Il
pensiero politico: dalle canzoni giovanili ai moti del 1831
1.
Le canzoni
giovanili, fra il 1818 e il 1820 (famosa quella All’Italia), sono ispirate da un forte sentimento patriottico. Sono gli anni successivi alla
rivoluzione francese e alle imprese napoleoniche, sono gli anni della
restaurazione. Leopardi lamenta la decadenza dell’Italia dall’antica grandezza,
invoca il ritorno dell’antica virtù nel cuore degli italiani. Ma si ha sempre l’impressione di componimenti
letterari, frutto di suggestioni letterarie, come se il giovane Leopardi
avesse in mente la canzone All’Italia
di Petrarca o anche, a me sembra, il
carme Dei sepolcri di Foscolo.
2.
Seguono gli anni dei moti risorgimentali.
Nel 1831 scoppiano i moti nei territori dello Stato della Chiesa. Il comitato
del governo provvisorio di Recanati
chiede a Leopardi (che in quegli anni si trova a Firenze) di essere il loro rappresentante
all’assemblea di Bologna, che ha dichiarato decaduto il governo temporale
dei papi e ha l’incarico di redigere la nuova costituzione. Leopardi declina l’invito. E’ vero che
a Bologna erano già intervenuti gli austriaci e quindi l’assemblea era stata
sciolta (e infatti Leopardi adduce questa ragione per rifiutare l’incarico), ma
è anche vero che lo sviluppo del suo
pensiero aveva portato Leopardi ad essere scettico nei confronti delle lotte risorgimentali
e a trovarsi in forte contrasto con gli amici di Firenze, amici di ispirazione cattolico-liberale
(Colletta, Capponi, Tommaseo) che invece quelle lotte sostenevano.
Il
pensiero politico: l’errore di De Sanctis
3.
De
Sanctis, patriota del Risorgimento, grande critico
letterario e poi ministro della pubblica istruzione nel neonato regno d’Italia,
aveva per primo notato, in un famoso saggio, l’affinità di pensiero fra
Leopardi e Schopenhauer; ma poi aveva concluso che, mentre quel pensiero aveva portato Schopenhauer, al tempo delle insurrezioni
del 1848, a posizioni politiche fortemente reazionarie, Leopardi invece, se fosse vissuto fino al
’48 “sarebbe stato con noi sulle barricate” (per inciso, nel film di
Luchetti Il portaborse, Silvio
Orlando, che è un insegnante liceale, in una scena in cui parla di Leopardi ai
suoi studenti, attribuisce erroneamente a Binni la suddetta frase).
4.
Ma in sostanza io credo che su questo De Sanctis si sbagliasse. Se si leggono non
solo le opere di satira politica, ma
anche certe considerazioni che Leopardi
fa nelle lettere, si vede come i rapporti con cosiddetti “amici di Firenze”
si andassero sempre più deteriorando, proprio a causa del pessimismo
leopardiano che si riversava anche sul suo pensiero politico.
Il pensiero politico: i Paralipomeni e I nuovi
credenti in polemica con i cattolico-liberali di Firenze e di Napoli
5.
Il poemetto eroicomico Paralipomeni
della Batracomiomachia, scritto nel 1831, mette in campo una guerra fra
topi (che rappresentano i liberali) rane (sono i reazionari)
e granchi (rappresentano gli austriaci) ed è una satira feroce dei
moti del 20-21 e del 30-31. Scontata
l’ottusità di rane e granchi (questi ultimi sono "birri… d’Europa e
boia" in virtù della loro "crosta" durissima e dell’"esser
senza né cervel né fronte"), oggetto
della satira sono i topi (per il loro settarismo e per la loro presunzione
di poter cambiare la sostanza profonda delle cose - l’infelicità umana - con un altro travestimento del potere: la
monarchia costituzionale).
6.
Del 1835 è la satira I
nuovi credenti, in cui sono presi di mira i progressisti napoletani, ritenuti degli opportunisti, più interessati
ai maccheroni che agli ideali (S’arma
Napoli a gara alla difesa / de’ maccheroni suoi; ch’ai maccheroni / anteposto
il morir, troppo le pesa). E ancora:
Voi prodi e forti, a cui la vita è cara,
/ a cui grava il morir; noi femminette, / cui la morte è in desio, la vita
amara.
