Ciò non toglie che l’autore possa
essere un giullare
1)
L’idea di Fo che Ciullo sia invece un
soprannome osceno affibbiato, come si usava, a un giullare, mi parrebbe acuta e
convincente, se si trattasse, appunto, di stabilire etimologia e significato di
quel nome; ma quel nome non esiste,
almeno per quanto riguarda l’autore del Contrasto Rosa fresca aulentissima; nasce come un fraintendimento,
abbiamo visto, e per quanto ci possa parere suggestiva l’ipotesi di una
censura per oscenità perpetrata nei confronti di quel nome, essa è fondata sul
niente. Questo, naturalmente, non
vuol dire negare che l’autore del Contrasto
fosse un giullare (anzi, se – per restare alla questione del nome - invece
della forma "d’Alcamo", che indicherebbe la città siciliana
d’origine, si accetta la lettura "dal
Camo", l’ipotesi torna a riproporsi: potrebbe essere un soprannome
attribuito, appunto ad un giullare, con riferimento a un certo modo di vestire,
essendo il camo un panno di bassa qualità); si nega soltanto che lo
si possa sostenere con quell’argomentazione.
La questione del verso 2
2)
Vediamo la questione del verso 2,
laddove
si dice “le donne ti disiano, pulzell' e maritate”. Ed ecco commento di
Fo:
Ora,
«rosa fresca aulentissima ch'apari inver' la state le donne ti disiano,
pulzell' e maritate». Come lo risolviamo? Notate che è ancora un modo di dire,
in Sicilia. A Sciacca, per fare un complimento ad una ragazza si dice: «Bedda
tu si, fighiuzza, che anco altri fighiuzze a tia vurria 'mbrazzari», anche le
altre ragazze vorrebbero abbracciare te, tanto sei bella. Lo dicono senza
nessuna malignità, ma nella nostra scuola non si può! E allora che cosa
s'inventa? Subito una virata di sessanta gradi, per poter aggiustare la
faccenda. Il professore insegna (e guardate che queste sono didascalie che
trovate in ogni testo) : «non bisogna prendere la forma cosi, tout court,
bisogna cercare d'individuarla. Cioè: sei
talmente bella che anche le altre donne, pulzelle e maritate, vorrebbero a te
assomigliare. Non vorrebbero te, ma vorrebbero apparire quale tu sei,
bella, elevata in mezzo a tutte le altre donne». Così, subito, il ragazzo o la
ragazza imparano l'ipocrisia e in casa dicono: «Mamma, desidererei una mela...
no, non desidererei nel senso di volerla mangiare, ma vorrei apparire come la
mela, rotonda e rossa da mordere».
L’interpretazione di D’Ovidio e
quella di Cesareo
3) Mi pare che qui Dario Fo non abbia tutti i torti, anche se, nell’intento di ridicolizzare
un’interpretazione ipocrita, sorvola su
un’altra e più diffusa interpretazione. Si tratta dell’interpretazione
proposta da D’Ovidio, che sostiene
l’esistenza di una oscillazione fra
significato metaforico della rosa (la rosa è la ragazza) e il suo significato
letterale (la rosa è il fiore); per cui, se è vero che l’amante si
rivolge alla ragazza chiamandola “rosa”, nel secondo verso pensa al fiore, di
cui è naturale dire che è desiderato da tutte le donne; poi al terzo verso ne
riprende il significato metaforico, riferendosi alla donna (tragemi d’este focora...). Tutto ciò perché sembra inaccettabile,
come sostiene Fo, l’idea che si possa dire che è la donna oggetto del desiderio
di altre donne. Dunque è
stata “rimossa”, esclusa in tutti i modi, una interpretazione che invece il verso, preso alla lettera,
suggerisce immediatamente. In tutti i modi, se si pensa che è circolata
a lungo anche l’interpretazione (proposta da Cesareo) che voleva che quel femminile (le donne pulzelle e maritate) fosse il residuo di un dialettismo (napoletano) che indicava originariamente
il maschile (li donni).
L’interpretazione rimossa: Contini
e Orbicciani
4) Il primo a dare
voce all’interpretazione rimossa è stato Contini, il quale così
annotava: le donne: naturalmente
femminile; chi ha proposto altra interpretazione non ha tenuto conto dell’eco scritturale che qui ricorre
(Cantico dei Cantici, I, 2: adulescentulae
dilexerunt te, e cioè, detto
della sposa, “sei piaciuta alle fanciulle, ti hanno amato le fanciulle”). Così
Contini recuperava il significato coerentemente metaforico dell’espressione (oggetto del desiderio è la ragazza, non
la rosa).
5) Però si tratta di capire se l’espressione, che
intende esaltare la bellezza della ragazza, per quanto sorprendente e inaspettata,
possa appartenere al contesto culturale
in cui opera Cielo. A questo fine, più che il riferimento biblico, sarà
utile mostrare i vv. 25-27 di una ballata di Bonagiunta Orbicciani, un
rimatore toscano attivo alla metà del Duecento (Donna, vostre bellezze): Maritate e pulzelle / di voi so’
innamorate, / pur guardandovi ‘n mente (soltanto pensando a voi).
Dunque l’interpretazione rimossa ha una sua legittimità, le osservazioni critiche di Fo hanno, in
questo caso, un loro fondamento.
