La
sapienza silenica
1.
Alla fine di questo ragionamento ci
attende inevitabile la cosiddetta “sapienza
silenica”, ovvero la risposta del Sileno al re Mida che gli chiedeva il
segreto della felicità. Sileno era il precettore di Dioniso e, secondo il mito,
era il possessore di una grande saggezza. Per questo, come racconta Nietzsche nella Nascita
della tragedia, il re Mida lo
voleva catturare:
L’antica leggenda narra che il re Mida inseguì a
lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dioniso, senza prenderlo.
Quando quello gli cadde infine fra le mani, il re domandò quale fosse la cosa
migliore e più desiderabile per l’uomo. Rigido e immobile, il demone tace;
finché, costretto dal re, esce da ultimo tra stridule risa in queste parole:
“Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi
costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è
per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere,
essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è - morire presto”.
2.
Nietzsche intende svelare, attraverso il
mito del Sileno, l’inquietante verità che corrode dall’interno la composta
armonia del mondo greco. Il cosiddetto “pessimismo greco” trova qui la sua
espressione più chiara e radicale: a fronte di tante altre occasioni in cui gli
autori greci si lasciano andare a considerazioni sconsolate sulla miseria e la
precarietà della condizione umana, le parole del Sileno sembrano fondare una
sorta di metafisica dell’infelicità:
l’infelicità è nel principio, è costitutiva dell’essere. Ed è una
concezione che ritorna più volte negli autori greci, nei lirici, nei tragici,
anche negli storici. Leopardi (ma qualcosa
di simile si potrebbe dire anche per Schopenhauer) sembra ereditarla:
se questi esseri sentono, o vogliamo dire,
sentissero (si riferisce agli esseri
viventi di vita vegetativa), certo è
che il non essere sarebbe per loro assai meglio che l'essere.
Desiderare la vita, in
qualunque caso, e in tutta l’estensione di questo desiderio, non è insomma
altro che desiderare l’infelicità; desiderare
di vivere è quanto desiderare di essere infelice. (829-30, 20/3/21)
3.
Ed è un’eredità di cui Leopardi è
consapevole. Così si esprime Tristano nel Dialogo di Tristano ed un amico:
Ma poi, ripensando, mi ricordai ch’ella [la mia
filosofia dolorosa, ma vera] era tanto nuova, quanto Salomone e quanto Omero, e
i poeti e i filosofi più antichi che si conoscano; i quali tutti sono pieni,
pienissimi di figure, di favole, di sentenze significanti l’estrema infelicità
umana; e chi di loro dice che l’uomo è il più miserabile degli animali; chi dice che il meglio è non nascere, e,
per chi è nato, morire in cuna; altri, che uno che sia caro agli dei, muore in
giovanezza, ed altri altre cose infinite su questo andare.
- Il riferimento a Salomone è un riferimento all’Antico Testamento, giacchè anche lì si trovano i segni della sapienza silenica: laddove Giobbe maledice il giorno in cui nella casa di suo padre si annunciò che era nato un figlio, e ancora, laddove l’Ecclesiaste esprime la propria disperazione con parole che, per il riferimento caratterizzante al “non essere nato”, ricordano proprio quelle del Sileno:
E proclamai i morti
più beati dei vivi,
e più felici d’entrambi chi non è nato ancora
Contro
il suicidio
5.
Se poi qualcuno si chiedesse quale
fosse, a questo punto, il pensiero di
Leopardi sul suicidio, troverebbe la risposta in una delle Operette morali, il Dialogo di Plotino e Porfirio,
laddove Porfirio argomenta in maniera stringente a favore del suicidio come unica
scelta per sottrarsi al dolore di vivere, ma infine è convinto a desistere
dall’ultima obiezione di Plotino:
Sia ragionevole l'uccidersi; sia contro ragione
l'accomodar l'animo alla vita: certamente quello è un atto fiero e inumano. E
non dee piacer più, né vuolsi elegger piuttosto di essere secondo ragione un
mostro, che secondo natura uomo. E perché anche non vorremo noi avere alcuna
considerazione degli amici; dei congiunti di sangue; dei figliuoli, dei
fratelli, dei genitori, della moglie; delle persone familiari e domestiche,
colle quali siamo usati di vivere da gran tempo; che, morendo, bisogna lasciare
per sempre: e non sentiremo in cuor nostro dolore alcuno di questa separazione;
né terremo conto di quello che sentiranno essi, e per la perdita di persona
cara o consueta, e per l'atrocità del caso?.... Aver per nulla il dolore
della disgiunzione e della perdita dei parenti, degl'intrinsechi, dei compagni;
o non essere atto a sentire di sì fatta cosa dolore alcuno; non è di sapiente,
ma di barbaro. Non far niuna stima di addolorare colla uccisione propria gli
amici e i domestici; è di non curante d'altrui, e di troppo curante di se
medesimo. E in vero, colui che si uccide da se stesso, non ha cura né pensiero
alcuno degli altri; non cerca se non la utilità propria; si gitta, per così
dire, dietro alle spalle i suoi prossimi, e tutto il genere umano: tanto che in
questa azione del privarsi di vita, apparisce il più schietto, il più sordido,
o certo il men bello e men liberale amore di se medesimo, che si trovi al
mondo.
(…) Ora io ti prego caramente, Porfirio mio, per la
memoria degli anni che fin qui è durata l'amicizia nostra, lascia cotesto
pensiero; non volere esser cagione di questo gran dolore agli amici tuoi buoni,
che ti amano con tutta l'anima; a me, che non ho persona più cara, né compagnia
più dolce. Vogli piuttosto aiutarci a sofferir la vita, che così, senza
altro pensiero di noi, metterci in abbandono. Viviamo, Porfirio mio, e
confortiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci
ha stabilita, dei mali della nostra specie. Si bene attendiamo a tenerci
compagnia l'un l'altro; e andiamoci incoraggiando, e dando mano e soccorso
scambievolmente; per compiere nel miglior modo questa fatica della vita.
6.
E con questa idea, che il senso della vita consista nella
solidarietà fra uomini che si sostengono a vicenda nella comune lotta contro il
male di vivere, siamo all’ultimo canto, La
ginestra. Ma poiché questo canto ha anche un significato politico, sarà
bene, prima di affrontarlo, fare un breve excursus sull’atteggiamento politico
di Leopardi nel contesto storico del suo tempo.
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