Ad Angelo Mai
quand'ebbe trovato i libri di Cicerone della "Repubblica"
La canzone è del gennaio del 1820. Leopardi si rivolge al cardinale Angelo Mai, in occasione del ritrovamento suddetto, chiedendogli, e chiedendosi, se abbia senso riportare alla luce documenti della virtù e della magnanimità degli antichi, visto che tali doti sono misconosciute e anzi disprezzate nel mondo contemporaneo; quindi prosegue:
47 De' nostri alti parenti,
48 A te ne caglia, a te cui fato aspira
49 Benigno sì che per tua man presenti
50 Paion que' giorni allor che dalla dira
51 Obblivione antica ergean la chioma,
52 Con gli studi sepolti,
53 I vetusti divini, a cui natura
54 Parlò senza svelarsi, onde i riposi
56 Oh tempi, oh tempi avvolti
58 La ruina d'Italia, anco sdegnosi
59 Eravam d'ozio turpe, e l'aura a volo
61 Eran calde le tue ceneri sante,
62 Non domito nemico
63 Della fortuna, al cui sdegno e dolore
65 L'averno: e qual non è parte migliore
67 Susurravano ancora
68 Dal tocco di tua destra, o sfortunato
70 L'italo canto. E pur men grava e morde
71 Il mal che n'addolora
73 A cui fu vita il pianto! A noi le fasce
74 Cinse il fastidio; a noi presso la culla
76 Ma tua vita era allor con gli astri e il mare,
77 Ligure ardita prole,
78 Quand'oltre alle colonne, ed oltre ai liti
79 Cui strider l'onde all'attuffar del sole
80 Parve udir su la sera, agl'infiniti
81 Flutti commesso, ritrovasti il raggio
82 Del Sol caduto, e il giorno
84 E rotto di natura ogni contrasto,
85 Ignota immensa terra al tuo viaggio
86 Fu gloria, e del ritorno
88 Non cresce, anzi si scema, e assai più vasto
89 L'etra sonante e l'alma terra e il mare
91 Nostri sogni leggiadri ove son giti
92 Dell'ignoto ricetto
93 D'ignoti abitatori, o del diurno
94 Degli astri albergo, e del rimoto letto
95 Della giovane Aurora, e del notturno
97 Ecco svaniro a un punto,
98 E figurato è il mondo in breve carta;
99 Ecco tutto è simile, e discoprendo,
101 Il vero appena è giunto,
102 O caro immaginar; da te s'apparta
103 Nostra mente in eterno; allo stupendo
104 Poter tuo primo ne sottraggon gli anni;
[1] O ingegno di valore (nato per bene operare: si rivolge al cardinale)
[2] Dal momento che agli altri non importa niente (altrui non cale) dei nostri grandi progenitori (alti parenti; si riferisce agli autori classici), ne importi a te (a te ne caglia), a te che il fato ispira così benevolmente che, per opera tua, sembrano rivivere quei tempi in cui (si riferisce ai tempi del Rinascimento, quando era rinato l’amore per gli autori classici) i divini antichi (i grandi dell’antichità) risollevavano la testa (ergean la chioma), dalla funesta e secolare dimenticanza (dira obblivione antica) in cui erano caduti; la risollevavano, insieme con (grazie a) gli studi classici dimenticati, quegli antichi ai quali la natura parlò senza svelare tutti i suoi segreti (che avevano il privilegio di comunicare con la natura pur senza conoscerla scientificamente), per cui (onde) poterono allietare (con la loro poesia, derivata dalla suddetta comunicazione con la natura) i momenti di riposo dei loro contemporanei, Greci e Romani, dotati di grande animo (capaci di grandi pensieri e di grandi azioni).
[3] Oh tempi (del Rinascimento) dimenticati per sempre.
[4] Allora era ancora lontana (anco immatura) la rovina d’Italia, ancora disdegnavamo (noi italiani) questa inerzia vergognosa (ozio turpe), e da questa nostra terra (italica) ancora si alzavano nell’aria numerose scintille (esistevano ancora individui e azioni di valore, prima che tutto si riducesse a cenere).
