La defensa nella Costituzioni melfitane
1)
Le Constitutiones
regni Siciliae, o Costituzioni melfitane (così chiamate perché promulgate a
Melfi, da Federico II, nel 1231) sono un insieme di leggi evidentemente intese a far valere il potere centrale del
monarca e, di contro, a limitare i molteplici poteri locali che minano la forza
dello Stato; e questo è vero in particolare per quanto riguarda
l’istituto della defensa, di cui si
tratta ai titoli XVI-XIX del primo libro di dette Costituzioni.
2)
Di che si tratta? L’imperatore, dopo
aver notato che spesso la potenza dell’aggressore è talmente
soverchiante (in tantum supereminere)
che l’aggredito, per quanto abbia buon diritto a difendersi, di fatto è
costretto a subire l’aggressione, conclude: "presentis legis auctoritate cuilibet licentiam impartimur ut adversus
aggressorem suum per invocationem nostri nominis se defendat, eidemque ex parti
imperiali prohibeat ut ipsum offendere de cetero non presumat"; e cioè,
a chiunque (anche Giudeo o Saraceno,
dirà più oltre, “perché non vogliamo che costoro, per il
fatto che sono Giudei o Saraceni, subiscano violenza pur essendo innocenti”:
si noti quindi la volontà di tutelare le categorie deboli) è data
facoltà di difendersi invocando il nome dell’imperatore; quell’invocazione
avrebbe avuto l’effetto di interrompere l’aggressione, giacché, altrimenti,
sarebbe stata considerata un’aggressione contro la persona stessa dell’imperatore.
Si aggiunge poi che, nell’eventualità di violazione della defensa, il caso sarà sottratto alla giurisdizione locale e portato
davanti ai tribunali del re ("de
istis defensis... etiam per privatas personas indictis... magister justitiarius
et justitiarii nostri cognoscant") .
La defensa limita, non rafforza i privilegi nobiliari
3)
Mi pare che questi elementi siano
sufficienti a farci capire che, con l’istituto della defensa, Federico II, lungi
dal voler rafforzare privilegi nobiliari, intende limitarli (e del
resto gli è ben chiaro che proprio su tale limitazione si può fondare
l’autorità superiore dello Stato, secondo le linee di una politica da lui
sempre perseguita); intende difendere il diritto di chi, altrimenti,
dovrebbe subire il sopruso di un potente-prepotente (questo è infatti il comportamento che si vuol punire: la
prepotenza di colui la cui "potentia"
"superminet"); e
per meglio garantirsi dalla possibilità che il potente-prepotente si faccia dar
ragione da giudici locali compiacenti, avoca
a sé il potere di dirimere la controversia.
La testimonianza di Marino di
Caramanico
4)
Che la defensa vada quindi collocata entro questo quadro (antitetico a
quello disegnato da Fo) mi pare indubitabile; e tale doveva sembrare anche ai
contemporanei, se Marino da
Caramanico, un glossatore che opera attorno al 1275, così scrive
commentando il titolo XVI delle Costituzioni melfitane: "Et per hanc constitutionem succurrit
Imperator debilibus, qui sepe a potentibus opprimuntur".
L’errore di Fo su chi paga la defensa
5) Ma c’è dell’altro.
Seguendo la sua interpretazione (secondo cui la defensa sarebbe uno strumento di sopraffazione dei ricchi nei
confronti dei poveri), Fo si serve dell’esempio della violenza sessuale che il
potente avrebbe potuto compiere, sicuro dell’impunità, semplicemente pagando la
defensa (e cioè, una multa): in altre
parole, Fo crede che nei versi in questione l’amante, millantando la propria
ricchezza, si dichiari disposto a pagare la defensa
(ed indica la cifra che si può permettere: duemila augustali) pur di
compiere violenza sulla ragazza. Al contrario, invece, dal testo mi pare inequivocabile che i duemila
augustali costituiscano la cifra che, una volta che l’amante abbia
"imposto" la defensa, i
parenti di lei dovrebbero pagare nel caso in cui lo aggredissero. Non
si spiega, altrimenti, il verso "non
mi toccàra pàdreto per quanto avere ha ’n Bari", e cioè: non mi toccherebbe
tuo padre, anche se avesse tutte le
ricchezze che ci sono in Bari; dunque la
defensa di duemila augustali invocata
dal giovane la pagherebbe il padre di lei se lo aggredisse, non il giovane per commettere
impunemente violenza sessuale, come invece intende Fo.
