venerdì 16 marzo 2018

Ulisse in Leopardi e Manzoni


Leopardi e Manzoni


12) Per restare ai grandi dell’Ottocento, è interessante il pensiero di Leopardi. Leopardi, pur essendo affascinato da Cristoforo Colombo (e Colombo era stato indicato da Tasso, nella Liberata, come colui che aveva portato a compimento l’impresa di Ulisse), non amava l’Ulisse omerico, lo riteneva non “amabile”, anzi, per certi versi “odioso”, non amava le sue qualità, la “saviezza” e la “pazienza”; diceva di lui nello Zibaldone (p. 3602):

Or dunque volgendoci a' poemi epici veggiamo nell'Odissea che Ulisse, molto stimabile, in molte parti ammirabile e straordinario, in nessuna amabile, benchè sventurato per quasi tutto il poema, niente interessa. Ei non è giovane, anzi n'è ben lontano, benchè Omero si sforza di farlo apparire ancor giovane e bello per grazia speciale degli Dei, di Minerva ec. o per una meraviglia (che niente ci persuade perchè inverisimile), piuttosto che per natura, anzi contro natura. Ma il lettore segue la natura, malgrado del poeta e Ulisse non gli pare nè giovane nè bello. Le qualità nelle quali Ulisse eccede, sono in gran parte altrettanto forse odiose quanto stimabili. La pazienza non è odiosa, ma tanto è lungi da essere amabile, che anzi l'impazienza si è amabile….(e poi in nota) La pazienza è di tutte le virtù forse la più odiosa o la meno amabile, e ciò massimamente doveva essere presso gli antichi, e presso noi ancora, quando la consideriamo in personaggi e circostanze antiche, come in Ulisse.

E nei Pensieri (LXXIV):

Achille è perfettamente amabile; laddove la bontà di Enea e di Goffredo, e la saviezza di questi medesimi e di Ulisse, generano quasi odio.


13) Quanto a Manzoni, il discorso è diverso. Manzoni non nomina Ulisse nella sua opera, ma la vicenda vissuta da Renzo nei Promessi sposi sembra ripetere la struttura dell’Odissea. E’ stato Raimondi a mostrare come, essendo l’Iliade e l’Odissea i due archetipi fondamentali per tutto il romanzo occidentale, i Promessi sposi siano riconducibili al poema di Ulisse: è Renzo che, come succede ad Ulisse, compie un percorso (che è un viaggio lontano dalla “patria”, ricco di peripezie e di ostacoli da superare), al termine del quale tornerà a casa vincitore e con una coscienza superiore (è un cercatore di giustizia, e alla fine apprende che la più alta forma di giustizia risiede nel perdono, come gli ha insegnato fra Cristoforo al lazzaretto). Esemplare l’episodio narrato nel cap. XVI, quando Renzo, in fuga verso l’Adda, si ferma all’osteria di Gorgonzola. Lì giunge anche un mercante che narra agli avventori che lo ascoltano a bocca aperta le grandi vicende (le agitazioni per il pane) che stanno succedendo a Milano; e narra anche di quel caporione venuto da fuori, che era stato arrestato ma che era riuscito a fuggire. Anche Renzo ascolta, ben sapendo che si sta parlando di lui. La situazione ricorda quella di Ulisse, quando, ancora sconosciuto, è ospite presso la reggia di Alcinoo; e lì, in mezzo ai Feaci, ascolta il cantore Demodoco che narra le vicende della guerra di Troia e, fra gli eroi, esalta l’astuto Ulisse, che ha ideato l’inganno del cavallo.  

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