[5] Si riferisce a Dante: eri morto da poco tempo (rispetto al Rinascimento), nemico indomabile della sorte, alla cui ira e alla cui sofferenza fu più di conforto l’inferno (nel quale vagò con la sua fantasia) che la terra (nella quale dovette sempre combattere contro le avversità).
[6] E quale parte (dell’universo) non è migliore di questa in cui viviamo (cioè, della terra)?
[7] Si riferisce a Petrarca: e le dolci corde (della tua lira, idealmente suonata dal poeta lirico) risuonavano ancora, toccate dalla tua mano, o infelice innamorato (cioè, si sentiva ancora, sempre nel Rinascimento, l’eco della tua poesia).
[8] La poesia italica comincia dal dolore (si riferisce sempre a Petrarca). Eppure il male che procura dolore è meno gravoso della noia (del senso di vuoto, di nullità di tutte le cose), nella quale oggi affoghiamo.
[9] Beato te, che vivesti nel pianto (perché per tutta la vita hai provato un sentimento forte, come l’amore, anche se ti ha procurato sempre dolore). Per noi, sin dalla nascita, non c’è che fastidio; su di noi incombe inamovibile, dalla culla alla tomba, il sentimento della nullità.
[10] Si riferisce a Colombo: invece la tua vita, o coraggioso figlio della Liguria, era allora (ai tempi del Rinascimento) con le stelle e con il mare, quando, al di là delle colonne (d’Ercole), al di là di quelle coste (le coste atlantiche dell’Europa occidentale) dalle quali sembrava di sera sentire stridere le onde del mare perché il sole ci si tuffava dentro (questa doveva essere l’impressione, per gli antichi, vedendo il sole tramontare nell’oceano), tu, affidato allo sterminato oceano (agl’infiniti flutti commesso), ritrovasti (nell’altro emisfero, scoprendo l’America) la luce del sole che era tramontato (nel nostro emisfero) e ritrovasti (sempre, nell’altro emisfero) il giorno che nasce allorché nel nostro emisfero è giunto al termine.
[11] E, superato ogni ostacolo della natura, la scoperta di una immensa terra sconosciuta (l’America) fu la ricompensa gloriosa per il tuo viaggio e per i pericoli del ritorno.
[12] Ma il mondo, quando è conosciuto, non cresce (non appare più grande), anzi diminuisce (appare più piccolo); e il cielo (etra) in cui si propaga il suono (sonante) e la terra che dà nutrimento (alma) e il mare appaiono più vasti ad un bambino (che vaga senza limiti con l’immaginazione) che non al sapiente (che conosce scientificamente i limiti del reale).
[13] Dove sono andati (son giti) i nostri bei sogni (cioè, le favole degli antichi, i miti) su sconosciuti luoghi (ignoto ricetto) abitati da gente sconosciuta, o sul luogo dove dimorano di giorno (diurno albergo) le stelle, e sul letto dove riposa di notte la giovinetta Aurora , e sul luogo segreto dove di notte dorme (notturno occulto sonno) il sole (maggior pianeta)? (sono tutti miti che potevano sussistere finché non si conosceva la realtà dell’altro emisfero, e quindi si poteva immaginare che ci abitasse chissà chi, che di giorno vi soggiornassero le stelle, che di notte ci dormisse il sole – visto che scomparivano dal nostro emisfero - o anche Aurora, immaginata come una fanciulla che si alzava ogni mattina per comparire ad oriente)
[14] Tutti questi sogni sono svaniti d’un tratto e tutto il mondo è raffigurato in una piccola carta (geografica). Tutto è uniforme e, scoprendo la realtà, cresce solo il sentimento della nullità di tutte le cose
[15] O cara immaginazione, la scoperta della verità ( la conoscenza scientifica della realtà) ti elimina dalla nostra mente (a noi ti vieta); la nostra mente si separa da te irrimediabilmente; gli anni (tanto il progresso storico, quanto la crescita individuale) ci impediscono per sempre di godere del tuo primordiale e stupefacente potere; e insieme a te perisce la consolazione dei nostri dolori.
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