altro internato, Jean, il Pikolo (era chiamato così, dice Levi, chi aveva la carica
di fattorino-scritturale, addetto a varie mansioni, fra cui quella di tenere la
contabilità delle ore di lavoro); Jean parla francese e tedesco e vorrebbe
imparare l’italiano e Primo si propone di cominciare a insegnarglielo durante
il tragitto che fanno per andare a prendere e trasportare la marmitta con il
rancio.
9) Gli viene in mente
il canto di Ulisse, se lo ricorda a pezzi, spiega al Pikolo i versi che ricorda
e si accorge lui stesso di scoprirne dei significati che, fuori da quella
tragica condizione, gli erano sempre sfuggiti: dovevo venire al lager, dice,
per capire meglio. “E misi me per l’alto mare aperto”; nel “mettere sé” c’è un’idea dello slanciarsi, più forte di un semplice
dirigersi; e poi c’è il “mare aperto”,
quello che ha per limite soltanto l’orizzonte. E quegli uomini, la cui umanità
era annientata, si commuovevano ascoltando il monito di Ulisse: Fatti non foste per viver come bruti…
Quel monito, il ricordo di essere uomini e non bestie, li aiuta a sopravvivere:
…
Il canto di Ulisse. Chissà come e perché mi è venuto in mente: ma non abbiamo
tempo di scegliere, quest’ora già non è più un’ora. Se Jean è intelligente
capirà. Capirà: oggi mi sento da tanto. (…. ) Jean è attentissimo, ed io
comincio, lento e accurato:
Lo
maggior corno della fiamma antica
cominciò
a crollarsi mormorando,
pur
come quella cui vento affatica.
Indi,
la cima in qua e in là menando
come
fosse la lingua che parlasse
mise
fuori la voce, e disse: Quando…
Qui mi fermo e
cerco di tradurre. Disastroso: povero Dante e povero francese! Tuttavia
l’esperienza pare prometta bene: Jean ammira la bizzarra similitudine della
lingua e mi suggerisce il termine appropriato per rendere «antica». E dopo
«Quando»? Il nulla. Un buco nella memoria. «Prima che sì Enea la nominasse».
Altro buco. Viene a galla qualche frammento non utilizzabile; «… la piéta Del
vecchio padre, né ’l debito amore Che doveva Penelope far lieta…» sarà poi
esatto?
… Ma misi me per
l’alto mare aperto.
Di questo sì, di
questo sono sicuro, sono in grado di spiegare a Pikolo, di distinguere perché
«misi me» non è «je me mis», è molto più forte e più audace, è un vincolo
infranto, è scagliare se stessi al di là
di una barriera, noi conosciamo bene questo impulso. L’alto mare aperto:
Pikolo ha viaggiato per mare e sa cosa vuol dire, è quando l’orizzonte si chiude su se stesso, libero diritto e semplice, e non
c’è ormai che odore di mare: dolci cose ferocemente lontane. […] «Mare
aperto», «Mare aperto». So che rima con «diserto»: «… quella compagna Picciola,
dalla qual non fui diserto», ma non rammento più se viene prima o dopo. E anche
il viaggio, il temerario viaggio al di là delle colonne d’Ercole, che
tristezza, sono costretto a raccontarlo in prosa: un sacrilegio. Non ho salvato
che un verso, ma vale la pena fermarcisi:
… Acciò che l’uom più oltre non si metta.
«Si metta»: dovevo
venire nel Lager per accorgermi che è la stessa espressione di prima, «e misi
me». Ma non ne faccio parte a Jean, non sono sicuro che sia una osservazione
importante. Quante altre cose ci sarebbero da dire, e il sole è già alto, mezzogiorno
è vicino. Ho fretta, una fretta furibonda. Ecco, attento Pikolo, apri gli
orecchi e la mente, ho bisogno che tu capisca:
Considerate
la vostra semenza:
fatti
non foste a viver come bruti,
ma
per seguir virtute e conoscenza.
Come
se anch’io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la
voce di Dio. Per
un momento, ho dimenticato chi sono e dove sono. Pikolo mi prega di ripetere.
Come è buono Pikolo, si è accorto che mi sta facendo del bene. O forse è
qualcosa di più: forse, nonostante la traduzione scialba e il commento pedestre
e frettoloso, ha ricevuto il messaggio, ha
sentito che lo riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, e noi in
specie; e che riguarda noi due, che osiamo ragionare di queste cose con le stanghe
della zuppa sulle spalle.
Li
miei compagni fec’io si acuti...
...e mi sforzo, ma
invano, di spiegare quante cose vuoi dire questo «acuti». Qui ancora una lacuna, questa volta irreparabile. «...
Lo lume era di sotto della luna» o qualcosa di simile; ma prima?... Nessuna
idea, «keine Ahnung» come si dice qui. Che Pikolo mi scusi, ho dimenticato
almeno quattro terzine (..).
Quando
mi apparve una montagna, bruna
Per
la distanza, e parvemi alta tanto
Che
mai veduta non ne avevo alcuna.
Sì, sì, «alta
tanto», non «molto alta», proposizione consecutiva. E le montagne, quando si
vedono di lontano.. le montagne... oh Pikolo, Pikolo, di’ qualcosa, parla, non
lasciarmi pensare alle mie montagne, che comparivano nel bruno della sera
quando tornavo in treno da Milano a Torino!
Basta, bisogna
proseguire, queste sono cose che si pensano ma non si dicono. Pikolo attende e
mi guarda.
Darei la zuppa di
oggi per saper saldare «non ne avevo alcuna» col finale. Mi sforzo di
ricostruire per mezzo delle rime, chiudo gli occhi, mi mordo le dita: ma non
serve, il resto è silenzio. Mi danzano per il capo altri versi: «...la terra
lagrimosa diede vento ...» no, è un’altra cosa. È tardi, è tardi, siamo
arrivati alla cucina, bisogna concludere:
Tre
volte il fe’ girar con tutte l’acque,
Alla
quarta levar la poppa in suso
E
la prora ire in giù, come altrui piacque...
Trattengo Pikolo,
è assolutamente necessario e urgente che ascolti, che comprenda questo «come altrui piacque», prima che sia
troppo tardi, domani lui o io possiamo essere morti, o non vederci mai più,
devo dirgli, spiegargli del Medioevo, del così umano e necessario e pure
inaspettato anacronismo, e altro ancora, qualcosa di gigantesco che io stesso
ho visto ora soltanto, nell’intuizione di un attimo, forse il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui...
Siamo oramai nella
fila per la zuppa, in mezzo alla folla sordida e sbrindellata dei porta-zuppa
degli altri Kommandos. I nuovi giunti ci si accalcano alle spalle. – Kraut und
Rüben? – Kraut und Rüben –. Si annunzia ufficialmente che oggi la zuppa è di
cavoli e rape: – Choux et navets. – Káposzta és répak.
Infin
che ‘l mar fu sopra noi rinchiuso.
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