Premessa
1.
Ho pensato di
parlare del pensiero di Leopardi, piuttosto che della sua poesia, sia perché
della sua poesia si parla già abbastanza spesso, sia perché Leopardi è stato,
sì, un grande poeta, ma è stato anche un grande pensatore. Ho sentito una volta
un esperto di filosofia come Massimo
Cacciari dire che Leopardi è stato
un gigante della filosofia europea dell’Ottocento.
2.
Il pensiero di
Leopardi spazia in diversi campi, ma io vorrei soffermarmi su due aspetti:
anzitutto chiarire le caratteristiche del cosiddetto pessimismo leopardiano, quindi parlare del suo pensiero politico.
3.
Di tale pensiero
sono documento, com’è ovvio, le sue stesse poesie, che non sono poesie idilliache ma testimoniano passo dopo passo il
progredire di una consapevolezza sempre
più acuta della dolorosa condizione dell’esistenza umana; ma lo sono anche
le prose delle Operette morali e lo
sono soprattutto le pagine dello Zibaldone, una vera e propria
miniera di riflessioni filosofiche, filologiche, poetiche, esistenziali.
4.
Lo Zibaldone
è come un grande laboratorio in cui prendono corpo le idee che poi diventano
materia per l’opera letteraria; raccoglie riflessioni varie dal luglio del 1817
al dicembre del 1832. Tenendo conto che Leopardi muore nel 1837, le ultime testimonianze del suo pensiero
sono affidate alle ultime poesie (in particolare a quello straordinario
componimento che è La ginestra) e alle opere di satira politica (i Paralipomeni della Batracomiomachia, la Palinodia al marchese Gino Capponi, la
satira I nuovi credenti).
5.
Ciò che mi ha
sempre colpito seguendo l’evoluzione di questo pensiero, sia che parli della
natura della poesia, sia che parli della condizione umana, è una sorta di rovesciamento delle posizioni di partenza;
in altre parole, Leopardi finisce per abbracciare le idee che, in una prima
fase, aveva avversato.
Il
“pessimismo storico”
6.
Penso che tutti
abbiate memoria di quella distinzione scolastica fra “pessimismo storico” e “pessimismo
cosmico”; è una distinzione proposta da Carducci che, pur nel suo
schematismo, serve a mostrare il ribaltamento di cui dicevo; ed è un
ribaltamento che investe specificamente le idee di “natura” e di “ragione”.
7.
Per “pessimismo storico” si intende la fase
in cui Leopardi ritiene che l’infelicità
sia causata dal divenire storico, dal progresso, dalla crescita della ragione,
scientifica e filosofica, mentre i popoli antichi e primitivi, nelle
condizioni di totale naturalità, di innocenza e di armonia con la natura, privi delle conoscenze filosofiche e
scientifiche e invece ricchi di immaginazione come i fanciulli, erano
sostanzialmente felici. La ragione indagatrice, nel momento in
cui svela le verità scientifiche e filosofiche connesse all’esistenza, toglie
anche, senza rimedio, il piacere delle illusioni, di quelli che Leopardi chiama
gli “ameni inganni”, su cui si
fondava la felicità primitiva.
8.
Nella evoluzione storica della società
succede la stessa cosa che succede nella crescita dell’individuo, che passa dall’infanzia
all’età adulta, per cui l’età primitiva è come l’età fanciulla,
dominata dalla fantasia (e quindi dalla poesia) e non dalla ragione (e quindi dalla scienza), la quale invece è propria dell’età adulta, così come dell’umanità
progredita. Così nel Discorso di un
italiano sulla poesia romantica:
quello che furono gli
antichi, siamo stati noi tutti, e quello che fu il mondo per qualche secolo,
siamo stati noi per qualche anno, dico fanciulli e partecipi di quella
ignoranza e di quei timori e di quei diletti e di quelle credenze e di quella
sterminata operazione della fantasia…. Ora che la memoria della fanciullezza e
dei pensieri e delle immaginazioni di quell’età ci sia straordinariamente cara
e dilettevole nel progresso della vita nostra, non voglio nè dimostrarlo nè
avvertirlo: non è uomo vivo che non lo sappia e non lo provi alla giornata….
Ecco dunque manifesta e palpabile in noi, e manifesta e palpabile a chicchessia
la prepotente inclinazione al primitivo…. dal genio che tutti abbiamo alle
memorie della puerizia si deve stimare quanto sia quello che tutti abbiamo alla
natura invariata e primitiva, la quale è nè più nè meno quella natura che si
palesa e regna ne’ putti, e le immagini fanciullesche e la fantasia che
dicevamo, sono appunto le immagini e la fantasia degli antichi …”
(p. 479-80, Discorso)
9. E
ancora, nelle prime pagine dello Zibaldone:
La ragione è nemica di
ogni grandezza, la ragione è nemica
della natura: la natura è grande, la ragione è piccola. (Voglio dire che un
uomo tanto meno, o tanto più difficilmente, sarà grande, quanto più sarà dominato
dalla ragione; ché pochi possono esser grandi (e nelle arti e nella poesia
forse nessuno) se non sono dominati dalle illusioni)
10.
