L’umorismo
1) Ho intitolato in
questo modo (Pirandello umorista)
questo mio intervento perché Pirandello stesso in un famoso saggio (L’umorismo, 1908) ha espresso l’idea che
l’umorismo sia il carattere qualificante
di ogni grande opera letteraria – in ogni tempo, ma particolarmente nei
tempi moderni, cioè da quando l’uomo, con la perdita della centralità della
terra nell’universo, ha cominciato a dubitare di tutte le proprie certezze.
C’è un passo in quel saggio in cui Pirandello si serve di un esempio celebre
per indicare la differenza fra “comico”
e “umoristico”, giacchè il
primo nasce da quello che lui chiama “avvertimento
del contrario” e il secondo dal “sentimento
del contrario”
Vedo una vecchia
signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e
poi tutta goffamente imbellettata, e parata d'abiti giovanili. Mi metto a
ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una
vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e
superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma
se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia
signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma
che forse ne soffre e lo fa soltanto perchè pietosamente s'inganna che, parata
così, nascondendo così le rughe e le canizie, riesca a trattenere a sè l'amore
del marito molto più giovine di lei, ecco che io non posso più riderne come prima,
perchè appunto la riflessione,
lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o
piuttosto, più addentro: da quel primo
avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del
contrario. Ed è tutta qui la differenza, tra il comico e l'umoristico.
2) Esemplari personaggi umoristici – dice sempre Pirandello – sono Don Chisciotte e don Abbondio:
entrambi, seppure in modi diversi, appaiono comici in un primo momento, quando
avvertiamo nel loro comportamento il contrario di quel che dovrebbe essere; Don Chisciotte non si comporta come un uomo
consapevole della realtà in cui è immerso e don Abbondio non si comporta come
dovrebbe comportarsi un prete (e cioè come si comportano fra Cristoforo o il
cardinale Borromeo); ma poi subentra la riflessione,
che può essere implicita (come nel caso dell’opera di Cervantes) o esplicitata dallo stesso narratore
(come fa Manzoni nei Promessi sposi)
e allora il riso si spegne e il
sentimento che proviamo è quello di commiserazione: per Don Chisciotte,
che si scontra dolorosamente con la realtà, ma è animato da ideali nobilissimi;
per don Abbondio, che viene meno al suo dovere di prete, ma – ce l’ha detto lo
stesso Manzoni – è vittima di umanissime paure, sa di essere una vaso di coccio
in mezzo a vasi di ferro. Pertanto l’umorista non ride, ma ride e compatisce
contemporaneamente.
3) La riflessione è dunque un
elemento fondamentale dell’opera d’arte; funge da specchio del
sentimento, ma è uno specchio – dice Pirandello – “d’acqua diaccia, in cui
la fiamma del sentimento non si rimira soltanto, ma si tuffa e si smorza; il
frigger dell’acqua è il riso che suscita l’umorista”. E ancora, grazie alla
riflessione, l’arte umoristica appare come “un’erma bifronte che ride per una faccia del pianto della faccia
opposta”. Piccola parentesi: Benedetto
Croce, che per buona parte del Novecento è stato l’indiscusso maestro
della critica letteraria in Italia, non amava Pirandello proprio per questa
sovrabbondanza di riflessione che caratterizzava la sua opera; lo accusava
di cerebralismo, di eccesso di ragionamento, oltre che di superficialità
filosofica.
Forma e vita
4) Ma c’è un ulteriore passaggio nella riflessione teorica di
Pirandello, un passaggio che consiste nel riconoscimento di una opposizione irriducibile fra la “forma”
e la “vita”. La vita è un continuo fluire, un fiume magmatico che
scorre, ma noi non riusciamo ad aderire a questo flusso, a immergerci in questo
fiume, siamo costretti entro forme
rigide, che sono le convenzioni sociali, le maschere che indossiamo e
che nascondono il nostro vero volto, un volto sconosciuto anche a
noi stessi. Ma allora qual è la mia vera identità, qual è il mio vero volto al
di là delle diverse maschere che mi identificano, al di là delle diverse forme
che hanno irrigidito la mia vita? Ecco quindi che il personaggio
pirandelliano sente come falsa la vita che sta vivendo e vuole una vita
autentica, vuole immergersi nel fiume della vita e scorrere con esso,
indifferente agli obblighi e alle convenzioni sociali che glielo impediscono.
Così si esprime Pirandello:
La
vita è un flusso continuo che noi cerchiamo d’arrestare, di fissare in forme
stabili e determinate, dentro e fuori di noi (…) Le forme, in cui cerchiamo
d’arrestare, di fissare in noi questo flusso continuo, sono i concetti, sono
gli ideali a cui vorremmo serbarci coerenti, tutte le finzioni che ci creiamo,
le condizioni, lo stato in cui tendiamo a stabilirci. Ma dentro di noi stessi, in ciò che noi chiamiamo anima, e che è la vita
in noi, il flusso continua, indistinto, sotto gli argini, oltre i limiti che
noi imponiamo, componendoci una coscienza, costruendoci una personalità. In certi momenti tempestosi, investite dal
flusso, tutte quelle nostre forme fittizie crollano miseramente; e anche
quello che non scorre sotto gli argini e oltre i limiti, ma che si scopre a noi
distinto e che noi abbiamo con cura incanalato nei nostri affetti, nei doveri
che ci siamo imposti, nelle abitudini che ci siamo tracciate, in certi momenti
di piena straripa e sconvolge tutto. Vi sono anime irrequiete, quasi in uno
stato di fusione continua, che sdegnano di rapprendersi, d’irrigidirsi in
questa o in quella forma di personalità. Ma
anche per quelle più quiete, che si sono adagiate in una o in un’altra forma,
la fusione è sempre possibile: il flusso della vita è in tutti.
5) Anche le anime “più quiete” – dice – possono assumere, per un momento, grazie a un caso qualunque, a un evento
fortuito, la consapevolezza della falsità della loro vita e concepire il
desiderio di sbarazzarsi di tutte le forme e di tutte le maschere e di fondersi
con il flusso della vita. Non c’è una causa specifica che produce questo
effetto, ma è una pura casualità
che sconvolge la routine della vita quotidiana, le abitudini, l’identità
sociale del personaggio, le sue relazioni affettive.
6) Allora il personaggio, nel suo tentativo di
aderire al flusso della vita, di vivere una vita autentica, appare comico
perché il suo comportamento contraddice (è il contrario di) quello che ci
aspetteremmo da lui, per la forma, la maschera in cui ci è apparso fino ad
allora. E’ l’avvertimento del contrario che ci fa ridere, ma se all’avvertimento aggiungiamo la
riflessione, allora non si ride più: si ride e si piange allo stesso tempo.
Ho in mente un paio di novelle, esemplari in questo senso: Il treno ha fischiato e La
carriola.
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