martedì 5 novembre 2024

CIELO D'ALCAMO e DARIO FO (III parte)

 

Ciò non toglie che l’autore possa essere un giullare

1)    L’idea di Fo che Ciullo sia invece un soprannome osceno affibbiato, come si usava, a un giullare, mi parrebbe acuta e convincente, se si trattasse, appunto, di stabilire etimologia e significato di quel nome; ma quel nome non esiste, almeno per quanto riguarda l’autore del Contrasto Rosa fresca aulentissima; nasce come un fraintendimento, abbiamo visto, e per quanto ci possa parere suggestiva l’ipotesi di una censura per oscenità perpetrata nei confronti di quel nome, essa è fondata sul niente. Questo, naturalmente, non vuol dire negare che l’autore del Contrasto fosse un giullare (anzi, se – per restare alla questione del nome - invece della forma "d’Alcamo", che indicherebbe la città siciliana d’origine, si accetta la lettura "dal Camo", l’ipotesi torna a riproporsi: potrebbe essere un soprannome attribuito, appunto ad un giullare, con riferimento a un certo modo di vestire, essendo il camo un panno di bassa qualità); si nega soltanto che lo si possa sostenere con quell’argomentazione.

La questione del verso 2

2)    Vediamo la questione del verso 2, laddove si dice “le donne ti disiano, pulzell' e maritate”. Ed ecco commento di Fo:

Ora, «rosa fresca aulentissima ch'apari inver' la state le donne ti disiano, pulzell' e maritate». Come lo risolviamo? Notate che è ancora un modo di dire, in Sicilia. A Sciacca, per fare un complimento ad una ragazza si dice: «Bedda tu si, fighiuzza, che anco altri fighiuzze a tia vurria 'mbrazzari», anche le altre ragazze vorrebbero abbracciare te, tanto sei bella. Lo dicono senza nessuna malignità, ma nella nostra scuola non si può! E allora che cosa s'inventa? Subito una virata di sessanta gradi, per poter aggiustare la faccenda. Il professore insegna (e guardate che queste sono didascalie che trovate in ogni testo) : «non bisogna prendere la forma cosi, tout court, bisogna cercare d'individuarla. Cioè: sei talmente bella che anche le altre donne, pulzelle e maritate, vorrebbero a te assomigliare. Non vorrebbero te, ma vorrebbero apparire quale tu sei, bella, elevata in mezzo a tutte le altre donne». Così, subito, il ragazzo o la ragazza imparano l'ipocrisia e in casa dicono: «Mamma, desidererei una mela... no, non desidererei nel senso di volerla mangiare, ma vorrei apparire come la mela, rotonda e rossa da mordere».

L’interpretazione di D’Ovidio e quella di Cesareo

3)    Mi pare che qui Dario Fo non abbia tutti i torti, anche se, nell’intento di ridicolizzare un’interpretazione ipocrita, sorvola su un’altra e più diffusa interpretazione. Si tratta dell’interpretazione proposta da D’Ovidio, che sostiene l’esistenza di una oscillazione fra significato metaforico della rosa (la rosa è la ragazza) e il suo significato letterale (la rosa è il fiore); per cui, se è vero che l’amante si rivolge alla ragazza chiamandola “rosa”, nel secondo verso pensa al fiore, di cui è naturale dire che è desiderato da tutte le donne; poi al terzo verso ne riprende il significato metaforico, riferendosi alla donna (tragemi d’este focora...). Tutto ciò perché sembra inaccettabile, come sostiene Fo, l’idea che si possa dire che è la donna oggetto del desiderio di altre donne. Dunque è stata “rimossa”, esclusa in tutti i modi, una interpretazione che invece il verso, preso alla lettera, suggerisce immediatamente. In tutti i modi, se si pensa che è circolata a lungo anche l’interpretazione (proposta da Cesareo) che voleva che quel femminile (le donne pulzelle e maritate) fosse il residuo di un dialettismo (napoletano) che indicava originariamente il maschile (li donni).

L’interpretazione rimossa: Contini e Orbicciani

4)    Il primo a dare voce all’interpretazione rimossa è stato Contini, il quale così annotava: le donne: naturalmente femminile; chi ha proposto altra interpretazione non ha tenuto conto dell’eco scritturale che qui ricorre (Cantico dei Cantici, I, 2: adulescentulae dilexerunt te, e cioè, detto della sposa, “sei piaciuta alle fanciulle, ti hanno amato le fanciulle”). Così Contini recuperava il significato coerentemente metaforico dell’espressione (oggetto del desiderio è la ragazza, non la rosa).

5)    Però si tratta di capire se l’espressione, che intende esaltare la bellezza della ragazza, per quanto sorprendente e inaspettata, possa appartenere al contesto culturale in cui opera Cielo. A questo fine, più che il riferimento biblico, sarà utile mostrare i vv. 25-27 di una ballata di Bonagiunta Orbicciani,  un rimatore toscano attivo alla metà del Duecento (Donna, vostre bellezze): Maritate e pulzelle / di voi so’ innamorate, / pur guardandovi ‘n mente (soltanto pensando a voi). Dunque l’interpretazione rimossa ha una sua legittimità, le osservazioni critiche di Fo hanno, in questo caso, un loro fondamento.

