E pena pecuniaria per testimoni che
non accorressero
1)
Dunque sarebbero bastati dei testimoni
che avessero trovato il reo in atteggiamento inequivocabile (in ipsis venereis actibus invenerint
accusatos) per legittimare una giustizia rapida e sommaria (nobis etiam inconsultis, capitali pene
subiaceant); e i testimoni
dovevano accorrere, perché anche per loro era prevista una pena
(pecuniaria) nel caso che non portassero soccorso a una donna che invocava
aiuto. Sentite il testo della legge:
Vogliamo che chiunque abbia udito gridare una donna, a
cui sia fatta violenza, sia veloce a correre e a soccorrerla. Se non lo
farà, il nostro tribunale gli imporrà una
multa di quattro augustali, come pena per la sua dannosa inerzia. E nessuno
per evitare la pena potrà fingere di non avere udito le grida, nessuno che si
sia trovato sotto lo stesso tetto o in luogo da cui abbia potuto udire la voce,
a meno che non si dimostri che è sordo o, senza inganno, zoppo o altrimenti
deficiente o che dormiva nello stesso momento delle grida.
Non buoni gli argomenti di Fo sul
carattere popolare del testo
2)
Si deve concludere che l’assunto di Fo (l’autore del Contrasto è un giullare, vera e propria voce e coscienza del popolo,
altrimenti costretto al silenzio) è infondato? A me pare ovvio concludere che certamente non sono buoni gli argomenti
usati dall’autore-attore del Mistero
buffo: né da quelle congetture sul nome né dalle considerazioni sulla defensa si può dedurre il carattere
popolare del nostro testo e, soprattutto, non se ne può dedurre l’intenzione
di denunciare i soprusi dei potenti ai danni del popolo.
3)
Ed anche: il fatto che i due
protagonisti del Contrasto siano dei
popolani e che tutta la vicenda abbia un carattere schiettamente popolaresco
(si pensi alla conclusione, così poco "cortese": "A lo
letto ne gimo a la bon’ora"), nulla dice sull’autore e sul
pubblico destinatario del componimento: non
è certo anomalo, nella storia della letteratura, che un autore colto si diverta
a rappresentare, per un pubblico altrettanto colto, personaggi, ambienti e
situazioni popolari (si pensi, per fare un esempio famoso, al poemetto
rinascimentale Nencia da Barberino).
Il testo è linguisticamente ambiguo
4)
La questione, piuttosto, andrà
affrontata con gli strumenti dell’analisi linguistica. E allora bisognerà
riconoscere, onestamente, che quel
testo è linguisticamente ambiguo, non ci sono elementi tali che possano
far decidere definitivamente per una tesi piuttosto che per l’altra. E’ vero
che Dante, nel De
vulgari eloquentia, cita il Contrasto
come esempio di un volgare siciliano
proprio non degli scrittori colti ma degli abitanti di media condizione
(secundum quod prodit a terrigenis
mediocribus)[1]; ma cita non a caso il terzo verso della prima
strofa ("tragemi d’este focora,
se t’este a boluntate"), perché evidentemente si rendeva conto
che i primi due ("Rosa fresca aulentissima, c’apari inver la
state, / le donne ti disiano, pulzell’ e maritate") erano esempio
di una lingua colta, non certo dialettale.
Un lessico colto si alterna con un
lessico popolare
5)
Questa sorta di dualismo linguistico è rintracciabile nell’intero
componimento: parole ed espressioni che appartengono alla lirica colta (si
pensi solo alla sovrabbondanza di
francesismi e provenzalismi) si mescolano con parole ed espressioni
chiaramente popolari, sia per crudezza
realistica sia per i tratti marcatamente dialettali.
Dualismo anche di espressioni
cortesi e anti-cortesi
6)
A me piace far notare come l’amante
alterni formule, non solo
linguisticamente ma anche concettualmente, cortesi, in quanto rimandano alla
dottrina del vassallaggio d’amore, che vuole l’esaltazione della dama e la
sottomissione del cavaliere (5 "madonna
mia", 65 "sovrana di meve
te prese"), ad altre che
contraddicono seccamente i principi di quella dottrina, in quanto rovesciano la
posizione dell’uomo rispetto alla donna (32-33 "l’omo... l’ha in sua podesta", 55 "besogn’è ch’io ti tenga al meo dimino").
L’autore può essere un giullare
7)
Ma dunque che cosa possiamo concludere a
proposito dell’autore e del significato del componimento? Gli elementi colti presenti nel testo non impediscono di pensare che
l’autore sia un giullare: un "mestierante" di poesia, quale
era il giullare, per quanto incolto,
poteva benissimo avere orecchiato i modi della lirica aulica. Certamente
però non ci sono nel testo elementi
che inducano a vedervi una denuncia delle malefatte del potere, dei soprusi dei
potenti ai danni del popolo; piuttosto si tratterebbe di una parodia dei modi della lirica “alta”, una
lirica che, fiorente proprio al tempo – e proprio alla corte – di Federico II,
aveva importato in Sicilia temi e modi della poesia trobadorica, con la sua
idealizzazione dell’amore inteso come un sentimento nobile e nobilitante;
farne la parodia vuol dire mostrare come dietro quella idealizzazione, dietro
le raffinate espressioni del cosiddetto “amor cortese”, si nasconda un obiettivo assolutamente materiale:
“a
lo letto ne gimo alla bon’ora!”. Una parodia per il divertimento
del pubblico della piazza.
L’autore è colto
8)
Tuttavia, secondo la maggioranza degli
studiosi, proprio il dualismo di cui si è detto dimostrerebbe la letterarietà del componimento,
e quindi anche il carattere colto dell’autore: costui conosce gli stilemi "cortesi", conosce lessico ed espressioni delle lingue
francese e provenzale, ovvero lessico ed espressioni proprie di una
letteratura “alta”, è abile
nell’uso di registri linguistici diversi, padroneggia sapientemente la materia poetica e la tecnica
compositiva, a cominciare dalla metrica.
9)
Infatti la struttura metrica della
strofa non è proprio semplice, Sono strofe di cinque versi, costruite su due rime, una rima per i
primi tre e una per i secondi due: i primi tre versi sono alessandrini (ovvero di 14 sillabe, divisi in due settenari, il
primo dei quali termina sempre con
una parola sdrucciola, cioè con
l’accento sulla terzultima sillaba), i secondi due sono endecasillabi. E’
usata inoltre la tecnica, di origine provenzale, delle cosiddette coblas
capfinidas, ovvero ogni strofa comincia riprendendo le parole o il
concetto con cui finisce la strofa precedente.
10)
Tutti questi elementi inducono a pensare
che l’autore appartenga ad ambienti
culturalmente e socialmente elevati e che solo parodisticamente,
per far divertire un pubblico colto, si compiacccia di usare volgarità di
lingua e di pensiero. In altre parole, non
è un giullare che fa la parodia della lirica “alta”, ma un autore colto che fa
la parodia dei modi popolani. A me pare che questa opinione sia
convincente.
[1] Notare che anche qui Dario Fo
fraintende, in quanto ritiene che qui Dante “più o meno esplicitamente” dica
che “certamente l’autore è un erudito, un colto”.
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