La questione della defensa
6)
Veniamo ora alla più complessa questione
della defensa; rileggiamo la strofa
che ne è all’origine e, a seguire, il monologo di Fo che la spiega e commenta:
«Se i tuoi parenti trova[n]mi, e che mi
pozzon fare?
Una difensa mèt[t]oci di dumili’ agostari:
non mi toc[c]ara
pàdreto per quanto avere ha ’n Bari.
Viva lo
'mperadore, graz[i'] a Deo!
Intendi, bella,
quel che ti dico eo?»
E
il ragazzo risponde sbruffone (non dobbiamo dimenticare che sta recitando il
personaggio del ricco aristocratico): «Se i tuoi parenti trovanmi che ti ho
appena violentata o che ti sto facendo violenza, e che mi posson fare? Una defensa méttoci di dumili' agostari
(duemila augustari)». Cosa vuol dire? L'augustario era la moneta di Augusto,
inteso Federico II. Infatti siamo nel 1231-32, proprio al tempo in cui in
Sicilia governava Federico II di Svevia.
Duemila augustari equivalevano, più o
meno, a settantacinquemila lire odierne. E che cosa è questa defensa? Fa parte di un gruppo di leggi promulgate a vantaggio dei nobili, dei
ricchi, dette «leggi melfitane», volute proprio da Federico II, per
permettere un privilegio meraviglioso a
difesa della persona degli altolocati. Così, un ricco poteva violentare
tranquillamente una ragazza; bastava che nel momento in cui il marito o i parenti
scoprivano la cosa, il violentatore
estraesse duemila augustari, li stendesse vicino al corpo della ragazza
violentata, alzasse le braccia e declamasse: «Viva lo 'mperadore, grazi' a
Deo!» Questo era sufficiente a salvarlo. Era come avesse detto: «Arimorta!
Attenti a voi! Chi mi tocca verrà subito impiccato». Infatti chi toccava
l'altolocato che aveva pagato la defensa
veniva immediatamente impiccato, sul posto, o un po' più in là. Ecco che la
potete immaginare da voi tutta la scena. Grande vantaggio per il violentatore
medievale era dato dal fatto che, allora, le tasche non facevano parte dei
pantaloni. Erano staccate; erano delle borse che si appendevano alla cintola,
il che poteva permettere una condizione vantaggiosissima dell'amatore: nudo, ma
però con la borsa. Perché, nel caso: «Ah! mio marito!» trac... defensa... op... «Arimorta! Ecco i
quattrini! » Naturalmente bisognava avere i soldi contati, è logico, non si
può: « Scusi, aspetti un attimo... gli spiccioli!... Ha da cambiarmi per
favore?» Subito, subito, lì, veloci! Le madri che s'interessavano della salute
dei propri figlioli, una madre nobile naturalmente, e ricca, diceva sempre:
«Esci? Hai preso la defensa? » «No
no, vado con gli amici...» «Non si sa mai, magari incontri...» Ah, perché la defensa valeva anche per la violenza a
base di coltello. Uno dava una coltellata a un contadino... zac... defensa! Che naturalmente era minore,
centocinquanta massimo. Se poi ammazzava l'asino insieme al contadino, allora
si faceva cifra tonda. Ad ogni modo questo vi fa capire quale fosse la chiave
della «legge» del padrone: la brutalità
di una tassa che permetteva di uscire indenni da ogni violenza compiuta da
quelli che detenevano il potere. Ecco perché non ce lo spiegano mai questo
«pezzo» a scuola. Mi ricordo che sul mio libro di testo al liceo tutta questa
strofa non esisteva, era stata censurata. Su altri testi c'era, ma non veniva
mai spiegata. Perché? È logico! Per una ragione molto semplice; attraverso questo pezzo si scopre chi ha
scritto il testo. Non poteva essere altro che il popolo. Il giullare che si
presentava sulla piazza scopriva al popolo quale fosse la sua condizione,
condizione di «cornuto e mazziato», come dicono ancora a Napoli: cioè
bastonato, oltre che cornuto. Perché questa legge gli imponeva proprio lo
sberleffo, oltre che il capestro.
Dunque
per Fo non c’è dubbio che si tratti di una legge promulgata “a vantaggio dei nobili, dei ricchi” per
cui “un ricco poteva violentare
tranquillamente una ragazza; bastava che nel momento in cui il marito o i
parenti scoprivano la cosa, il violentatore estraesse duemila augustari, li
stendesse vicino al corpo della ragazza violentata, alzasse le braccia e
declamasse: Viva lo 'mperadore, grazi' a Deo! Questo era sufficiente a
salvarlo.”
E’ una interpretazione infondata,
ideologicamente prevenuta
7)
C’è qui un errore di impostazione,
frutto di una conoscenza storica approssimativa e, direi anche, di una interpretazione ideologicamente
prevenuta, che non può essere sostenuta sulla base dei riscontri documentali.
8)
Dario Fo è un uomo di spettacolo, certamente non
è un filologo né uno storico, ma quando parli di un
testo della letteratura italiana, di leggi promulgate in un certo momento
storico, bisognerà che ti informi un po’ di più se hai a cuore la verità e non una tesi che soddisfa a priori le
tue convinzioni, a prescindere da ogni verifica sui documenti. Quindi
sarà il caso di leggere direttamente
dalle Costituzioni melfitane gli
articoli che istituiscono la cosiddetta defensa,
e sarà naturale concludere che ciò che
si intende nella strofa in questione è esattamente il contrario di quanto
sostenuto da Fo.
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