La questione della defensa

6)    Veniamo ora alla più complessa questione della defensa; rileggiamo la strofa che ne è all’origine e, a seguire, il monologo di Fo che la spiega e commenta:

«Se i tuoi parenti trova[n]mi, e che mi pozzon fare?

 Una difensa mèt[t]oci di dumili’ agostari:

non mi toc[c]ara pàdreto per quanto avere ha ’n Bari.

Viva lo 'mperadore, graz[i'] a Deo!

Intendi, bella, quel che ti dico eo?»

 

E il ragazzo risponde sbruffone (non dobbiamo dimenticare che sta recitando il personaggio del ricco aristocratico): «Se i tuoi parenti trovanmi che ti ho appena violentata o che ti sto facendo violenza, e che mi posson fare? Una defensa méttoci di dumili' agostari (duemila augustari)». Cosa vuol dire? L'augustario era la moneta di Augusto, inteso Federico II. Infatti siamo nel 1231-32, proprio al tempo in cui in Sicilia governava Federico II di Svevia. Duemila augustari equivalevano, più o meno, a settantacinquemila lire odierne. E che cosa è questa defensa? Fa parte di un gruppo di leggi promulgate a vantaggio dei nobili, dei ricchi, dette «leggi melfitane», volute proprio da Federico II, per permettere un privilegio meraviglioso a difesa della persona degli altolocati. Così, un ricco poteva violentare tranquillamente una ragazza; bastava che nel momento in cui il marito o i parenti scoprivano la cosa, il violentatore estraesse duemila augustari, li stendesse vicino al corpo della ragazza violentata, alzasse le braccia e declamasse: «Viva lo 'mperadore, grazi' a Deo!» Questo era sufficiente a salvarlo. Era come avesse detto: «Arimorta! Attenti a voi! Chi mi tocca verrà subito impiccato». Infatti chi toccava l'altolocato che aveva pagato la defensa veniva immediatamente impiccato, sul posto, o un po' più in là. Ecco che la potete immaginare da voi tutta la scena. Grande vantaggio per il violentatore medievale era dato dal fatto che, allora, le tasche non facevano parte dei pantaloni. Erano staccate; erano delle borse che si appendevano alla cintola, il che poteva permettere una condizione vantaggiosissima dell'amatore: nudo, ma però con la borsa. Perché, nel caso: «Ah! mio marito!» trac... defensa... op... «Arimorta! Ecco i quattrini! » Naturalmente bisognava avere i soldi contati, è logico, non si può: « Scusi, aspetti un attimo... gli spiccioli!... Ha da cambiarmi per favore?» Subito, subito, lì, veloci! Le madri che s'interessavano della salute dei propri figlioli, una madre nobile naturalmente, e ricca, diceva sempre: «Esci? Hai preso la defensa? » «No no, vado con gli amici...» «Non si sa mai, magari incontri...» Ah, perché la defensa valeva anche per la violenza a base di coltello. Uno dava una coltellata a un contadino... zac... defensa! Che naturalmente era minore, centocinquanta massimo. Se poi ammazzava l'asino insieme al contadino, allora si faceva cifra tonda. Ad ogni modo questo vi fa capire quale fosse la chiave della «legge» del padrone: la brutalità di una tassa che permetteva di uscire indenni da ogni violenza compiuta da quelli che detenevano il potere. Ecco perché non ce lo spiegano mai questo «pezzo» a scuola. Mi ricordo che sul mio libro di testo al liceo tutta questa strofa non esisteva, era stata censurata. Su altri testi c'era, ma non veniva mai spiegata. Perché? È logico! Per una ragione molto semplice; attraverso questo pezzo si scopre chi ha scritto il testo. Non poteva essere altro che il popolo. Il giullare che si presentava sulla piazza scopriva al popolo quale fosse la sua condizione, condizione di «cornuto e mazziato», come dicono ancora a Napoli: cioè bastonato, oltre che cornuto. Perché questa legge gli imponeva proprio lo sberleffo, oltre che il capestro.

Dunque per Fo non c’è dubbio che si tratti di una legge promulgata “a vantaggio dei nobili, dei ricchi” per cui “un ricco poteva violentare tranquillamente una ragazza; bastava che nel momento in cui il marito o i parenti scoprivano la cosa, il violentatore estraesse duemila augustari, li stendesse vicino al corpo della ragazza violentata, alzasse le braccia e declamasse: Viva lo 'mperadore, grazi' a Deo! Questo era sufficiente a salvarlo.

E’ una interpretazione infondata, ideologicamente prevenuta

7)    C’è qui un errore di impostazione, frutto di una conoscenza storica approssimativa e, direi anche, di una interpretazione ideologicamente prevenuta, che non può essere sostenuta sulla base dei riscontri documentali.

8)    Dario Fo è un uomo di spettacolo, certamente non è un filologo né uno storico, ma quando parli di un testo della letteratura italiana, di leggi promulgate in un certo momento storico, bisognerà che ti informi un po’ di più se hai a cuore la verità e non una tesi che soddisfa a priori le tue convinzioni, a prescindere da ogni verifica sui documenti. Quindi sarà il caso di leggere direttamente dalle Costituzioni melfitane gli articoli che istituiscono la cosiddetta defensa, e sarà naturale concludere che ciò che si intende nella strofa in questione è esattamente il contrario di quanto sostenuto da Fo.

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