La cifra di 2000 augustali è
spropositata, ma è millanteria
6)
Ma veniamo
alla cifra di duemila augustali. Nelle Costituzioni melfitane si fa
riferimento a due tipi di defensa:
uno "semplice", che sarebbe il caso normale e comporterebbe per il
trasgressore la perdita di un terzo o di un quarto dei propri beni a seconda
che abbia commesso l’aggressione con le armi o senza le armi; e un altro, che sarebbe il nostro caso, con
indicazione della multa da pagare in caso di violazione (sub quacumque quantitate). Dunque l’amante indica come
multa la somma di duemila augustali. Che si tratti di una
"sbruffonata" non c’è dubbio, perché duemila augustali sono una cifra rilevantissima; ma fa parte
del "gioco": come lei fa la preziosa, vantando un rango sociale che
certamente non ha (si vedano i versi 27: "Donna mi so’ di perperi, d’auro massamotino"; 46: "se distinata fosseti, caderìa de l’altezze"; e in
una strofa successiva, vv. 86-87: "di
quel frutto non abbero conti né cabalieri / molto lo disiarono marchesi e
justizieri") così lui, con
quella cifra spropositata, intende vantare il valore della propria persona,
quasi a dire: chi mi tocca, non pensi di cavarsela con due soldi.
7)
La corrispondenza indicata da Fo
(settantacinquemila lire),
per quanto rapportata al valore della lira alla fine degli anni ’60, è assolutamente inadeguata. Ma
anche questo minimizzare è comprensibile: Fo
intende dimostrare che il potente, che intendesse commettere un sopruso, se la
poteva cavare, tutto sommato, a buon mercato.
8)
Dunque
quella cifra è una sbruffonata, una millanteria. Del resto lo stesso appellarsi
alla defensa, in questo contesto, non
è una cosa seria, ma piuttosto la
minaccia scherzosa di un innamorato che vuole raggiungere il suo obiettivo:
mancano infatti i tre testimoni (o più), degni di fede e di buona reputazione,
che la legge richiede perché la violazione della defensa sia provata e quindi punita (tres testes aut plures ad probandam defensam impositam et contemptam).
E’ prevista la pena capitale per il
reato di stupro
9)
Ma malgrado il tono scherzoso, è
evidente che l’innamorato fa
riferimento alla defensa come ad una
legge che lo tutela – grazie all’imperatore e "grazi’ a Deo" – da eventuali aggressioni (dei parenti di
lei); non come ad una legge di cui servirsi per commettere lui, impunemente,
un atto di violenza sessuale.
10)
Anche perché – e questo mi pare un
argomento decisivo, che toglie fondamento a tutta l’esemplificazione di Fo sul
violentatore che andava in giro con in tasca, o in borsa, i soldi per pagare la
defensa – le stesse Costituzioni melfitane comminavano la pena capitale ai
colpevoli del reato di stupro (nei confronti non solo delle donne
oneste, ma anche delle meretrici: ut
nullus eas compellat invitas sue satisfacere voluptati): altro che defensa con cui cavarsela a buon mercato! C’era da rimetterci la
pelle. Leggo in italiano l’articolo della legge intitolato “Della violenza fatta a meretrici”:
Quelle miserevoli
donne, che per il turpe mercato sono definite prostitute, godano del nostro
beneficio, acciocché nessuno le
costringa controvoglia a soddisfare il proprio piacere. Coloro che agiscono
contro questo editto, rei confessi e
condannati, saranno da punire con la pena capitale (….) Se alcuni accusati
di tali violenze, per le loro
confessioni (che per rimorso di coscienza facciano pubblicamente) o grazie a
testimoni, che abbiano scoperto gli accusati nell’atto stesso di commettere
violenza sessuale (cosa che tuttavia raramente può capitare), saranno stati
giudicati colpevoli, siano sottoposti alla pena capitale (per direttissima),
anche senza consultarci.
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