Sempre nello Zibaldone, Leopardi si serve della favola di Psiche (che lui associa al racconto del peccato originale
nella Genesi: l’infelicità
dell’umanità nasce dalla volontà di Adamo ed Eva di sapere, mangiando il frutto
dell’albero della scienza del bene e del male; così, nel romanzo di Apuleio,
l’infelicità di Psiche nasce dalla sua volontà di conoscere il suo amante segreto,
Amore, che la visita solo di notte) per convalidare questa idea della negatività della ragione, della conoscenza
del vero che soppianta l’immaginazione:
“la favola di Psiche,
cioè dell'Anima, che era felicissima senza conoscere, e contentandosi di godere,
e la cui infelicità provenne dal voler conoscere, mi pare un emblema così
conveniente e preciso, e nel tempo stesso così profondo, della natura dell'uomo
e delle cose, della nostra destinazione vera su questa terra, del danno del sapere, della felicità
che ci conveniva, che unendo questa considerazione, al manifesto significato
del nome di Psiche, appena posso discredere che quella favola non sia un parto
della più profonda sapienza, e cognizione della natura dell’uomo e di questo
mondo… Del resto combinando quest’osservazione col racconto della Genesi, dove
l’origine immediata della infelicità e decadimento dell’uomo si attribuisce
manifestamente al sapere… mi si fa verisimile che queste gran massime, l’uomo non è fatto per il sapere, la
cognizione del vero è nemica della felicità, la ragione è nemica della natura…
fossero non solamente note, ma proprie e quasi fondamentali dell’antica
sapienza…” (10/2/21, pp. 637-638);
Dalle lunghe
considerazioni da me fatte circa quello che voglia significare nella Genesi
l'albero della scienza ec., dalla favola di Psiche della quale ho parlato
altrove, e da altre o favole o dogmi ec. antichissimi… si può raccogliere non
solo quello che generalmente si dice, che la corruzione e decadenza del genere
umano da uno stato migliore, sia comprovata da una remotissima, universale,
costante e continua tradizione, ma che eziandio sia comprovato da una tal
tradizione e dai monumenti della più antica storia e sapienza, che questa corruttela e decadimento del genere
umano da uno stato felice, sia nato dal sapere, e dal troppo conoscere, e che
l'origine della sua infelicità sia stata la scienza e di se stesso e del mondo,
e il troppo uso della ragione.”(luglio 23)
11.
Ed è una concezione che si ritrova anche
nelle canzoni giovanili, ad esempio nella canzone Ad Angelo Mai, dove, dopo aver ricordato l’impresa di Colombo, e
quindi la scoperta, oltre le mitiche colonne d’Ercole, di terre prima sconosciute all’umanità, così
continua:
Ahi, ahi! ma conosciuto il mondo
non cresce, anzi si scema, e assai piú vasto
l’etra sonante e l’alma terra e il mare
al fanciullin, che non al saggio, appare.
Nostri sogni leggiadri ove son giti
dell’ignoto ricetto
d’ignoti abitatori, o del diurno
degli astri albergo, e del rimoto letto
della giovane Aurora, e del notturno
occulto sonno del maggior pianeta?
Ecco svaniro a un punto,
e figurato è il mondo in breve carta;
ecco, tutto è simile, e, discoprendo,
solo il nulla s’accresce. A noi ti vieta
il vero, appena è giunto,
o caro immaginar; da te s’apparta
nostra mente in eterno; allo stupendo
poter tuo primo ne sottraggon gli anni;
e il conforto perí de’ nostri affanni.
non cresce, anzi si scema, e assai piú vasto
l’etra sonante e l’alma terra e il mare
al fanciullin, che non al saggio, appare.
Nostri sogni leggiadri ove son giti
dell’ignoto ricetto
d’ignoti abitatori, o del diurno
degli astri albergo, e del rimoto letto
della giovane Aurora, e del notturno
occulto sonno del maggior pianeta?
Ecco svaniro a un punto,
e figurato è il mondo in breve carta;
ecco, tutto è simile, e, discoprendo,
solo il nulla s’accresce. A noi ti vieta
il vero, appena è giunto,
o caro immaginar; da te s’apparta
nostra mente in eterno; allo stupendo
poter tuo primo ne sottraggon gli anni;
e il conforto perí de’ nostri affanni.
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