Il treno ha fischiato
7) Il treno ha fischiato (pubblicata
nel 1914) ha per protagonista un modesto
impiegato, un computista, cioè un
ragioniere, certo Belluca, sempre
puntuale, ligio al suo dovere, obbediente alle richieste del capufficio.
Senonchè un giorno, inaspettatamente il suo comportamento cambia, si ribella in
modo tanto sorprendente che prima suscita l’ilarità dei colleghi, quindi viene
legato e trasportato di forza al manicomio:
Veramente,
il fatto che Belluca, la sera avanti, s'era fieramente ribellato al suo
capo-ufficio, e che poi, all'aspra riprensione di questo, per poco non gli
s'era scagliato addosso, dava un serio argomento alla supposizione che si
trattasse d'una vera e propria alienazione mentale.
Perché
uomo piú mansueto e sottomesso, piú
metodico e paziente di Belluca non si sarebbe potuto immaginare.
(…)
Inconcepibile,
dunque, veramente, quella ribellione in lui, se non come effetto d'una
improvvisa alienazione mentale.
Tanto
piú che, la sera avanti, proprio gli toccava la riprensione; proprio aveva il
diritto di fargliela, il capoufficio. Già s'era presentato, la mattina, con un'aria insolita, nuova; e – cosa
veramente enorme, paragonabile, che so? al crollo d'una montagna – era venuto con piú di mezz'ora di ritardo.
Pareva
che il viso, tutt'a un tratto, gli si fosse allargato. Pareva che i paraocchi
gli fossero tutt'a un tratto caduti, e gli si fosse scoperto, spalancato
d'improvviso all'intorno lo spettacolo della vita. Pareva che gli orecchi
tutt'a un tratto gli si fossero sturati e percepissero per la prima volta voci,
suoni non avvertiti mai.
Cosí
ilare, d'una ilarità vaga e piena di stordimento, s'era presentato all'ufficio.
E, tutto il giorno, non aveva combinato
niente.
La
sera, il capo-ufficio, entrando nella stanza di lui, esaminati i registri, le
carte:
—
E come mai? Che hai combinato tutt'oggi?
Belluca
lo aveva guardato sorridente, quasi con un'aria d'impudenza, aprendo le mani.
—
Che significa? — aveva allora esclamato il capoufficio, accostandoglisi e
prendendolo per una spalla e scrollandolo. — Ohé, Belluca!
—
Niente, — aveva risposto Belluca, sempre con quel sorriso tra d'impudenza e
d'imbecillità su le labbra. — Il treno, signor Cavaliere.
—
Il treno? Che treno?
—
Ha fischiato.
—
Ma che diavolo dici?
—
Stanotte, signor Cavaliere. Ha fischiato. L'ho sentito fischiare…
—
Il treno?
—
Sissignore. E se sapesse dove sono arrivato! In Siberia… oppure oppure… nelle
foreste del Congo… Si fa in un attimo, signor Cavaliere!
Gli
altri impiegati, alle grida del capo-ufficio imbestialito, erano entrati nella
stanza e, sentendo parlare cosí Belluca, giú
risate da pazzi.
Allora
il capo-ufficio – che quella sera doveva essere di malumore – urtato da quelle
risate, era montato su tutte le furie e aveva malmenato la mansueta vittima di
tanti suoi scherzi crudeli.
Se
non che, questa volta, la vittima, con stupore e quasi con terrore di tutti,
s'era ribellata, aveva inveito, gridando sempre quella stramberia del treno che
aveva fischiato, e che, perdio, ora non piú, ora ch'egli aveva sentito
fischiare il treno, non poteva piú, non voleva piú esser trattato a quel modo. Lo avevano a viva forza preso, imbracato e
trascinato all'ospizio dei matti.
8) Colui che sta
narrando l’episodio è il vicino di casa
di Belluca ed è lui che ci propone
quella riflessione che consente il passaggio dal comico all’umoristico. E’
lui che quando i colleghi che vanno a trovare Belluca in ospedale gli dicono
che continua a straparlare e che dunque è proprio impazzito, risponde:
—
Belluca, signori, non è impazzito.
State sicuri che non è impazzito. Qualche cosa dev'essergli accaduta; ma
naturalissima. Nessuno se la può spiegare, perché nessuno sa bene come
quest'uomo ha vissuto finora. Io che lo so, son sicuro che mi spiegherò tutto
naturalissimamente, appena l'avrò veduto e avrò parlato con lui.
Cammin
facendo verso l'ospizio ove il poverino era stato ricoverato, seguitai a
riflettere per conto mio:
«A un uomo che viva come Belluca finora ha
vissuto, cioè una vita "impossibile", la cosa piú ovvia, l'incidente
piú comune, un qualunque lievissimo inciampo impreveduto, che so io, d'un
ciottolo per via, possono produrre effetti straordinarii, di cui nessuno si può
dar la spiegazione, se non pensa appunto che la vita di quell'uomo è
"impossibile"(...)»
