venerdì 16 marzo 2018

Ulisse in Primo Levi


Primo Levi



8) Facciamo un salto nel cuore del Novecento, perché ritroviamo l’Ulisse di Dante in Se questo è un uomo, il libro in cui Primo Levi racconta della sua deportazione e del suo internamento nel lager di Auschwitz. Il canto di Ulisse è il titolo di uno dei capitoli più belli e commoventi del libro. Primo Levi fa amicizia con un altro internato, Jean, il Pikolo (era chiamato così, dice Levi, chi aveva la carica di fattorino-scritturale, addetto a varie mansioni, fra cui quella di tenere la contabilità delle ore di lavoro); Jean parla francese e tedesco e vorrebbe imparare l’italiano e Primo si propone di cominciare a insegnarglielo durante il tragitto che fanno per andare a prendere e trasportare la marmitta con il rancio.



9) Gli viene in mente il canto di Ulisse, se lo ricorda a pezzi, spiega al Pikolo i versi che ricorda e si accorge lui stesso di scoprirne dei significati che, fuori da quella tragica condizione, gli erano sempre sfuggiti: dovevo venire al lager, dice, per capire meglio. “E misi me per l’alto mare aperto”; nel “mettere sé” c’è un’idea dello slanciarsi, più forte di un semplice dirigersi; e poi c’è il “mare aperto”, quello che ha per limite soltanto l’orizzonte. E quegli uomini, la cui umanità era annientata, si commuovevano ascoltando il monito di Ulisse: Fatti non foste per viver come bruti… Quel monito, il ricordo di essere uomini e non bestie, li aiuta a sopravvivere:

… Il canto di Ulisse. Chissà come e perché mi è venuto in mente: ma non abbiamo tempo di scegliere, quest’ora già non è più un’ora. Se Jean è intelligente capirà. Capirà: oggi mi sento da tanto. (…. ) Jean è attentissimo, ed io comincio, lento e accurato:

Lo maggior corno della fiamma antica

cominciò a crollarsi mormorando,

pur come quella cui vento affatica.

Indi, la cima in qua e in là menando

come fosse la lingua che parlasse

mise fuori la voce, e disse: Quando…



Qui mi fermo e cerco di tradurre. Disastroso: povero Dante e povero francese! Tuttavia l’esperienza pare prometta bene: Jean ammira la bizzarra similitudine della lingua e mi suggerisce il termine appropriato per rendere «antica». E dopo «Quando»? Il nulla. Un buco nella memoria. «Prima che sì Enea la nominasse». Altro buco. Viene a galla qualche frammento non utilizzabile; «… la piéta Del vecchio padre, né ’l debito amore Che doveva Penelope far lieta…» sarà poi esatto?



… Ma misi me per l’alto mare aperto.



Di questo sì, di questo sono sicuro, sono in grado di spiegare a Pikolo, di distinguere perché «misi me» non è «je me mis», è molto più forte e più audace, è un vincolo infranto, è scagliare se stessi al di là di una barriera, noi conosciamo bene questo impulso. L’alto mare aperto: Pikolo ha viaggiato per mare e sa cosa vuol dire, è quando l’orizzonte si chiude su se stesso, libero diritto e semplice, e non c’è ormai che odore di mare: dolci cose ferocemente lontane. […] «Mare aperto», «Mare aperto». So che rima con «diserto»: «… quella compagna Picciola, dalla qual non fui diserto», ma non rammento più se viene prima o dopo. E anche il viaggio, il temerario viaggio al di là delle colonne d’Ercole, che tristezza, sono costretto a raccontarlo in prosa: un sacrilegio. Non ho salvato che un verso, ma vale la pena fermarcisi:



Acciò che l’uom più oltre non si metta.



«Si metta»: dovevo venire nel Lager per accorgermi che è la stessa espressione di prima, «e misi me». Ma non ne faccio parte a Jean, non sono sicuro che sia una osservazione importante. Quante altre cose ci sarebbero da dire, e il sole è già alto, mezzogiorno è vicino. Ho fretta, una fretta furibonda. Ecco, attento Pikolo, apri gli orecchi e la mente, ho bisogno che tu capisca:



Considerate la vostra semenza:

fatti non foste a viver come bruti,

ma per seguir virtute e conoscenza.



Come se anch’io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un momento, ho dimenticato chi sono e dove sono. Pikolo mi prega di ripetere. Come è buono Pikolo, si è accorto che mi sta facendo del bene. O forse è qualcosa di più: forse, nonostante la traduzione scialba e il commento pedestre e frettoloso, ha ricevuto il messaggio, ha sentito che lo riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, e noi in specie; e che riguarda noi due, che osiamo ragionare di queste cose con le stanghe della zuppa sulle spalle.



Li miei compagni fec’io si acuti...



...e mi sforzo, ma invano, di spiegare quante cose vuoi dire questo «acuti». Qui ancora  una lacuna, questa volta irreparabile. «... Lo lume era di sotto della luna» o qualcosa di simile; ma prima?... Nessuna idea, «keine Ahnung» come si dice qui. Che Pikolo mi scusi, ho dimenticato almeno quattro terzine (..).



Quando mi apparve una montagna, bruna

Per la distanza, e parvemi alta tanto

Che mai veduta non ne avevo alcuna.



Sì, sì, «alta tanto», non «molto alta», proposizione consecutiva. E le montagne, quando si vedono di lontano.. le montagne... oh Pikolo, Pikolo, di’ qualcosa, parla, non lasciarmi pensare alle mie montagne, che comparivano nel bruno della sera quando tornavo in treno da Milano a Torino!

Basta, bisogna proseguire, queste sono cose che si pensano ma non si dicono. Pikolo attende e mi guarda.

Darei la zuppa di oggi per saper saldare «non ne avevo alcuna» col finale. Mi sforzo di ricostruire per mezzo delle rime, chiudo gli occhi, mi mordo le dita: ma non serve, il resto è silenzio. Mi danzano per il capo altri versi: «...la terra lagrimosa diede vento ...» no, è un’altra cosa. È tardi, è tardi, siamo arrivati alla cucina, bisogna concludere:



Tre volte il fe’ girar con tutte l’acque,

Alla quarta levar la poppa in suso

E la prora ire in giù, come altrui piacque...



Trattengo Pikolo, è assolutamente necessario e urgente che ascolti, che comprenda questo «come altrui piacque», prima che sia troppo tardi, domani lui o io possiamo essere morti, o non vederci mai più, devo dirgli, spiegargli del Medioevo, del così umano e necessario e pure inaspettato anacronismo, e altro ancora, qualcosa di gigantesco che io stesso ho visto ora soltanto, nell’intuizione di un attimo, forse il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui...

Siamo oramai nella fila per la zuppa, in mezzo alla folla sordida e sbrindellata dei porta-zuppa degli altri Kommandos. I nuovi giunti ci si accalcano alle spalle. – Kraut und Rüben? – Kraut und Rüben –. Si annunzia ufficialmente che oggi la zuppa è di cavoli e rape: – Choux et navets. – Káposzta és répak.



Infin che ‘l mar fu sopra noi rinchiuso.

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