Il
pensiero politico: la visione profetica della Palinodia
7.
Ma le opere in cui più pienamente si
dispiega il pensiero politico di Leopardi sono la Palinodia al marchese Gino
Capponi e infine la Ginestra.
8.
Nella Palinodia (è della primavera del 1835: significa ritrattazione, e
infatti il poeta finge di ritrattare le sue idee pessimiste e di condividere
l’ottimismo progressista) Leopardi salta le tipiche problematiche
ottocentesche, relative all’indipendenza e all’unità nazionale. Leopardi ha la vista lunga, non si
lascia sedurre dall’ottimismo per le invenzioni della tecnica (macchina a
vapore, mongolfiera, telegrafo, ferrovie) e per il conseguente sviluppo
industriale; Leopardi è profetico,
anticipa il Novecento, si rende conto che dominante è la logica del profitto e vede
addirittura la minaccia di guerre mondiali per la conquista dei mercati;
ecco cosa dice, dopo aver immaginato ironicamente il prossimo avvento di una
nuova età dell’oro:
Ben molte volte
argento ed òr disprezzerá, contenta
a pólizze di cambio. E giá dal caro
sangue de’ suoi non asterrá la mano
la generosa stirpe: anzi coverte
fien
di stragi l’Europa e l’altra riva
dell’atlantico
mar,
fresca nutrice
di pura civiltá, sempre che spinga
contrarie in campo le fraterne schiere
di pepe o di cannella o d’altro aroma
fatal cagione, o di melate canne,
o cagion qual
si sia ch’ad auro torni.
9.
Qui si parla di spezie e di canna da
zucchero, ma si dice anche
“cagion qual si sia
ch’ad auro torni”, quale che sia la causa, la merce, che
renda oro, che faccia arricchire. Dunque oggi, nel primo Ottocento di Leopardi,
le spezie, domani, nel Novecento, il
petrolio o l’uranio o chissà che altro.
10.
Il discorso continua: sotto ogni regime, monarchico o
repubblicano, oligarchico o democratico, varrà sempre la legge del più
forte, l’avidità provocherà guerre e ingiustizie; per le generazioni future ci sarà un aumento dei beni di consumo, ma
anche una enorme diffusione delle “gazzette”, ovvero dei giornali, che
tenderanno a diventare l’unica fonte di
sapere.
(….) a milioni
impresse in un secondo, il piano e il poggio,
e credo anco del mar gl'immensi tratti,
(……..)
copriran le gazzette, anima e vita
dell'universo, e di savere a questa
ed
alle età venture unica fonte!
11.
Leopardi
insomma si rende conto della potenza di quelli che oggi chiamiamo mass-media,
comprendendo anche radio e televisione, e avverte il rischio che questo
comporti un ottundimento dell’intelligenza, una perdita dello spirito critico.
12.
Naturalmente sono idee non condivise
dagli “amici di Firenze”, che non vanno tanto per il sottile quando parlano di
Leopardi. Ecco qualche documento:
Capponi, a cui la Palinodia
era indirizzata, in una lettera a
Viesseux: “Quel maledetto gobbo s’è messo in capo di coglionarmi”. Colletta a Capponi: "Ho riletto
parecchi dei componimenti antichi, qualcuno dei nuovi; e ti dico all’orecchio
che niente mi è piaciuto. La medesima, eterna, ormai non sopportabile,
melanconia; gli stessi argomenti; nessuna idea, nessun concetto nuovo;
tristezza affettata e qualche secentismo". Tommaseo, sempre critico nei confronti di L., arrivava a dire, in
una lettera a Capponi, di avergli dedicato
simili versi: "Natura con un pugno lo sgobbò / 'Canta', gli disse irata;
ed ei cantò". "Il povero L. aveva scusa nell’esser gobbo; ma non è
forse una piccolezza il non saper viver gobbi?" : così commentava Capponi post mortem, incolpando, fra
l’altro, Giordani di una sorta di subornazione d’incapace.
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