9) Il narratore conosce
la vita “impossibile” di Belluca e
ce la spiega: viveva con tre cieche,
la moglie, la suocera e la sorella della suocera; in più, aveva accolto in casa
le due figlie vedove, una con quattro e l’altra con tre figli; dodici in tutto,
che dormivano in tre letti matrimoniali; manteneva tutti col suo lavoro, a cui
aggiungeva degli straordinari in casa la sera; lavorava fino a tarda notte in
mezzo alla confusione dei bambini e delle tre cieche che strillavano per una
ragione o per l’altra; quindi, quando non ce la faceva più, si addormentava su
un vecchio divano per risvegliarsi intontito la mattina seguente e ricominciare
la giornata daccapo. Finchè, una notte, come lo stesso Belluca racconta al
vicino di casa:
(…)
Due sere avanti, buttandosi a dormire stremato su quel divanaccio, forse per
l'eccessiva stanchezza, insolitamente, non gli era riuscito d'addormentarsi
subito. E, d'improvviso, nel silenzio profondo della notte, aveva sentito, da
lontano, fischiare un treno.
Gli
era parso che gli orecchi, dopo tant'anni, chi sa come, d'improvviso gli si
fossero sturati.
Il
fischio di quel treno gli aveva squarciato e portato via d'un tratto la miseria
di tutte quelle sue orribili angustie, e quasi da un sepolcro scoperchiato
s'era ritrovato a spaziare anelante nel vuoto arioso del mondo che gli si
spalancava enorme tutt'intorno.
S'era
tenuto istintivamente alle coperte che ogni sera si buttava addosso, ed era
corso col pensiero dietro a quel treno che s'allontanava nella notte.
C'era,
ah! c'era, fuori di quella casa orrenda, fuori di tutti i suoi tormenti, c'era
il mondo, tanto, tanto mondo lontano, a cui quel treno s'avviava… Firenze,
Bologna, Torino, Venezia… tante città, in cui egli da giovine era stato e che
ancora, certo, in quella notte sfavillavano di luci sulla terra. Sí, sapeva la
vita che vi si viveva! La vita che un tempo vi aveva vissuto anche lui! E
seguitava, quella vita; aveva sempre seguitato, mentr'egli qua, come una bestia
bendata, girava la stanga del molino. Non ci aveva pensato piú! Il mondo s'era chiuso per lui, nel tormento
della sua casa, nell'arida, ispida angustia della sua computisteria… Ma
ora, ecco, gli rientrava, come per travaso violento, nello spirito. L'attimo,
che scoccava per lui, qua, in questa sua prigione, scorreva come un brivido
elettrico per tutto il mondo, e lui con l'immaginazione d'improvviso
risvegliata poteva, ecco, poteva seguirlo per città note e ignote, lande,
montagne, foreste, mari… Questo stesso brivido, questo stesso palpito del
tempo. C'erano, mentr'egli qua viveva questa vita «impossibile», tanti e tanti
milioni d'uomini sparsi su tutta la terra, che vivevano diversamente. Ora, nel
medesimo attimo ch'egli qua soffriva, c'erano le montagne solitarie nevose che
levavano al cielo notturno le azzurre fronti… Sí, sí, le vedeva, le vedeva, le
vedeva cosí… c'erano gli oceani… le foreste…
E,
dunque, lui – ora che il mondo gli era rientrato nello spirito – poteva in
qualche modo consolarsi! Sí, levandosi
ogni tanto dal suo tormento, per prendere con l'immaginazione una boccata
d'aria nel mondo.
Gli bastava!
Naturalmente,
il primo giorno, aveva ecceduto. S'era ubriacato. Tutto il mondo, dentro d'un
tratto: un cataclisma. A poco a poco, si sarebbe ricomposto. Era ancora ebro
della troppa troppa aria, lo sentiva.
Sarebbe andato,
appena ricomposto del tutto, a chiedere scusa al capo-ufficio, e avrebbe
ripreso come prima la sua computisteria. Soltanto il capo-ufficio ormai non
doveva pretender troppo da lui come per il passato: doveva concedergli che di
tanto in tanto, tra una partita e l'altra da registrare, egli facesse una
capatina, sí, in Siberia… oppure oppure… nelle foreste del Congo:
—
Si fa in un attimo, signor Cavaliere mio. Ora che il treno ha fischiato…
10) La presa di
coscienza di Belluca, il suo avvertire lo scorrere della vita al di fuori della
sua vita, non comporta, come invece
per altri personaggi (Mattia Pascal o, meglio ancora, Vitangelo Moscarda di Uno nessuno centomila), un rifiuto totale della “forma” entro cui
si sentono imprigionati. Infatti, come è detto, Belluca riprenderà il suo
lavoro di ragioniere, riprenderà la sua vita “impossibile” e potrà sopportarla perché si concederà di
tanto in tanto una evasione da quella vita con la fantasia.
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